A tu per tu con...

Marco Roncalli è l’addetto-stampa dell’Editrice La Scuola di Brescia: la storica sede di Via Cadorna -che abbiamo già ospitato grazie alla conversazione con il pedagogista Luciano Corradini- ha risposto alla mia richiesta di dialogare con autori di recente pubblicazione. Conosco personalmente la precisione e l’impegno professionale della terra lombarda, figuriamoci se una casa editrice di questo spessore non risponde almeno al mio cortese invito per una proposta di intervista: “le invio i riferimenti dello psicoterapeuta Domenico Barrilà: con “C’è una logica nei bambini” appena dato alle stampe, ha permesso il ritorno della psicologia di servizio.

Si tratta di un volume-manifesto per genitori, insegnanti, educatori, che aiuta gli adulti a capire il comportamento dei figli, ma anche a ritrovare sé stessi specchiandosi nel mondo dell’infanzia, proprio laddove -invisibili- cominciano i problemi. Che poi si trasformano in tragedie sociali”. Detto-fatto: lo contatto a Cassano D’Adda, dove risiede; forse gli stravolgo un pò gli impegni di lavoro (perdonato?) visto che è in partenza per l’Abruzzo, destinazione Vasto, dove terrà una lezione all’interno della locale casa circondariale. Invece no (nel senso che non stravolgo i suoi impegni!): accetta volentieri la mia proposta di intervista con l’immancabile corredo fotografico e così “A tu per tu con…” fa trenta! (per la lode attendo il suo giudizio). Domenico, raccontati! “Dopo la laurea in Psicologia, conseguita all’Università di Padova, ho completato la mia formazione a Milano, mia città di adozione, alle cui porte -esattamente a Cassano d’Adda- vivo da circa 35 anni. Sono sposato con Elisabetta, abbiamo tre figli, Luciano, Paola e Davide. Nella città meneghina ho svolto la mia analisi didattica adleriana con Pierluigi Pagani, fondatore -insieme a Francesco Parenti- della Sipi, la Società Italiana di Psicologia Individuale che di fatto aveva aperto nel nostro Paese la strada alle idee di Alfred Adler: quello dello studioso viennese, padre del “sentimento di inferiorità”, è uno dei tre grandi filoni storici della psicologia del profondo, insieme a quelli di Freud e di Jung. Nella società adleriana del nostro Paese ho ricoperto la carica di didatta propedeutico e successivamente sono stato docente presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Alfred Adler di Milano, prima di staccarmene circa 5 anni fa per seguire con maggiore attenzione i miei progetti. Da circa 25 anni svolgo un’intensa attività clinica, ma ciò che sento più vicino alla mia sensibilità è il versante sociale della psicologia, soprattutto l’interesse per la prevenzione su larga scala, cosa che mi ha condotto negli ultimi anni a tenere un migliaio di conferenze, seminari e gruppi di approfondimento in molte regioni italiane. Essendo nato e cresciuto in una baraccopoli messinese, mi sento particolarmente attratto dalla “responsabilità sociale” della psicologia, cioè dai suoi doveri per la promozione della dignità dei singoli individui, a prescindere dalla loro condizione economica: per questo sogno di abbandonare la mia attività clinica per dedicarmi esclusivamente alla realtà situata, alla quotidianità dei cittadini. Le idee di Alfred Adler, che in questi anni ho arricchito con la mia esperienza sul campo, si prestano ottimamente a interventi di questa natura, poiché fanno leva sullo sviluppo del sentimento sociale, ritenuto un vero e proprio ingrediente normalizzante della personalità. Proprio per seguire tale vocazione, mentre mi stai intervistando, mi trovo in Abruzzo per svolgervi un ciclo di conferenze in diverse realtà. Stamattina (ieri per chi legge, nda) all’interno del carcere di Vasto, provincia di Chieti, ho parlato ad una cinquantina di detenuti, con cui si è intrecciato un fittissimo scambio di impressioni, al termine del quale ognuno di loro mi ha chiesto di tornare presto. Lo farò senza dubbio, vista la sensibilità del direttore della struttura, Massimo Di Rienzo, del personale nonché del cappellano, don Andrea Sciascia. Nelle scorse settimane mi ero recato a Roma, Foggia, Bari e Lecce, Mantova, Cremona, Bergamo, ma direi che ogni anno sono decine di migliaia i chilometri che percorro per rispettare i graditissimi inviti che ricevo da ogni parte del Paese. Un altro importante strumento della mia attività di prevenzione è rappresentato dai libri, una diecina, scritti per diverse case editrici nazionali, come Mondadori, San Paolo, Guerini e Associati, La Scuola: più volte ristampati e talvolta tradotti in vari Paesi europei ed extraeuropei”. Il tema delle sue ricerche, del suo impegno di psicoterapeuta, delle sue conferenze e delle sue pubblicazioni è corposo e delicato: dalle introduzioni alle sue pubblicazioni -l’ultima, in particolare- capisco