“<<Calabri rapuere>>.La frase, che compare nell’epitaffio di Virgilio, si attaglia benissimo al rapimento che, fin da primo incontro, la Calabria ha esercitato su di me. Fate come i viaggiatori stranieri ed in naturalisti del passato, venite qui, adoratori dei monti e della abetaie alpine, voi che giudicate questo Sud troppo arido, brullo e riarso; immergetevi in questi boschi maestosi, apprezzate la divina misura di pini, abeti bianchi e faggi. Resterete annichiliti di fronte alle piramidi arboree dei Giganti della Sila, monumenti impareggiabili, frutto di centinaia di inverni nevosi, di primavere profumate, di autunni fiammeggianti, di estati ventose…”. (1

Una decina d’anni fa, grazie a questa autorevole presentazione di Fulco Pratesi, padre nobile dell’ambientalismo italiano, Francesco Bevilacqua, con la collaborazione editoriale di Mauro Francesco Minervino, ci guidava in un completo ed affascinante viaggio lungo le massime espressioni della montagna calabrese: il Pollino, l’Orsomarso, la Catena Costiera, la Sila (Grande, Greca e Piccola), le Serre catanzaresi fino alla sommità più meridionale, quell’Aspromonte conosciuto soprattutto come luogo di ambientazione di efferati crimini. Non è mai stato facile presentare la montagna di Calabria al cospetto del grande pubblico: un po’ per la tradizionale ritrosia ed il “sospetto” verso tutto ciò che proviene dal meridione d’Italia, un po’ perchè la penisola calabrese appare, agli occhi dell’opinione pubblica, soprattutto come una realtà esclusivamente marinara. In realtà, le cose sono ben diverse…       
“Penisola nella penisola, 780 chilometri di coste, la Calabria -più ancora che una regione di spiagge e di mari- è, paradossalmente, una terra di montagne. Montagne isolate ed isolatrici, diverse le une dalle altre, appenniniche quelle del nord, simili alle Alpi -sotto molti aspetti- quelle del centro-sud. E queste montagne danno vita a paesaggi, come descriveva Giuseppe Isnardi, che sono veri capolavori di architettura naturale”. (2
Non è un caso che scelga come guida esplorativa proprio Francesco Bevilacqua: certo, c’è una forte amicizia di fondo, un’unità d’intenti in fatto di ambiente calabrese, ma c’è anche molto d’altro. Pochi, come lui, conoscono a fondo la natura calabrese, le sue problematiche, le sue strutture morfologiche e, ad un tempo, antropologiche.  Avvocato di professione, giornalista, fotografo naturalista, scrittore, trekker ed alpinista per passione, la nostra guida ha alle spalle oltre trent’anni di ambientalismo, prima con Italia Nostra, poi con il Wwf Italia ed il Club Alpino: non vi è angolo della lunga penisola calabrese dove non abbia messo piede, percorrendo migliaia di chilometri in ogni condizione ambientale, in ogni stagione, con ogni clima, ora sulle tracce degli ultimi esemplari di lupo appenninico, ora coraggioso paladino di alcune delle più irreali forme arboree che vivono in questa straordinaria e poco conosciuta terra, o, ancora, guidando comitati civici ed associazioni per cercare di strappare tratti di costa a picco sul mare o angoli incantati dell’entroterra dagli appetiti di speculatori edilizi, pronti -sempre più spesso ed oggi con maggiore veemenza- a calare l’ennesimo sacco cementizio.         
Firma competente di reportages su Airone, Bell’Italia, Natura Oggi, Oasis, Ulisse, Panorama, Alp, Panda, Rivista del Trekking, Rivista del Cai, Calabria, Gazzetta del Sud e produttore di servizi radio-televisivi per conto della Rai, Bevilacqua ha la rara capacità di accompagnare il lettore attraverso tutti e sei i gruppi montuosi che fanno della Calabria una regione paradossalmente montuosa e collinare: realtà tutte diverse tra loro, grazie ad una tipicità che le ha, da un lato, preservate nei secoli proprio grazie alla loro inaccessibilità e, dall’altro, le sta facendo scoprire ed apprezzare, proprio in questi ultimi anni, grazie ad una pubblicistica locale e nazionale finalmente attenta.
