Il panorama è di quelli che lasciano incantati. Lo sguardo spazia a 360° in un susseguirsi di mare, monti e cielo. La Rocca domina l’intero Golfo di Policastro, dal campano Capo Palinuro, al tratto lucano di Maratea sino a Capo Scalea, estrema punta calabrese dell’enorme arco di costa che abbraccia tre Regioni, tre Province, una manciata di Comuni affratellati dal mare del Mito di Ulisse. Le montagne ci sono tutte: il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano con la sua massima altezza, quel Monte Cervati che da qui mostra il suo versante sud-occidentale, innevato anche quando la candida coltre bianca ha deciso di lasciarsi desiderare in un inverno mite come questo; le montagne lucane che fanno da corona alla breve ma intensa costa, con quel Monte Coccovello che sembra proprio voler ergere un invalicabile confine geografico. Alle spalle, verso nord-est, le estreme propaggini nord-occidentali del Parco Nazionale del Pollino sembrano incombere minacciose con gli appena millecentoquarantadue metri del Cozzo Petrara: un’aerea serra rocciosa quasi a guardia della riva calabrese.

La storia è quella di l’altro ieri. “Come un nido di falchi sulla cima del colle, si erge maestoso il Castello di Praia a Mare, in località Fiuzzi: esso spicca in modo pittoresco tra la vallata denominata Saracena e l’estesa pianura cittadina. Di questo castello, purtroppo, non si conosce quasi nulla, sembra che la storia l’abbia ignorato, non tramandando alcun episodio o evento. Eppure, data la sua struttura agguerrita e la sua posizione appartata, a spia del vasto tratto di mare tra il Golfo di Policastro e la costa di Vibo Valentia, non si può pensare che sia stato risparmiato dagli assalti della pirateria saracena(…)”. Già, un nido di falchi: aveva evidentemente ragione Vincenzo Condino nel suo “I castelli della Provincia di Cosenza” a descrivere così l’imponente struttura muraria che svetta su una delle dolci colline che lentamente scivolano verso il mare, lasciandosi alle spalle gli estremi contrafforti occidentali del Pollino, a sud dell’abitato di Praia a Mare. Imponente e misterioso al tempo stesso, se è vero che ancora ignoto rimane l’anno di costruzione, ascrivibile, per i canoni architettonici, tra il XII ed il XIII secolo. Un mistero fitto nel quale gli stessi attuali proprietari brancolano, pur conoscendo bene le vicende della nobile famiglia cui la Storia ha consegnato questo splendido maniero difensivo, i Cosentino di Aprigliano, famiglia che tenne il feudo di Aieta -da cui l’attuale denominazione nobiliare, mutata nel tempo in Cosentini d’Aieta- tra il 1571, anno in cui la famiglia Cosentino, sotto Scipione, acquistò il Feudo di Aieta con tutti i beni ed i diritti, per 13 mila ducati da Lucrezia Martirano, ed la fine del 1700 quando il feudo, invece, venne acquistato per 111 mila ed 850 ducati da Antonio Spinelli, Principe di Scalea. Aieta, dunque, il caratteristico borgo medievale, il cui nome rimanda alle aquile greche, rappresenta il centro da cui si irradiò la presenza di questo casato, i cui Baroni e Marchesi (dal 1624) furono, nell’ordine, Scipione, Giovanni Francesco, Scipione Sebastiano, Giovanni Francesco junior, Giuseppe Maria, Tiberio, Domenico, Giuseppe Maria junior e Domenico junior. Il territorio di Aieta, vista la sua collocazione montana, era difeso da un sistema di torri costruite da nord, comprendenti la Torre della Nave, la Torre del Fumarulo, la Torre di Fiuzzi, la Torre dell’Isola di Dino, la Torre del Porto di San Nicola Arcella e la Torre di Capo Scalea: “questo sistema era integrato e consolidato dal castello medievale con torri cilindriche, risalente al secolo XIII, ubicato sul ciglio occidentale del pianoro di Località Foresta -oggi ricadente nel Comune di Praia a Maread un’altezza di 91 m. s.l.m. , di fronte all’Isola di Dino e distante da essa poche centinaia di metri. Il castello apparteneva a Riccardo di Lorya, signore di Aieta (…)”. Giuseppe Guida, nel suo “Aieta, pagine della sua storia civile e religiosa” aggiunge un tassello di non secondaria importanza per ricostruire ancora meglio la storia di questo misterioso sito militare, che nei secoli successivi sarebbe divenuto sede delle guarnigioni militari e che al tempo dei napoleonici fu sede della guarnigione dei “cavallari”, posta al servizio della difesa della spiaggia con Decreto del 30 dicembre del 1806. Riccardo di Lorya, a metà del 1200, era stato per un breve periodo signore di Aieta e delle terre limitrofe, nominato da Federico II capitano di guerra e vicerè della terra di Bari: “sposò in prime nozze Palliana di Castrocucco (la famiglia era venuta in Italia al tempo dei Normanni ed il casato, originariamente detto di Alverina, era divenuto Castrocucco dopo aver preso possesso dell’omonimo feudo) da cui nacque Beatrice; in seconde nozze sposò Donna Isabella Lancia, nutrice e Dama di Costanza, figlia di Manfredi e moglie di Pietro d’Aragona: da questo matrimonio nacquero Riccardo junior, Ruggero e Ilaria. Riccardo di Lorya, che aveva combattuto come familiare a fianco di Manfredi, morì nella battaglia di Benevento nel 1266”. Sono bastati pochi flash sugli accadimenti di quel periodo, per scoprire un intreccio storico di primissimo piano che conduce direttamente all’intramontabile figura di Federico II: in quel garbuglio di date ed eventi, spunta la figura del celebre ammiraglio Ruggero di Lauria, del quale la storia locale ha scritto pagine di indiscutibile pregio. Ebbene, dopo la morte del padre a Benevento, nel 1266, il giovane con la madre e la sorella Ilaria, si recò in Spagna presso la Regina Costanza: qui venne educato mettendosi in mostra come esperto capitano della marina di Sua Maestà per tornare in Italia all’indomani dello scoppio dei “Vespri Siciliani” (1282-1302) al servizio di Pietro d’Aragona che lo nominò Ammiraglio, appunto. Fu l’inizio di una lunghissima carriera, costellata da celebri vittorie sul mare: nel 1283 sconfisse la flotta francese presso Malta; l’anno dopo, nel porto di Napoli, affrontò e sconfisse la flotta angioina; nel 1298 sconfisse lo stesso Federico d’Aragona; vittorie che gli fruttarono sterminati feudi in Sicilia e nel Regno di Napoli, su un territorio vastissimo che -solo per rimanere all’attuale divisione amministrativa- comprendeva praticamente l’intero Golfo di Policastro, eleggendo in quel di Scalea, una delle sue dimore preferite, come puntualmente ricorda Giovanni Celico nel suo “Scalea tra Duchi e Principi”. E’ stato sufficiente solo qualche piccolo cenno per dimostrare come questo misterioso luogo d’armi -misterioso per l’originaria costruzione, s’intende- fosse invece inserito in un contesto storico di primissimo piano che rimanda direttamente alla corte di Federico II ed a quella di Carlo V, motivo per cui ancor oggi porta anche l’appellativo del celebre imperatore: nel XVI secolo “si apprende che il marchese Gian Francesco Cosentini riscuote da più anni una tassa d’ancoraggio e di falangaggio per l’Isola di Dino e la spiaggia di Praia: l’Ufficio del Fisco della provincia di Calabria Citeriore, a Cosenza, gli ingiunge in data 8 dicembre 1655 di presentare il titolo che gli dà diritto a tale riscossione ed il Marchese ottempera a tale ingiunzione; esibisce, infatti, la pergamena di concessione fatta dalla Cesarea Maestà Imperiale di Carlo V, nel 1536, al feudatario Bernardino Martirano dello jus di ancoraggio e falangaggio da <>(…)”. Ecco spiegato, nelle pagine di Amedeo Fulco “Memorie storiche di Tortora”, il legame dell’antico maniero con la Casa Imperiale di Carlo V. Chi abitò a lungo nel castello, tanto da divenirne un simbolo, fu Matteo Cosentini, figlio di Scipione Sebastiano e Vittoria della Porta, nato nel 1632, Vescovo di Anglona e Tursi: ordinato sacerdote il 24 aprile del 1661, fu fatto Vescovo durante il Concistoro segreto del 3 ottobre 1667 e designato da Papa Clemente IX a reggere l’Antica Diocesi di Anglona-Tursi, in Lucania; morì