perché “il tempo delle complesse ricerche educative e quello delle risposte frammentate e non da tutti comprensibili” pare essere finito per davvero: e nel diffuso clima di emergenze generali, costellate da tanti episodi che sfociano in tristi episodi di cronaca, torna ad avere un ruolo proprio la psicologia sociale, quella di servizio, da tempo (troppo!?) dimenticata ma fruibile dalla massa. Quest’ultima che non ha paura ad indicare colpe e strumenti di correzione ma -soprattutto- che ci parla dei bambini protagonisti e non di marionette in mano ad educatori che talvolta si sentono “proprietari” dei minori loro affidati. Così, ne viene fuori una sorta di nuovo manuale di sopravvivenza per genitori ed insegnanti che vogliono capire cosa succede nella testa dei loro figli o allievi. Il nostro gradito ospite settimanale, infatti, può vantare una ricca bibliografia, evidentemente frutto delle sue mirate ricerche condotte sul campo: da “Educhiamo i nostri bambini con creatività” (San Paolo Edizioni, 1992) a “Per un posto nel mondo. Gli adolescenti all’esame della vita sociale” (San Palo Edizioni, 1993), da “Dalla cicogna ai videotape. Come rispondere, con buon senso e competenza, alle domande infantili sulla sessualità” con Giuseppe Bufano (San Paolo Edizioni 1996) a “Voler bene” (Mondadori, 1999); da “Punti di vista con delitto. Quando le relazioni diventano sopraffazione” (San Paolo Edizioni, 2003) a “La mente e il cuore. Come nasce lo stile di vita” (Guerini e Associati, 2004). “Sono tornato a scrivere esplicitamente di bambini dopo circa 20 anni: il mio primo libro, che è stato ristampato varie volte ed è ancora presente nel catalogo della San Paolo Edizioni, è del 1992 e da allora sono usciti altri titoli nei quali mi sono allontanato solo apparentemente da questo universo così affascinante; in realtà non ho mai distolto l’attenzione dalle fasi che determinano le linee di indirizzo della nostra personalità. Dopo quegli esordi, il fortunatissimo “Per un posto nel mondo. Gli adolescenti all’esame della vita sociale” segna una tappa fondamentale nella mia evoluzione scientifica: siamo ai primi degli anni Novanta e mi era sembrato fondamentale spingere la mia osservazione verso gli anni che seguono l’infanzia; il volume si rivelò un successo inatteso, con tre edizioni nell’arco di un mese circa”. Poi c’è l’attività condotta sui periodici: “fa parte di questo sforzo di comunicazione con i cittadini. Da qualche anno curo una rubrica fissa su Club3, diretto da Fulvio Scaglione e Leonardo Zega, storico direttore di Famiglia Cristiana: Club3 è un mensile che presenta stabilmente firme come quelle di Gaspare Barbiellini Amidei, Antonio Lubrano e dell’ economista Marco Vitale, che i giovani della Locride (della tua Calabria!) conoscono molto bene per l’attenzione che manifesta da tempo verso i loro progetti. Le mie collaborazioni hanno riguardato negli anni Famiglia Cristiana, Famiglia Oggi, Rivista Madre -il periodico più antico del mondo cattolico- ed altre testate con cui sono cresciuto anche nella coscienza civile”. Intanto hai appena dato alle stampe il nuovo “C’è una logica nei bambini” (La Scuola, 2007): aiuta gli adulti a capire i comportamenti dei bambini, ma anche a ritrovare sè stessi. Mi precisi questo concetto? “Si tratta un volume di intensità inversamente proporzionale alla lunghezza, la cui gestazione è stata lunghissima. Diciamo che osservo da venti anni la realtà dei minori, anche attraverso i ricordi d’infanzia dei miei pazienti. Il mio intento era quello di superare l’idea di un bambino inquadrato solo attraverso i suoi disturbi, come purtroppo tende ad accadere da tempo, per recuperarne la “trama”, la logica per l’appunto. Se un adulto non comprende le linee di movimento dello stile di vita di un bambino, non sarà mai in grado di effettuare un intervento davvero educativo, ma tirerà a indovinare, con tutte le conseguenze del caso. Capire il bambino è fondamentale anche per dare modo all’adulto di riflettere su se stesso. Lo stile di vita, infatti, si modella entro i primi 5/6 anni di età e dopo tende a persistere con una certa coerenza, quasi come una linea retta che conosce sporadiche deviazioni: dunque, ragionare sulle strategie del bambino spinge l’adulto a tornare sul modo in cui egli stesso si è fabbricato la propria “logica privata”, a fare confronti, apportare correzioni, a passare -parafrasando Saramago- col sole dove prima pioveva”. Ed in effetti, quest’ultima pubblicazione -che sta attirando l’attenzione non solo della comunità scientifica ma della stessa ampia realtà sociale cui non può essere che destinata- parte dalla constatazione di fatto che molti dei nostri problemi di adulti nascono prima, proprio all’inizio della nostra vita: là si decidono carattere