Succede con tutte le aree di confine: ma qui succede ancora di più, perché la Storia -da queste parti- ha inesorabilmente legato al filo doppio le nostre terre ed il nostro mare. Lo sostengo da almeno un decennio: il dibattito l’ho condotto dapprima sul piano della ricerca e della pubblicistica, tanto da dedicare alle mie due Regioni l’ultimo “Tracce di Calabria”, che solo il titolo potrebbe ingannare il lettore meno attento;molto più di recente, il tema lo sto trasferendo sul piano più squisitamente antropologico: non me ne vogliano gli addetti ai lavori -tranquilli, non ruberò loro la professione!- ma ci sarà pure un motivo se nella mia vasta schiera di frequentatori, di ragazze e ragazzi con cui condivido ormai molto di questa esistenza, la percentuale dei “lucani” supera di gran molto quella dei “calabresi”.
"Brigitte era la ragazza del tempo nuovo, della strada nuova, della città nuova, la portabandiera della generazione in jeans e maglione che stava cambiando il volto del mondo occidentale”. Di questa ragazza esplosa in tutta la sua prorompente bellezza alla metà degli anni ’50 del secolo appena trascorso, Giampiero Mughini parla nel suo ultimo “E la donna creò l’uomo.Lettera d’amore a BB ( Mondadori, 2006), nel quale il giornalista-scrittore ritorna ad uno dei suoi temi più cari: quello della bellezza femminile, appunto.
Spero di riuscirci. Dovrei citare Cicerone e Jacques Derrida, Aristotele e Michel Foucalt, Sant’Agostino ed Erich Fromm, Montaigne e Dino Buzzati, La Boétie e Kant. Invece preferisco abbracciare quanti stanno seguendo questa rubrica quindicinale e dire loro semplicemente… grazie! Ci sarà pure un motivo se in tanti hanno manifestato affetto e cordialità, vicinanza e pura gratitudine ai pensieri che con molta modestia ho messo nero su bianco in appena quattro puntate di questa bella rubrica: ci sarà pure un motivo se tanti sono andati anche oltre, scrivendomi via e-mail commenti e riflessioni o notificandomi splendidi sms.
Scrivere un libro significa, quasi sempre, tradurre in parole quello strato sottile e nebuloso della nostra anima che sfugge e si nasconde alla parte sociale del nostro Io”. Di recente, recensendo un libro intenso e drammatico che avrò l’onore e l’onere di presentare a giorni a Praia, mi aveva colpito proprio l’incipit della presentazione, scritta da una donna per un’altra donna, autrice-attrice-protagonista dell’opera.
C’è un piccolo angolo di Paradiso nell’immaginaria triangolazione tra Capo Palinuro a nord-ovest, il Parco Nazionale del Pollino ad est e capo Scalea a chiudere a sud-est: un lembo di terra e mare nel quale la natura ha deciso di lasciare in perenne eredità il meglio di sè. Siamo nel Golfo di Policastro, nell’esatto punto di incontro di ben tre Parchi Nazionali (il Cilento-Vallo di Diano, nel basso salernitano, il nascente Sirino-Val D’Agri, nell’area del lagonegrese ed il Pollino, confine naturale tra Calabria e Lucania) che, quasi senza soluzione di continuità, si presentano come un’unica grande area protetta nella quale, grazie ad un’interminabile teoria di vette appenniniche e colline tondeggianti che cedono il passo ad insenature e spiagge dai nomi mitologici, l’intero territorio -per ragioni storiche ed aspetti geo-morfologici- non può non catturare lo sguardo anche del più distratto osservatore.
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