Scrittore, saggista, drammaturgo, poeta, conferenziere, Franco Galiano ama definirsi intellettuale organico al territorio. Non ad un partito, ad una ideologia, ad un gruppo organizzato, come tanto andava in voga nella seconda metà del Novecento, ma ad un’area geografica ben determinata, nella specie quella stretta linea di costa che dal confine settentrionale della Calabria discende la penisola per poi dileguarsi tra i colori del mar Tirreno e le suggestioni della montagna calabrese. Una vita, la sua, spesa tutt’attorno alla cultura ed all’idea della sua divulgazione, dapprima come docente di materie letterarie nei licei e poi -in realtà, contemporaneamente…- come cultore delle antiche tradizioni sociali delle popolazioni che da sempre abitano questo tratto finale della Calabria. O iniziale, se si vuole.
Da qualche giorno in libreria, per i tipi della Rubbettino Editore, l’ultimo libro di Francesco Bevilacqua, “Il Parco Nazionale del Pollino, guida storico-naturalistica ed escursionistica”, si candida a divenire la pubblicazione più completa sulla grande area protetta al confine tra Calabria e Basilicata. Utile strumento per orientarsi tra le meraviglie del Parco nazionale -da non confondersi con la cosiddetta “Mini-guida al Parco” edita giusto qualche mese fa dall’ente e realizzata sempre dallo stesso Bevilacqua- il libro è il diciottesimo scritto dall’autore che sul proprio sito (www.francescobevilacqua.com) ripercorre anche la sua lunga carriera di scrittore e pubblicista, iniziata nel 1991, insieme alle migliaia di chilometri macinati lungo i sentieri della natura calabrese.
Due riviste, all’interno del Campus di Arcavacata, stanno attirando l’attenzione di studenti e ricercatori fino a ritagliarsi uno spazio di primissimo piano all’interno della comunità scientifica nazionale.
“Ossidiana: teoria, cultura e vita quotidiana”
Alla fine degli anni ’90, all’interno dell’allora Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica, vide la luce l’”Osservatorio per lo studio dei Processi Culturali e della Vita Quotidiana”, cui venne dato il nome esotico e ben augurante di “Ossidiana”. Quella struttura, venne “pensata e costruita” -si scrisse- “come uno spazio aperto e vivace di incontro, confronto e discussione, di analisi, riflessione e ricerca su tematiche che, sin dall’inizio, sono state attinenti alla cultura e alla vita quotidiana, alla memoria, alla teoria sociale, alla comunicazione, ai media e ai consumi culturali, e che, più recentemente, hanno incluso anche le migrazioni, la sfera pubblica, gli studi culturali e gli studi postcoloniali. L’Osservatorio è stato promotore di numerose presentazioni di volumi, cui hanno solitamente partecipato gli autori e di seminari che hanno visto il coinvolgimento di accademici di altri atenei nazionali e internazionali”.
La giurista di origini calabresi Caterina Malavenda si confronta sul campo minato dell’informazione italiana
“Perché qualcuno dovrebbe leggere questo libro? Ce lo siamo chiesti anche noi quando abbiamo deciso di scriverlo. Forse per conoscere meglio l’origine di luoghi comuni e facili semplificazioni, per condividerli o sfatarli, entrando nella vita quotidiana del cronista per bene. In Italia, infatti, è invalsa l’opinione, forse qualunquista, ma con un fondo di verità, che il giornalista sia un privilegiato, spesso prono per convenienza al potente di turno, pronto a nascondere o travisare le notizie scomode e a reggere non solo metaforicamente il microfono a chi conta davvero;oppure sia un invasato che, per sostenere teorie di parte, ignora la realtà o la presenta in modo parziale;o ancora, sia la buca delle lettere di magistrati, avvocati, e imputati eccellenti (…)”.
Baldini&Castoldi, Milano 2013, pp.347, € 19.90
“Ho sempre creduto che per comprendere il presente e pensare il futuro fosse necessario avere somma consapevolezza del tempo passato. Di quel tempo che diventa Storia e forgia inevitabilmente l’essere umano costituendone la sua stessa natura. Noi siamo la nostra storia e noi siamo la nostra formazione. E per formazione intendo tutti quegli aspetti, culturali, educativi, naturali, empirici, i condizionamenti esterni, gli esempi, le tradizioni, in una parola l’ambiente, nel quale siamo da sempre immersi e dal quale, per qualsiasi essere vivente, è impossibile evadere (…)”.
Sottoscrivo in pieno quanto scritto da Francesco Bevilacqua, sottoforma di editoriale, giusto lo scorso numero. Con le sue ben note qualità dialettiche, immaginifiche -a metà tra l’arma seduttiva e l’arringa in perfetto stile forense… - Francesco ha anticipato a tutti i lettori di “Apollinea” il tema destinato a diventare il leit motiv da qui in avanti. E non ci vuole molto per capire il messaggio lanciato: c’è il rischio che dopo oltre diciassette anni la rivista possa chiudere! Non vorrei essere catastrofico, ma l’amarezza con cui Mimmo Sancineto mi ha confidato, appena qualche giorno addietro, la triste realtà in cui la nostra rivista si muove, mi fa preoccupare.