A vederla adagiata com’è, in posizione tranquilla, a circa 600 m. s.l.m. alle pendici del Monte Ciagola (m. 1462), Aieta non può non far balzare alla mente quanta parte di storia risuoni tra i suoi vicoli, nelle sue piazzette, nei suoi boschi. “Aieta, comune della provincia di Cosenza, da cui dista oggi per via rotabile 120 Km., è un paese interno, ma dista dal mare in linea d’aria solo qualche chilometro e perciò non è visibile dal mare perché i suoi fondatori nell’alto medioevo, vollero sottrarre l’abitato alla vista e alle piraterie soprattutto saracene”. Iniziava così uno degli ultimi scritti pubblicati sull’abitato di Aieta, opera del compianto prof. Giuseppe Guida, “Aieta, pagine della sua storia civile e religiosa”, dato alle stampe nell’estate del 1991, e destinato a divenire la più accurata raccolta sulla storia del piccolo ma fondamentale centro calabrese. Una cartina geografica ne inquadra correttamente la posizione: appare come il secondo Comune della Calabria partendo da nord-ovest (il primo è Tortora, da cui dista appena due chilometri in linea d’aria), in pratica la porta più antropizzata del Parco Nazionale del Pollino.

Il centro urbano non entra nei confini del parco, ma i monti che lo circondano a corona rappresentano le prime e, appunto più occidentali, quote di quest’ultimo: infatti questa catena di monti va a precipitare direttamente nella valle del fiume Lao che, lasciato il territorio di Laino Borgo, si spinge verso quello di Papasidero. Aieta sorge su un colle aereo, vanta una superficie di circa 48 Kmq. che raccoglie poco più di mille abitanti, la maggior parte dei quali concentrati nel centro storico, mentre il resto vive nelle campagne che, attraverso un’antichissima sentieristica, da sempre rappresentano la via di comunicazione verso l’interno. Fino al 1928 raccoglieva anche il territorio di Praia a Mare, che fino a quella data era la sua frazione marina;il territorio, come gia in parte anticipato, appare montuoso o collinare, sviluppandosi proprio lungo il tratto più occidentale dell’appennino calabro-lucano: all’attento osservatore, Aieta appare ben protetta da cime che superano i mille metri, e che la riparano dai venti freddi che, dalla direzione nord, nord-est, precipitano furiosi direttamente dalle cime del Pollino: il già citato M. Ciagola, il M. Gada (m. 1264), il Cozzo Gummaro (m. 1048) ed il Cozzo Petrara (m. 1142) sono i pilastri che contornano il territorio aietano, contribuendo a regalargli il tipico paesaggio appenninico. La geologia del sito è quella tradizionale della collina calabrese: rocce ignee e sedimentarie sconvolte a più riprese da movimenti tellurici, uno dei quali -quello del 21 marzo 1982- oltre a provocare il celebre abbandono dell’abitato di Laino Castello, non risparmiò il centro storico di Aieta, chiuso, all’epoca, in molto del suo sviluppo: proprio la presenza di movimenti sismici è alla base della creazione di anfratti, burroni, inghiottitoi che in alcune zone rendono alquanto spettacolare il territorio del nostro piccolo Comune. Dunque, un territorio che se da un lato, ancor oggi, ne rende poco agevole, e perciò spettacolare l’accesso, dall’altro ha contribuito nei secoli a fare di Aieta un naturale fortino, praticamente inespugnabile: una posizione che se da un lato permetteva “la difesa dalla ferocia di incursioni piratesche di longobardi e musulmani”, dall’altro la rendeva “esposta al soffiar dei venti ed alla frequenza di orribili tempeste”, per come si legge nella monografia di uno storico (nonché Sindaco) del luogo, tale Vincenzo Lomonaco, anno 1858. E da queste parti la Storia ha permesso lo stanziamento o il semplice passaggio di popoli e genti delle più disparate origini: dalle popolazioni autoctone che già 150.000 anni a.C. (glaciazione di Riss) cacciavano il cavallo selvatico, agli Elleni del IX sec. che dall’Asia Minore si erano spinti sin qui per