a Rocca Imperiale il 9 aprile del 1702 durante una visita pastorale e fu sepolto nella Cattedrale della Diocesi. Don Matteo Cosentini “nei mesi estivi si recava ad Aieta e, soprattutto, si fermava nel castello medievale ubicato a margine dell’altopiano della Foresta, di fronte all’ampio Golfo di Policastro”, come ricorda ancora l’indimenticato Giuseppe Guida nel suo “Santuario della Madonna della Grotta e Praia a Mare”. Proprio dal quel suo antico avo, seguendo le intricate linee di discendenza, Alessandro Cosentini dei Marchesi di Aieta ricompose la linea di proprietà delle possenti mura alle quali dedicò attenzione ed amore: “nei primi anni ’50, il discendente primogenito dei Cosentini, dalla natìa Milano, scese in Calabria per conoscere la terra degli avi e se ne innamorò: decise di fare tutto il possibile per ricostruire un nucleo abitativo che fosse sincera armonia del passato e dedicò tutto il suo tempo libero, il suo amore e le sue disponibilità finanziare; poco a poco, con le sue sole forze, restaurò il castello rispettando in pieno tutte le sue originarie caratteristiche architettoniche, ripiantumando finanche il terreno circostante perché tornasse ad essere in sintonia con il nome “Foresta”. Se oggi quell’antica rocca d’armi è ritornata al suo splendore, il merito è tutto di mio marito Alessandro”. Fiore Mercurio Cosentini ricorda così l’instancabile opera del marito, diretta a riportare il castello agli antichi fasti di un tempo, lei che vanta con orgoglio anche antiche ascendenze calabresi dalla jonica Gerace. “Un edificio singolare, databile forse intorno al periodo normanno, con un mastio e due torri, più un corpo rettangolare aggiunto posteriormente; liberato dalle bestie e dal foraggio, impermeabilizzati gli spalti per fermare l’acqua piovana, è stato fatto rivivere come casa al mare, prevalentemente estiva, in quanto l’unica forma di riscaldamento è data dai camini esistenti. Pavimenti rifatti in cemento bianco, pareti e volte a calce bianca, la casa vive di sola architettura: i mobili sono ridotti al minimo, utilizzati vecchi vani per ricevere armadi a muro, chiusi con ante a mercantile simile alle porte delle camere. Dovunque si è cercato di realizzare in muratura le attrezzature fisse necessarie: piani di appoggio, volumi che incorporano le attrezzature in cucina, basi per divani, poltrone e sedie. Sapete quanto è costata l’intera operazione? Meno di una barca di pochi metri e, in più, la soddisfazione di aver fatto rivivere una cosa morta in un modo che si ritiene giusto in rapporto al luogo dov’è posta e al tempo in cui viviamo”. Così scriveva Alessandro Cosentini di Aieta in un articolo apparso sulla prestigiosa rivista “Abitare” nel lontano ottobre del 1971: il Marchese è scomparso giusto un anno addietro e per sua stessa disposizione testamentaria ha scelto di essere cremato e di riposare, per sempre, nella sua amata terra di Calabria, a Praia a Mare. Il Castello, intanto, rimane luogo di mistero, di memoria e di affetto personale: vanto storico e culturale tra mare, monti e cielo. Quelli del Golfo di Policastro…
Apollinea, anno XI - n.4 Luglio -Agosto 2007 Egidio Lorito

Bibliografia:
Celico Giovanni, Scalea tra Duchi e principi, Editur, Diamante (CS), 1999;
Condino Vincenzo, I castelli della Provincia di Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 1996;
Fulco Amedeo, Memorie storiche di Tortora, 1960, ristampa Soveria Mannelli (CZ), 2002,
Guida Giuseppe, Santuario della Madonna della Grotta e Praia a Mare, Calabria Letteraria Editrice, Soveria Mannelli (CZ), 1994;
Guida Giuseppe, Aieta. Pagine della sua storia civile e religiosa, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 1991;
Guida Giuseppe, Praia a Mare e territorio limitrofo, Tipografia, Eredi V. Serafino, Cosenza, 1970;
Lorito Egidio, Tracce di Calabria. Lo sguardo indietro, il cuore avanti, Edizioni Il Coscile, Castrovillari, 2005;

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