Con contributi, interviste e recensioni di Gaetano Afeltra, Giovanni Arpino, Gianni Brera, Camilla Cederna, Roberto De Martin, Franco Giovannini, Italo Leveghi, Stefano Lorenzetto, Egidio Lorito, Jacopo Marchi, Giuseppe Mendicino, Bepi Pellegrinon, Ennio Rossignoli, Beba Scharnz, Carlo Sgorlon, Stenio Solinas.

 

“Ideare, scrivere, curare, costruire, mettere insieme un’opera che rendesse merito e illustrasse la vita di un grande personaggio è sempre un’ardua impresa, sia per la doverosa necessità di onorare appieno vicende e motivazioni di una storia umana sia per vagliare i materiali che documentano la stessa. Quando poi il soggetto da focalizzare e scandagliare è nientemeno che Rolly Marchi, allora, il quadro diventa ancora più problematico. Rolly è un personaggio che ha attraversato gran parte del Novecento sempre in prima linea, a livelli sostenuti e sotto i riflettori, nel settore dello sport, sci e montagna in particolare, ma anche per quanto riguarda la letteratura e la cultura ( i suoi libri e le sue amicizie) e soprattutto caratterizzando la sua vita con una umanità straboccante che ha permeato tutto il percorso tanto da costituire, quella sì, la sua dote principale “(…)”.      
Bepi Pellegrinon, editore trentino dell’affascinante Falcade, ennesima perla delle dolomiti bellunesi, apre la lunga carrellata di contributi interviste e recensioni che insieme a spettacolari ed intime fotografie, compone la recente pubblicazione in occasione dei novantadue anni di Rolando “Rolly” Marchi, scrittore, giornalista, poeta, alpinista, sciatore, animatore inarrivabile nel gran mondo del circo bianco, scopritore di talenti e quant’altro ancora. Un monumento della natura trentina che dalle splendide rocce delle sue impareggiabili Dolomiti ha impresso una traccia indelebile su tutto quanto fa montagna e cultura, eventi sportivi internazionali e mondanità, rapporti umani e calore delle genti di montagna. Senza tralasciare, anche, l’ammirazione per le montagne di Calabria e Basilicata, Pollino e Sila su tutte, visitate e conosciute dallo scrittore di Lavis, ospite in Calabria, a Praia a Mare, nel luglio del 2008, in occasione della seconda edizione della rassegna d’autore “Praia, a mare con…”, quando le possenti mura della superba Rocca di Fiuzzi di Fiore Mercurio Cosentini d’Aieta lo accolsero per quella sua sortita culturale.   
E così, una ricca carrellata di ricordi, commenti, interviste, recensioni, fotografie d’ogni tempo, fanno da contorno ad una pubblicazione che s’impone nella miglior tradizione culturale trentina: con quel garbo umano, quella passione culturale, quel piglio interiore che fanno sentire a casa anche chi non è nato nelle splendide valli trentine, all’ombra delle impareggiabili guglie dolomitiche; anche chi, a mille e più chilometri di distanza, grazie a questa fortunata amicizia decennale, non poteva far mancare il proprio sentito contributo. L’amicizia, vera e sincera, prima di tutto: anzi, l’amicizia come base e fondamento della cultura montana, a qualunque latitudine ci si trovi.
Fa un certo effetto leggere, uno dopo l’altro, i contributi di personalità di primissimo piano della cultura italiana, da Gianni Brera a Camilla Cederna, da Giovanni Arpino a Carlo Sgorlon, da Gaetano Afeltra a Dino Buzzati, da Luigi Meneghello a Mario Rigoni Stern, da Goffredo Parise ad Indro Montanelli, amici che Marchi ha conosciuto e frequentato nella sua vita, tra l’altro tutti attivi frequentatori della montagna e, più volte, cantori del mondo delle altezze. Come non ricordare la forte amicizia che lo ha legato all’autore di opere indimenticabili come “Un amore”, “Barnabò delle montagne”! Quel Dino Buzzati che proprio il nostro aveva guidato in quota, in corda, su per picchi e giù per pendii impossibili. Dirà Buzzati che “l’unico punto fermo della mia vita è la passione per la montagna, una passione che non mi abbandona mai (…)”.