fondare nuove colonie, ovvero il complesso della futura Maga Graecia;fino ai romani che giù a valle, tra il 400 ed il 389 a.C., conquistarono le città simbolo del luogo, da Blanda (l’odierna Tortora) a Laos (Scalea), destinate a divenire importanti colonie. Per la loro fedeltà a Roma, esse ottennero l’ambito riconoscimento di “civitates optimo jure”. E come non ricordare i passaggi di alcuni grandi della Storia, le cui tracce sono un segno indelebile dell’importanza strategia dell’area: lo storico e geografo greco Strabone, il poeta latino Ovidio Nasone, pare anche Cicerone, a voler dare ascolto allo storico Livio nella sua “Ab Urbe Condita” (XXIV, 20). E che dire del più recente “avvistamento” di Garibaldi che il 3 settembre 1860, proveniente da sud, riposò qualche ora nella residenza campestre di un tale Biagio Lomonaco Melazzi, a qualche chilometro dall’abitato, prima di giungere, in barca, a Sapri scortato dai suoi fedelissimi. Narra lo storico George Macaulay Travelyan, nella sua “Garibaldi e la formazione dell’Italia” (1913, p. 189), che “non c’è in tutta la linea costiera dell’Italia un tratto più bello di quello dove i monti si protendono l’uno dietro all’altro a precipitarsi nell’acqua: tanta aspra bellezza si contempla meglio dal mare, ma Garibaldi, stanco, si adagiò e dormì nella prua”. I luoghi descritti dallo storico inglese, sono l’immagine, forse più bella, di quel tratto di costa che da Maratea, seguendo l’arco del Golfo di Policastro, porta l’osservatore fino a Capo Palinuro, in un susseguirsi di insenature, calette, spiagge, monti a picco sul mare cristallino, al confine di tre Regioni, oggi luoghi protetti da ben tre parchi nazionali confinanti. Dunque la Storia! Quella che quasi vorrebbe sconfessare quell’altra, matrigna e dolorosa, fatta di emarginazione ed emigrazione, di stenti e povertà, di sogni di rivincita sociale e successo personale: quella Storia dove “Cristo non è mai arrivato, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, nè la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la storia…” (Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli). Ed Aieta non è poi così lontana dai paesaggi dipinti e narrati dallo scrittore torinese: Irsina, Montalbano, Pisticci, Ferrandina . .…, altri luoghi della memoria storica della coscienza meridionale. Aieta, allora: strano davvero il toponimo. La tradizione lo vorrebbe legato al nome greco (aetosaquila), come sembrerebbe affiorare dal resoconto della seduta del consiglio comunale del 30 novembre 1865;ma altri vorrebbero far risalire l’effige comunale al simbolo di una delle prime famiglie storiche del luogo, gli Scullando, il cui stemma era di origine normanna. Tra i vari casatifeudatari, ricordiamo i Cosentino di Aprigliano che tennero il feudo tra il 1571 ed il 1767, e gli Spinelli di Scalea che proprio in quell’anno lo acquistarono per la cifra di 111.850 ducati: “ il principe Antonio Spinelli era stato l’ultimo licitatore e maggiore offerente il 2 settembre del 1767, tanto che Domenico Cosentino, sopraffatto da grave collurie di debiti che pesavano sul feudo da tempo, lo vendette agli Spinelli, principi di Scalea”. A questa famiglia, Aieta legherà i successivi 235 anni, vissuti nel simbolo di quel palazzo marchionale che gli storici dell’arte considerano una vera meraviglia del Rinascimento calabrese. Costruito nel XIII secolo da Riccardo Lorya, divenne oggetto, nel 1529, di un esproprio da parte del potente Carlo V: di notevole impatto architettonico è la facciata occidentale, che evidenzia tre piani con loggiato rinascimentale, sormontato da ben nove mascheroni. I lavori di ristrutturazione, dopo moltissimi, anni hanno restituito alla comunità locale un centro artistico di primissimo piano che, nell’intenzione degli amministratori, dovrebbe ospitare un centro studi internazionale, sede di convegni e seminari per lo sviluppo della cultura