A tu per tu con...
“Sono un orfano, un povero orfano di padre e di madre: è la prima cosa certa che so della mia vita, ma non me la prendo. Voglio dire, all’inizio sarà stata dura, solo quasi non me lo ricordo più, l’inizio. Devo aver pianto molto -com’è naturale- tipo: hai quattranni e te ne stai sempre attaccato alla mamma e ad un certo punto lei, tua madre, parte e tutti -le zie, gli zii, presumo- ti ripetono che è partita ma poi torna, che non è il caso di disperarti: invece, lei, mia madre non torna”. Maratea, 18 agosto 2004: “l’autore che ho il piacere di presentare questa sera è un grande scrittore che ci regala la lettura di un romanzo totale, esilarante avventuroso, dove si vedono maturare e apparire amori, scintillare e decadere miti giovanili di due decenni”.
Così introdussi Gaetano Cappelli: mi ritrovai accanto a questo cinquantenne -per la verità gli davo una quarantina d’anni- che conoscevo vagamente solo di nome: un nome lucano, certamente, rafforzato da un’inflessione che per me -lucano di padre- non poteva essermi oscura. Ne venne fuori una bella serata: “Parenti Lontani” (Mondadori 2000) affascinò la platea ed io, volutamente, cercai di farmi condurre attraverso un viaggio ideale e reale che univa la provincia lucana con l’America, con quei ricordi che si perdevano tra gli anni Settanta ed i successivi Ottanta. Quella presentazione ha fatto nascere una bella frequentazione, perché Cappelli ti affascina anche per lo stile pacato, quasi rilassato, con cui riesci a dialogare: rilassato e -soprattutto- disponibile. Niente a che vedere con tanti scrittori-star che affollano l’attuale panorama editoriale che per qualche successo librario e continue comparsate televisive diventano inafferrabili anche per il più incallito segugio. Eppure Gaetano Cappelli, con quel romanzo, i suo successo l’aveva avuto se l’autorevole “Bookcrossing” l’aveva definito uno dei migliori cinque romanzi pubblicati nel 2000. Nato a Potenza nel 1954, Gaetano Cappelli si trasferisce a Roma dove compie gli studi in Filosofia: rientrato nel capoluogo lucano inizia a lavorare presso la sede regionale della Rai -attualmente è regista- e, soprattutto, a scrivere. La passione per la scrittura la manifesta da giovanissimo con racconti per la radio -Gaetano ha più o meno vent’anni quando in Italia nascono, anzi esplodono, le prime radio libere- e scritti di critica musicale. L’esordio come romanziere viene preceduto, nel 1982, dall’opuscolo “Minimal, trance music ed elettronica” scritto assieme al fratello Tomangelo, nel quale viene evidenziata la passione per la musica rock e minimalista. Nel 1988 ecco “Floppy Disc” (Marsilio), un “giallo elettronico”, una spy story che gli permette di rivelarsi come abile intessitore di trame: “un giovane senza speranze si trova coinvolto in una storia più grande di lui; era l’epoca delle spie bulgare che si aggiravano per l’Europa e, con un ritmo incalzante, l’avevo messa nero su bianco”. L’anno dopo è la volta di “Febbre” che ci consegna un Cappelli alle prese con una “scrittura cinematografica”: si tratta di un noir, un romanzo nero, “titolo della collana della Mondadori in cui viene inserito: era ambientato in una Napoli lontana dagli stereotipi, una metropoli aggressiva e internazionale”. E Cappelli utilizza un linguaggio minimal, un ritmo serrato: “c’era un gran caldo e sudavo (…) Le cicale iniziarono ad accordarsi su quel loro unico straziato accordo. Ogni tanto schiacciavo una delle formiche rosse che mi facevano la corte. Guardavo lo specchio azzurro della piscina, la rete tremolante di luce sotto il velo dell’acqua, come un miraggio. E non succedeva niente. Niente. Assolutamente. Poi lei uscì dalla sua stanza. Misi a fuoco l’obiettivo. Aveva una vestaglia di seta e un’impressione annoiata sul viso(…)”. Con i racconti intitolati “Mestieri sentimentali” (Frassinelli, 1991), Cappelli vira bruscamente la propria rotta di scrittura: “non più movimentate sparatorie, scenari metropolitani, rampanti delinquenti o imperturbabili fotomodelle, ma la realtà di una provincia periferica, non immune dal progresso, la realtà, cioè, di una Potenza dei nostri giorni”. In pratica sei tornato a casa! “Avevo fatto ritorno nella mia città e mi interessava scrivere sull’universo che meglio di tutti conoscevo: l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro cui si accompagna la prima scoperta sentimentale e sessuale. Insomma, le storie del doppio incontro con la vita lavorativa ed affettiva, che tutti noi abbiamo vissuto, che prima o poi viviamo. Sono giovani miei coetanei che descrivo nell’ossessione maniacale delle griffes e degli accessori di gran moda: cronaca locale, mode, inflessioni linguistiche, amori, tradimenti, di nuovo amori”. Con quest’opera, Gaetano Cappelli approda al genere che non avrebbe più abbandonato e che avrebbe decretato il personale