E lo strumento usato dalla nostra guida è quanto mai singolare: ha scelto alcuni tra i più autorevoli e storici conoscitori della montagna calabrese che in varie epoche l’hanno attraversata in lungo ed in largo: ecco, allora,  Leandro Alberti, Gabriele  Barrio, Giuseppe Berto, Paul Bourget, San Bruno di Colonia, Vincenzo Campanile, Guido Capanna, Richard Keppel Craven, Emilio Cortese, Francesco De Cristo, Dionigi D’Alicarnasso, Astollfe De Custine, Leon Palustre De Montifaut, Dominique-Vivant Denon, Horace De Rilliet, Joseph Destre, Charles Didier, Norman Douglas, Duret De Travel, Flavio Magno, Aurelio Cassiodoro, George Gissing, Giuseppe Isnardi, Helmut Kanter, Carlo Maria L’Occaso, Edward Lear, Francois Lenormant, Cesare Pavese, Luigi Petagna, Guido Piovene, Augusto Placanica, Folco Quilici, Fulco Pratesi, Tait Craufurd Ramage, Leonida Rèpaci, Claudio Giovanni Richard, Vanni Scheiwiller, Matilde Serao, Francesco Sisinni, Henry Swinburne, Franco Tassi, Michele Tenore, Justus Tommasini, Victor Joseph Widmann, Umberto Zanotti Bianco, Giancarlo Zizola.
Ebbene: a parte scrittori-viaggiatori ed intellettuali a noi più vicini nel tempo, se non addirittura contemporanei, quali Isnardi, Zanotti Bianco, Pavese, Piovene, Repaci, Scheiwiller, Quilici, Berto, Placanica, Zizola, Sisinni, Pratesi e Tassi, molti di questo variegato gruppo di viaggiatori ebbero l’ardire di inoltrarsi attraverso le lontane, sconosciute e desolate terre di Calabria soprattutto nell’arco temporale che va dagli inizi dell’Ottocento a quelli del Novecento: sfruttando l’onda lunga di quel “Grand Tour” di romantica memoria che tanto successo aveva fatto registrare tra poeti, scrittori, letterati, intellettuali che partivano dalle fredde ed altrettanto desolate terre del centro e nord Europa per ritrovarsi sulle coste di Campania, Calabria e Sicilia per poi tentare la scoperta dell’entroterra. Quest’ultimo, del tutto sconosciuto.        
Seguendo gli itinerari di viaggio, è il massiccio del Pollino che dava il benvenuto in Calabria: “A settentrione si eleva un alto monte, il Pollino, così detto da Polleo, perché sembra ricco di ottime erbe utili in medicina” (Gabriele Barrio). “Il panorama è concluso, su questo lato, dall’alta linea del Pollino e del Dolcedorme, pini seghettati che anche ora (è estate) mostrano qualche chiazza di neve. Nitidamente stagliate nella luce del mattino, queste stupende montagne sembrano fondersi, al tramonto, in una nebbia di ametista. Una visione di pace” (Norman Douglas).
Qualche decina di chilometri a sud, ed ecco i “dolomitici” Monti dell’Orsomarso:  “Per dieci minuti rimasi ad ammirare quel selvaggio luogo e le pareti delle tre vette del monte Fàrraco, specialmente quella della Pietra Perciata, che imponenti si presentavano al mio sguardo” (Vincenzo Campanile). “Tutti i valloni sono profondi ed orridi, ed alcuni forse inesplorati, e tutta la regione ha un aspetto alpestre caratteristico. I boschi sono costituiti da faggi giganteschi, colossi che nessuno utilizza” (Emilio Cortese). Ancora a sud, lungo la Catena Costiera che fa da spartiacque tra il Tirreno ed il cuore della Regione: “dalla zona dell’arancio, dell’ulivo e del fico d’india passammo a quella della quercia e del faggio. Attraverso le nebbie che fluttuavano in basso e in lontananza, vedevo chilometri di spiaggia ed il confine sempre più lontano del mare e del cielo (…)” (George Gissing).
Poi ad est, nell’incanto della Sila: “Seppellito sotto un lenzuolo di neve, l’altipiano silano rimane deserto l’intero inverno fino al mese di giugno. Ma d’allora in poi, sino ad ottobre, tutta questa zona diventa un soggiorno delizioso, ove può evitarsi l’insopportabile calore ardente delle basse regioni” (Francois Lenormant). “La Sila è un paradosso che ci riporta a certe composizioni surreali… sembra a tratti di essere caduti in un angolo della Scandinavia, con i pini silani più alti e più snelli degli abeti nordici” (Guido Piovene). “La foresta del Gariglione era un autentico “Urwald” o giungla vergine. Per quanto mi risulta, non esiste nulla di simile da questa parte della delle Alpi, e nemmeno nelle Alpi stesse” (Norman Douglas).Ancora più a sud, lungo la catena delle Serre: “ Sul retro del monastero c’è una maestosa foresta di abeti bianchi: ero lì, nell’ora dorata che segue il tramonto e di nuovo nella luce fioca del mattino madido di rugiada” ( Norman Douglas).