Come pure colpiscono i contributi di giornalisti e scrittori “viventi”, penne culturali de “Il Giornale” quali Matteo Sacchi -“(…) Nella memoria di Marchi ci sono anche migliaia di bambini, quelli del Trofeo Topolino, quando lui organizzava le gare con in testa un enorme cappellone con la stella da sceriffo che gli aveva regalato Walt Disney ai giochi di Squaw Valley. Qualcuno di quei ragazzini si chiama Gustavo Thoeni, Marc Giradelli, Ingemar Stemark (…)”- Stefano Lorenzetto -“(…) Con Marchi non puoi fare un’intervista. Al massimo uno slalom tra i ricordi: l’incontro con Hitler sulle piste da sci, la lunga prigionia di guerra in Tunisia e in Algeria senza la neve, la foto a braccetto con Federico Fellini nel Natale del ’44, la Cortina di Montanelli, gli amori travolgenti (…)”- o Stenio Solinas  -“(…) Il problema di Rolly Marchi è Rolly Marchi, un pezzo d’uomo che è alto più di un metro e ottanta e ha più di ottant’anni (nel 2000, nda). (…) Inserire uno così nell’anemico panorama degli scrittori italiani, quasi sempre brevilinei, pallidi di carnagione, scarsi di fisico e pieni di complessi, è già un problema (…)”. 
E poi diRoberto De Martin, presidente del “Trento Film Festival” -“(…) E’ un voluto omaggio che può dare un senso ad un libro fotografico denso di commenti e di avventure. Che ci rimanda al di là delle immagini e che ci rivela, pagina dopo pagina, la personalità esuberante di Rolly. Un uomo entusiasta di vivere. Di un entusiasmo non tenuto per sé, ma manifestato in abbondanza tale da diventare contagioso (…)”- di Franco Giovannini, alpinista, scrittore e viaggiatore nelle terre più isolate del Pianeta  -“(…) Il Rolly a Milano, oltre al nome, nel suo zaino si portava la stazza e il vocione del Ciro, però la testa della mamma Emma era forse il capitale più importante del suo Patrimonio, quello più nascosto e segreto (…)”- .
del poeta trentino Italo Leveghi -“(…) Con questa sua montagna, la Paganella, questo eterno ragazzo granatiere ha sempre avuto un rapporto particolare e duraturo, a partire da quando il papà Ciro lo portò da Lavis, piccolino, per il battesimo con la neve (ma Rolly è stato anche piccolino?) (…)”- di Ennio Rossignoli, storico presentatore e moderatore degli incontri letterari di Cortina ed attualmente giornalista e opinionista per i quotidiani del gruppo Repubblica -“(…) Uno scrittore particolare, di quelli che sembrano vergognarsi di avere a che fare con la letteratura e vogliono solo raccontare cose di vita con verità e semplicità (…)”.    
E di una gloria della Valanga Rosa come Beba Schranz, sciatrice eclettica della nazionale italiana tra il 1968 ed il 1972: “(…) Su Topolino, oltre alle avventure dei protagonisti, c’era una rubrica da noi molto seguita dedicata allo sci, alle agre e  ai suoi campioni , tenuta da Rolly Marchi che per noi era uno degli eroi del giornaletto, alla stessa stregua di Topolino, paperino, Clarabella o del Commissario Basettoni (…)”.     