successo editoriale: “la provincia” diviene, così, lo spazio metaforico in cui ambientare al meglio ogni narrazione, perché “la provincia” ha il terreno fertile su cui seminare e raccogliere storie intime e segrete. A riguardo è stato scritto che “la provincia viene spiata nei suoi vizi più intimi e segreti, nelle sue noie e nelle sue aspirazioni; la provincia -quella meridionale- è ancora un luogo dove trionfa una piccola borghesia legata alle mode del momento, che si dà arie di frequentare i posti giusti e le persone giuste, che accoglie il forestiero con riti da tribù primitiva. Così, anche i personaggi capitati per caso dall’esterno vengono immediatamente assorbiti dai ritmi di città come queste”. Intanto è il 1994: con “Volare basso” (Frassinelli), la tecnica narrativa del nostro ospite settimanale si affina ancor di più, soprattutto quando dà voce a tre personaggi -Uno, Due e Tre- che animano la scena della provincia, ormai sempre più il paesaggio metropolitano preferito da Gaetano. L’anno dopo, con “Errori” (Mondadori), all’orizzonte della vena narrativa di Cappelli appare una novità, non di poco conto: appare l’America, certo molto provinciale -c’era da scommetterci…- “arretrata, dipinta con sapiente ironia: un errore anche quest’America, com’è un errore tornare al proprio paese a insegnare, un errore ripercorrere a ritroso i passi della propria giovinezza. Provinciale quanto si vuole, ma sempre America: si veda zia Nancy, la maga personale “del tenente Colombo, di Jerry Lewis e di Frank Sinatra”, impegnata a togliere il malocchio…”. Compare anche il paesaggio di questa provincia: “ almeno è primavera inoltrata e c’è un cielo di un azzurro rabbioso e mentre arranchiamo su questa stradaccia piena di fossi, di curve, è tutto così verde. Sembra proprio di essere in Irlanda, anche se in Irlanda non ci sono mai stato e magari è una palla peggio di qui”. Provincia, America: il passo non è di poco conto, ma Gaetano Cappelli lo compie tutto intero nel 2000 -intanto aveva curato l’antologia “Sporco al sole, racconti del Sud estremo (Besa, 1998) e la raccolta “Disertori. Sud: racconti dalla frontiera” (Einaudi, 2000)- quando con la storia di quegli “strani emigranti”, parte dalla provincia -la sua, ovviamente- ed approda al di là dell’Oceano, nell’immensa provincia questa volta a stelle e strisce. Arriviamo a “Parenti Lontani”, dunque… “è il romanzo (Mondadori, 2000) di un giovane orfano che scopre il mondo, dalla provincia lucana all’America mitica delle controculture negli anni Settanta, alla New York culla della spietatezza neocapitalista negli anni Ottanta. L’infanzia di Carlino -il protagonista della trama- segnata dalla complicità con l’idolatrato e maggiorenne amico Pit, vive di scorribande scatenate in macchina per paesi e per campagne avvicinando donne, fumando erba, nuotando per torrenti. E tutti questi riti iniziatici sono già un “mondo nuovo”, sono già qualcosa che assomiglia più alle giovinezze raccontate da Mark Twain, da Hemingway e da Kerouac che dai vari neorealisti, antropologi e meridionalisti italiani. Il ricordo di quell’ on the road lucano stampa nell’animo di Carlino un marchio avventuroso, vanamente complesso dalle rigide leggi del matriarcato, dal dispotismo non illuminato dalla terribile Nonnilde, dagli imperativi della mentalità arcaica e dall’azienda di famiglia. Coartato ma indomito, guardingo, reso astuto dal controllo donnesco -pur nella remota, dimenticata quinta di una provincia del Sud- Carlino riesce ugualmente a vivere, tappa dopo tappa, tutta intera l’educazione sentimentale del giovane degli anni Settanta: dai primi approcci amorosi con le sognate “ragazze tourist” all’iniziazione musicale al rock, esplosa nel corso di un indimenticabile concerto dei New Trolls (anzi, paesanamente, dei Gnu Droll), alle canne, ai vagabondaggi, al viaggio di formazione hippy a Christiania, alla compagnia di una banda sgangherata e picaresca dove primeggiano Tarcisio, Rino, Apache, lo Svizzero e una polifonia di ragazze, sbandati, emigrati, utopisti di paese, valchirie e parenti lontani. Già, proprio parenti lontani, perché Carlino non ha smesso di sognare l’avventura americana, quell’avventura che è stata fatale a suo padre e s’incarna nel nome e nella severa figura del ricchissimo zio Richard. Ed eccolo, finalmente, Carlino a New York, nella grande mela popolata da manager alla Wall Street, maghi e guru d’alto bordo, barboni e snob squattrinati, popstar sfiancate e artisti d’avanguardia mistici e sanguinari. Qui s’imbatterà in femmine assatanate, miliardarie bizzose, gangaster di mezza tacca e in una ragazza che sembra una favolosa nullità ma che è invece destinata a diventare uno dei miti del nostro tempo. Per questo, e per molto altro ancora, Parenti lontani è un romanzo , esilarante, tragicomico, divertente e amaro, dove si vedono maturare e appassire