della pace: è auspicabile che dopo tanto tempo, tra ponteggi e rifacimenti, la struttura possa ottenere quel giusto riconoscimento per la sua unicità nell’intero territorio, tributo ad un esempio di arte capace di vivere nei secoli, e che non può nuovamente correre il rischio di essere dimenticato. Tra gli esempi di arte locale e centri della religiosità, non possiamo non annoverare le numerose chiese e cappelle di cui è costellato il territorio di questo centro montano: alla fine del X° secolo, erano state aperte al culto numerose chiese in tutto il territorio aietano, molte delle quale, oggi, si trovano nei comini di Praia e Tortora;ma fu l’arrivo dei Normanni che incrementò il culto cristiano. Infatti furono consacrate al culto le chiese di S. Maria de Entro - destinata a cambiare successivamente nome in S. Maria dell’Immacolata ed in S. Maria delle Grazie-, di S. Biagio e di S. Maria de Fora;nè possiamo dimenticare la costruzione del Convento dei Francescani, autorizzata con Breve di Papa Leone X, l’8 luglio del 1520. L’opera si inquadrava in un complesso sistema di costruzioni di conventi in tutta l’area: infatti tra il 1507 ed il 1577 videro la luce i conventi di Lauria, Rivello, Tortora e Maratea, che possiamo, quindi, considerare frutto di un unico filone storico, volto all’ampliamento dei luoghi di culto in quella che era al tempo l’importante e potente Diocesi salernitana di Policastro Bussentino, sotto la cui giurisdizione ecclesiastica, Aieta rimase sino al 1908. Ma il centro religioso della comunità aietana divenne la Chiesa Parrocchiale di S. Maria della Visitazione, caratterizzata da un portale litico circondato da pilastri decorati a volute, il tutto sovrastato da un medaglione su cui è incisa la data -1756- in cui si svolsero i lavori di ampliamento della struttura. Infine molte solo le cappelle votive erette su tutto il territorio del Comune, segno evidente di un forte sentimento cristiano che ha sempre caratterizzato la vita della comunità locale. Al di là dei notevoli trascorsi storici e dell’indiscutibile importanza che il centro ha avuto sin dall’antichità, Aieta oggi è un piccolo centro montano che con i suoi circa 1.000 abitanti fatica a trovare una collocazione precisa nel panorama dei Comuni dell’area;vuoi per la sua posizione geografica esterna rispetto ai grandi flussi turistici, vuoi per la fisiologica situazione di difficoltà nella quale vivono i centri montani minori, vuoi per il costante spopolamento a cui è sottoposta da decenni, Aieta vive un presente di grande incertezza, che solo l’impulso datole dalle ultime generazioni di amministratori può mitigare. Infatti, se nel periodo invernale la comunità vive una condizione di tranquillità e di normalità, è nel periodo estivo -grazie ad interessanti iniziative culturali- che Aieta muta completamente il suo volto: sagre paesane, dibattiti culturali, mostre fotografiche, rappresentano l’offerta verso un turismo che, stanco della calura e della confusione tipica dei paesi rivieraschi, sceglie di salire tra i boschi e i vicoli del centro, per gustare le prelibatezze della cucina, per ammirare paesaggi tra i primi monti del parco ed apprezzare le antichissime tradizioni di una comunità fortemente caratterizzata. Aieta ha dalla sua una posizione strategica invidiabile: porta montana della Calabria nord-occidentale e naturale accesso ai sentieri del Parco Nazionale del Pollino, il centro può contare su una valorizzazione definitiva non ancora compiuta, diretta al potenziamento dei non indifferenti canali di sviluppo. L’augurio è che il paese, abbandonando vecchie e sterili dispute locali, possa decollare lungo la rotta della valorizzazione eno-gastronomica ed ambientale, sviluppando l’enorme bagaglio storico che la sua tradizione le offre: speriamo solo che ciò avvenga nell’immediato futuro.
Apollinea, Novembre-Dicembre 2002
Egidio Lorito, 19-11-2002