e personalità, successi ed insuccessi, complessi o fobie e persino “la tendenza ad evadere il fisco, a confidare nelle raccomandazioni, fatti che poi hanno costi altissimi nella società, perché creano sentimenti di rivalsa e perché massacrano le relazioni umane”. Ecco perché Barrilà ripete che “il bambino deve essere preparato alla vita sociale, facendogli intendere senza equivoci che se userà scorciatoie vincerà qualche piccola gara, ma perderà la sua vita. Anzi, i primi a capire che questo principio è alla radice della convivenza dovrebbero essere gli adulti, mentre -invece- qualcuno si diverte a far finta che io sia esagerato!” Oltre venti anni di osservazione sul campo e l’analisi di migliaia di casi differenti hanno riconfermato in Domenico Barrilà la consapevolezza della necessità di un approccio originale e ben diverso da quanti “scompongono il bambino in mille pezzi per poi curarlo come si fa in un’officina meccanica”. Eccolo il rovesciamento che tenta nel suo ultimo libro: “gli educatori vedono meglio il percorso e possono affrancarsi dalle ricette: in una parola, possono aspirare a vedere con i loro occhi il procedere strategico del bambino e seguire i suoi percorsi come la trama di un romanzo”. Problemi invisibili e tragedie sociali… “Spesso sono gli uni a fare da basamento alle altre, ma più che di problemi invisibili parlerei di problemi non visti. Talvolta è difficile volgere lo sguardo dalla parte giusta, proprio perché nessuno ci aiuta a guardare dalla parte giusta: ecco, allora, che torna il tema della responsabilità sociale della Psicologia, il cui campo di applicazione dovrebbe essere proprio quello di arricchire le competenze di coloro che si trovano quotidianamente a contatto con la materia viva delle relazioni educative. Una Psicologia che interviene solo nella fase della “riparazione” -cioè quella terapeutica- serve a poco, se non alla stessa Psicologia e agli psicologi, essendo questa una fase dal costo economico sovente insostenibile e dunque iniquamente selettiva. Naturalmente lo stesso discorso vale per la medicina”. Pare essere passato il tempo delle complesse ricette educative! “Non avrebbe mai dovuto esserci, poiché noi alleviamo individui non gruppi sociali. Una differenza sostanziale: gli individui, appunto, non si prestano a risposte educative “generali”; le ricette sono una tentazione insidiosa e non tengono conto che anche dietro comportamenti apparentemente simili di bambini e ragazzi, si nascondono motivazioni e richieste assolutamente singolari e non sovrapponibili. Ecco perché è indispensabile imparare a conoscere il terreno sul quale vengono a cadere i nostri interventi educativi: occorre battere questa strada senza mai scoraggiarsi, essendo l’unica che davvero incrocia gli interessi profondi dei minori e, in definitiva, quelli degli adulti. Le ricette sono figlie, a loro volta, della moda della “delega” che per troppo tento ci ha spinto a pensare che esiste sempre una risposta fuori di noi, possibilmente specialistica, sicuramente a pagamento. Un demone a cui pagheremo prezzi salati ancora per un lungo periodo: vi è stata, in questi anni, una lunga striscia di disimpegni, dettati dall’illusione che alla fine qualcuno ci avrebbe risolto i problemi con la parola giusta; ma purtroppo le cose non vanno mai così ed è tempo di tornare a riprenderci i nostri compiti. Faticosi, certo, ma impossibili da delegare”.Successivamente la tua attenzione scientifica si sposta verso temi più specifici dell’età adulta. “In realtà mi sono mosso verso questioni che credo fondamentali nella vita degli uomini e dei gruppi sociali, poiché entrambi possiedono un effetto, diciamo così, strutturante. Mi riferisco all’affettività e alla sopraffazione. In dei due è stato trattato sia in “Voler Bene” sia in “La mente e il cuore. Come nasce lo stile di vita”. In realtà si tratta praticamente dello stesso volume, che nel passaggio da un editore all’altro ha subito alcuni rimaneggiamenti. Il tema della sopraffazione invece l’ho sviluppato in “Punti di vista con delitto. Quando le relazioni diventano sopraffazione”. Questo è forse il libro che meglio rappresenta la mia sensibilità di uomo e di studioso: il tema -la sopraffazione dell’uomo sull’uomo- è formidabile e tremendo nel contempo. Un percorso, quello della sopraffazione, che comincia sovente in famiglia per poi toccare i rapporti tra i popoli, deformando storie personali e collettive. In Italia, il volume si è fatto onore, senza tuttavia raggiungere gli esiti di altri miei lavori, ma di recente si è preso una bella rivincita quando un editore straniero lo ha tradotto per il mercato iberico e per i paesi di lingua spagnola, con ottimi riscontri tra i lettori”.
La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 27-05-2007