amori, sognare i sogni e raccogliere i cocci dei disastri, scintillare e decadere i miti giovanili di due decenni: è un romanzo dove si raccontano storie, le storie di quelli che scoppiano miseramente e di quelli che scoppiano gloriosamente. E di quelli che passano indenni, naturalmente: ma questa è una sorpresa e come tutte le sorprese, sta alla fine”. Questo romanzo appare costruito sulla struttura dei romanzi dell’Ottocento, quelli che leggevamo negli anni del liceo, quando il personaggio, protagonista sin da piccolo, te lo gustavi nel corso di tutta la sua formazione, educazione sentimentale e sessuale compresa, fino al suo maturare ed invecchiare, in quel percorso che la vita stessa gli riserverà. Ecco perché “Parenti lontani” è stato definito un “romanzo totale”: perché esso contiene l’intero ciclo vitale del protagonista con tutta quella ricchezza tematica che affolla il racconto, sin nei minimi particolari. E totale perché, poi, totalmente ti avvolge e ti cattura, a partire dall’ambientazione paesaggistica: un piccolo paese dell’appennino lucano, venti cugine, una nonna autoritaria, la determinazione a fuggire dal “natio borgo selvaggio”, il sogno americano, sono gli ingredienti che fanno di Carlino un piccolo eroe di qualche decennio fa che -sfido a dimostrare il contrario- non è certo difficile incontrare al giorno d’oggi: “su questa linea di fuga” -come ha sottolineato Giancarlo Tramutoli sulle pagine di Bookcafè- “si innestano una quantità mirabolante di storie e personaggi: da segnalare, tra le cose più divertenti del romanzo, un decalogo tormentone su tutto quello che è tipico in un paesino meridionale che è una specie di saggio ironico-antropologico sul Sud; come pure esilarante è la ricorrente angoscia meridionale, anch’essa inesorabilmente tipica. Memorabili per comicità le rubriche che Carlino cura per il giornalino locale, i necrologi, per esempio, dove la risata nasce proprio dall’abile contaminazione tra tono enfatico e situazione grottesca”. Nell’estate del 2005 -stessa rassegna, stesso salotto culturale- me lo ritrovo al fianco: è la volta de “Il primo” (Marsilio, 2005) -la storia di un editor che trasforma in successi i romanzi che gli vengono sottoposti- che il critico Cesare De Michelis aveva presentato come “un romanzo post-moderno, nel quale distinguere la verità dall’invenzione è sempre più difficile, tanto l’una e anche l’altra sono solo riflessi di una realtà senza storia e l’autore si conferma tra i più originali scrittori di una generazione che sa che non c’è altro da raccontare che un mondo scoppiato, rimasto senza scopo. Nello sporto, nell’arte, nella vita: Guido è un ragazzo straordinario, a cui tocca spesso, molto spesso, di essere il primo. A scuola eccelle, a tennis vince, nell’amore conquista nientemeno che Filippa, oggetto del desiderio di tutti i suoi coetanei. Cresciuto nella convinzione che essere Il primo era un destino, Guido mastica amaro quando scopre che accade anche di perdere e trova la donna della sua vita tra le braccia del rivale oppure è costretto a vendere enciclopedie a rate per tirare a campare…”. Intanto, tra qualche giorno uscirà la tua ultima opera: singolare già nel titolo… “Già! “Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo” (Marsilio, 2007): il romanzo è ambientato tra la Basilicata, Parigi, la Costa Azzurra, le strade del vino… C’è il brillante Riccardo Fusco, rimasto una promessa, che ora deve accontentarsi dell’umiliante ruolo di baby-sitter delle sue quattro figlie, mentre la moglie -regista di successo- si gode i riflettori del mondo della celluloide; e c’è Graziantonio Dell’Arco, vecchia conoscenza del liceo -uno su cui nessuno avrebbe puntato nulla- diventato, invece, uno degli uomini più ricchi e famosi della penisola, produttore del miglior vino Aglianico. Un viaggio nello spazio e nel tempo, con i rispettivi antenati -briganti e latifondisti- che si muovono sullo sfondo del paesaggio del lucano, con tutto quel ricco bagaglio storico-sociale che fa parte della mia trama narrativa”. Non posso non chiedertelo: Potenza è salita agli onori della cronaca per la recente inchiesta di “Vallettopoli”… “la provincia italiana catapultata nuovamente alla ribalta! Ti confido che mi è sembrato di rivivere una di quelle storie che racconto nei miei romanzi: una commedia italiana, come tante ne sono accadute e tante ancora ne accadranno e che -ne sono sicuro- non intaccherà assolutamente il sistema di vita della nostra Italia. La storia della televisione, d'altronde, è sempre stata infarcita di queste storielle. Di positivo (!) per noi lucani, c’è che questa vicenda è servita a far conoscere Potenza: ora tutti sanno che esiste, mentre fino a poco tempo fa eravamo costretti a indicarla sulla cartina geografica. Ora è finalmente italiana…
La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 13-05-2007