E che dire delle immagini: abbondano ed è giusto che sia così, perché ripercorrere novantadue anni di vita significa anche rivederli tutti quegli anni, con tutti i suoi protagonisti: dalla famiglia -gli scatti di papà Ciro e mamma Emma- al matrimonio con la bella Graziella, alle tenere foto con i figli Jacopo e Paolo, sino alle simpatiche  nipotine Bianca, Viola ed Alice. Con le passioni di gioventù: il ciclismo con Gastone Nencini e Aldo Moser, l’atletica con il Gruppo Cesare Battisti e l’infinita carrellata degli amici della neve. Già, la neve: con la forte e bella campionessa austriaca di sci Hilde Doleschell, con il pioniere degli impianti a fune Giovanni Graffer, con le generazioni di “topolini” -ovvero i piccoli sciatori che nel corso dei decenni hanno preso parte al  Trofeo Topolino (Gustav e Roland Thoeni, Marc Giradelli, Deborah Compagnoni, Alberto Tomba…), per spiccare il volo verso la notorietà mondiale-, con Mike Bongiorno, Giorgio Mondadori, Giorgio Soavi, Walt Disney ed il suo inseparabile cappellone nero, Zeno Colò, Leo Gasperl, Celina Seghi, Eugenio Monti, l’Aga Kahn, Livio Berruti, Cesare Maestri, Carla Marchelli, Francesco Moser, Daniela Ceccarelli, Omero Vaghi, Claudia Giordani, Toni Sailer, Jean Clude Killy, Ingemar Stenmark, Ildegarda Traffa, Iaia Ercolani, Marco Franceschini, Tenzing Norgay, Manolo, Mauro Corona, Reinhold Messner, Teo Fabi, Walter Bonatti, Renato Guttuso, Sergio Saviane, Guido Piovene, Giorgio Bocca, Giuseppe Berto, Piero Chiara, Andrea Zanzotto, Vittorio Gassman, Mario Soldati, Leni Riefenstahl, Pietro Barilla, Umberto Veronesi, Riccardo Muti, Ottavio Missoni, Riccardo Cassin, Oliviero Toscani, Margherita Hack, Marta Marzotto, Vittorio Sgarbi, Teresio Valsesia, Jas Gawronski, Kristian Ghedina, Hans Kammerlander, Lino Lacedelli, Livio Berruti, Luca Cordero di Montezemolo. Giusto per citarne alcuni…
Poi i suoi libri: Oltre la roccia grigia (1957, Premio St. Vincent), Un pezzo d’uomo (1967), Parole bianche,  Le mani dure (1974), Ride la luna (1979, Premio Selezione Campiello), Il tram della vita (1983), Neve per dimenticare (1993),  Il silenzio delle cicale (1995), E ancora la neve (2001), Se non ci fosse l’amore (2006). “I suoi libri sono in larga parte autobiografici e accompagnano tutti i periodi più importanti della sua vita e tutte le sue passioni”, ha scritto Giuseppe Mendicino, sottolinenando come “definirlo una personalità eclettica è davvero poco. Alpinista, scrittore, sciatore, ciclista, atleta, fotografo, organizzatore di eventi sportivi, inventore del Trofeo Topolino, giornalista sportivo (…)”. Aggiungere filantropo non guasta, visti i tanti impegni umanitari in cui è (stato) coinvolto: il tutto partendo da quell’innato senso di umanità che pervade la natura di questo trentino tutto d’un pezzo!
Ma soprattutto c’è “la signora” della sua vita, la montagna, cui ha legato la sua vita con una corda doppia, per dirla con linguaggio degli alpinisti… “Le montagne le amo da ottant’anni (ora 89…) Perché sono nato davanti a una montagna molto conosciuta, bella in ogni stagione e con un nome molto diffuso da un coro sempre più celebre: Paganella. Il coro era, e lo è ancora, quello della Sat, la Società degli Alpinisti Tridentini, e io sono trentino. Abitavamo a Lavis, otto chilometri a nord di Trento e ogni giorno, quando mio padre o mia madre  aprivano gli scuri della finestra, la Paganella era là, di fronte, duemila metri di roccia e poi il cielo. Papà, alpinista fervente, mi ci portò in cima dentro uno zaino! Era il 1924, avevo tre anni. Quel giorno non lo ricordo bene, però l’episodio mia madre me l’ha raccontato così tante volte fino a convincermi, senza volerlo, di ricordarlo e farmelo rivivere (…)”.
Passione divorante che ha condiviso con un grande della letteratura italiana del Novecento, quel Dino Buzzati cui lo legava, oltretutto, una stretta amicizia personale: “(…) Perché lo ricordo? Perché ne scrivo? In parte per la libertà che mi prendo di rendere pubblico un affetto che ancora mi stimola. Ma soprattutto perché la grande passione di Buzzati non furono la letteratura, il giornalismo, la pittura o la musica, come tutti credono. No, la sua grande passione fu la montagna, innevata o rocciosa non importava. Nella vita gli riuscì quasi tutto: il trionfo nella scrittura, la perfezione in giornalismo, la gioia nella pittura, il privilegio di avere tantissimi amici e, avesse alzato un dito, di farsi amare da qualsiasi donna. Eppure la sua amante fu la montagna, i colori e la potenza delle Dolomiti, i misteri dei vasti silenzi, i segreti dei boschi e dei deserti alpini (…)”. Passione che ha condiviso con Mario Rigoni Stern “che era veneto di Asiago capitale del bellissimo altopiano al quale ha dedicato pagine esemplari di amore per la natura alpina e per gli animali che la abitano e la arricchiscono. Scrittore apprezzato nel mondo, ha ambientato il suo primo romanzo, Il sergente nella neve, nel gelo dell’ultima guerra mondiale in Russia, della quale è stato attore con il famoso cappello d’alpino. Poi ha continuato a scrivere e a camminare anche nei suoi boschi con e senza gli sci fino alla fine, fra l’una e l’altra delle sue bellissime pagine (…)”. O con un giovanissimo Goffredo Parise, “conosciuto a Valdagno nei primi anni Cinquanta durante i fastosi raduni dell’allora fastoso premio Marzotto dove però lui navigava sempre a rispettosa distanza di sicurezza. Non per mancanza di rispetto verso i magnati di Valdagno, questo no, ma credo per una sorta di fierezza o per amore di indipendenza (…)”. Non tralasciando i ricordi cortinesi con Indro Montanelli, cui “potrei riempire di ricordi un’intera pagina ma il destinatario mi darebbe una tiratina d’orecchie (…). La vita ampezzana di Indro era metodica: sveglia, parca colazione, lettura dei giornali, gita o passeggiata che fosse alle ore undici, colazione e la pomeriggio l’eventuale articolo o scrittura (…)”. E poi le saettanti espressioni di Gianni Brera -“(…) Rolando Marchi, il Rolly, El Rollon. Conosciuto nell’immediato dopoguerra, con ferita aperta sulla spalla destra (una raffica al bagnasciuga, durante lo sbarco alleato (…)”-   la convincente promozione di Camilla Cederna -“(…) Ecco la “freccia pedagogica” per gli sci, inventata da un tipo a Milano, notissimo, gran statura, gran torace, occhio turchino, e sorriso convincente (…)”- le recensioni di Giovanni Arpino -“(…) Rolly Marchi, reporter e vagabondo, doveva approdare a questo romanzo, che costituisce una svolta per la sua scrittura, forse per le stesse tendenze di testimone contemporaneo. La parete, il freddo, la scalata, i chiodi, le mani dure (…)”- Carlo Sgorlon -“(…) Siamo tutti inesorabilmente trasportati dal “tram della vita”: un’immagine che è suscitata nell’autore da un vecchio tram che attraversava la Val di Non e nei punti in cui la salita era più aspra aveva bisogno di farsi trainare da una coppia di buoi “(…)”- Gaetano Afeltra -“(…) Il suo amore per la montagna, Marchi, trentino di nascita e milanese per scelta da oltre mezzo secolo, lo ha fatto diventare impegno di vita prima ancora che una professione, condiviso per anni con lo scrittore che la montagna l’aveva nel cuore: Dino Buzzati “(…)”.
Il ricordo che Rolly stesso fa di un grande romanziere della provincia veneta come Luigi Meneghello, è uno spaccato di quella “vita quotidiana” tanto cara ai sociologi della cultura: “(…) da me conosciuto quaranta e più anni orsono dopo aver letto la sua “rivelazione”, il romanzo del suo paese, della sua amata terra che titolò Libera nos a malo. Era infatti nato a Malo (…)”.
Sino all’immancabile chiusura affidata al figlio Jacopo, il secondogenito del nostro cantore dolomitico, ora in versione oceanica: “(…) Potrà sembrare strano ed è certamente curioso che nel ripercorrere i miei primi cinquant’anni con “papà Rolly” (solo nonna Emma lo ha sempre chiamato Rolando) non penso alle montagne ma..al mare, anzi all’Oceano più bello e insidioso (…) Al dunque, certi momenti dell’avventura della vita non hanno bisogno di molte parole. Grazie di essere venuto fino a Capo Horn, grande e unico Rolly (…)”.
Già, il mare. Come quello che Rolly ammirò con me la mattina di quel 6 luglio 2008 quando, dopo una indimenticabile serata trascorsa nel salotto di “Praia, a mare con…” a presentare il suo ultimo libro, ammirava estasiato la possente bellezza dell’Isola di Dino, giusto un tiro di schioppo dalla superba affacciata del Castello della nostra comune amica Fiore Cosentini. Già: il mare e le montagne di Calabria. Lunga vita a Rolly…                                      

Rolly Marchi. Cuore trentino, (a cura di Bepi Pellegrinon, con testi di Rolly Marchi e contributi vari), Nuovi Sentieri Editore, Belluno 2013, pag. 324, € 35,00