Infine la sommità più meridionale, l’Aspromonte: era ancora buio quando raggiungemmo la più alta cima dell’Aspromonte, e d’un tratto l’aurora la sfiorò. Appena sfiorò con le sue dita, la cima non presentita di un’alta montagna, la vetta nevosa dell’Etna escì da quell’ammasso pauroso di solitudini ammantata di viola…”. (Umberto Zanotti Bianco).
E’ tutto qui il nodo storico e culturale, oggetto di questa introduzione:  se la Calabria “costiera” era riuscita ad ottenere un ruolo di primissimo piano all’epoca del “trasferimento” della cultura classica dalla madre patria Grecia, seguendo la rotta occidentale -che permise così a quell’antica civiltà di approdare lungo le vicine coste, prima joniche e poi tirreniche, fondendosi con la cultura latina- viceversa la Calabria “montana” -il cuore della regione- sarebbe rimasto per lungo tempo del tutto impermeabile a tale travaso: contribuendo, certamente, a preservare la parte centrale della regione, quella cioè occupata dai principali gruppi montuosi, ma altresì a renderla del tutto sconosciuta sino addirittura a secondo dopoguerra! Ecco perchè la scoperta sarebbe avvenuta solo in epoca praticamente a noi contemporanea…
“Macchè deserto arido e riarso: eccola, la Calabria, bella e quasi sconosciuta, dal volto schietto e gratificante, modellata a piene mani da madre natura con larga generosità di colori, odori, sapori, di montagne verdi intriganti; una terra che ai più (e non solo del Nord), sembrerà irreale, poiché come rileva Bevilacqua, l’immaginario collettivo se la figura preconcettualmente come una landa desolata, salvo forse le coste, alcune delle quali sono legittimamente considerate dei santuari del turismo internazionale. Invece c’è anche una Calabria delle montagne (…)”. (3
Una decina d’anni fa, quando Teresio Valsesia, direttore della Rivista del Club Alpino Italiano, evidenziava la realtà dei fatti, coglieva appieno il senso della realtà geografica calabrese, con tanto di indagine socio-antropologica rivolta in primo luogo al territorio, inteso come habitat, in cui convivono le più disparate esigenze umane: una riflessione profonda sui tanti mali di una terra tanto bella quanto sfortunata, con le indicazioni per le possibili vie d’uscita da una lunga e storica “esclusione” che -è bene sottolinearlo- è apparsa soprattutto sociale prima ancora che economica e politica.
Curando la prefazione del fortunato testo di Bevilacqua, il cui titolo “Montagne di Calabria” rimane più che mai emblematico, l’autorevole firma del Club Alpino Italiano evidenziava, in sostanza, il  passaggio dalla geografia fisica a quella umana, per cercare di sconfiggere tutti gli stereotipi, “compresi quelli delle paure ancestrali, del brigantaggio antico e recente, dell’insicurezza e dell’impenetrabilità delle sue aree più marginali e selvagge. Selvagge sì, ma perché ricche di selve; e non è compito trascurabile quello di Bevilacqua, di cancellare i pregiudizi più radicati e di ribaltare l’immagine fisica, e soprattutto orografica, riscoprendone e rivalutandone sia la complessità dei valori culturali, sia la ricchezza delle emergenze ambientali. E nessuno meglio dell’autore è legittimato a compiere questa operazione, poiché Francesco Bevilacqua è tra i più profondi conoscitori della sua terra che, in verità, è un poco snobbata dagli stessi calabresi e assai gettonata invece dai forestieri, tedeschi in prima linea”. (4
Ed in un certo senso, nell’immaginario collettivo rimane ancor oggi l’idea di una Calabria il cui colore dominate è l’azzurro del mare, potenziale vittima di “aggressioni” sempre più evidenti in particolari periodi dell’anno.
Ma per fortuna esiste anche una Calabria verde, come il colore delle immense foreste che si estendono, spesso a perdita d'occhio, all'interno dei sei sistemi montuosi che fanno di essa una tra le prime, in Italia, per superficie boschiva: il massiccio del  Pollino, la catena dell'Orsomarso, quella Costiera, l'Altopiano della Sila, le Serre ed il massiccio conico dell'Aspromonte. Ognuna di queste realtà montane è perfettamente diversa dall'altra, ognuna possiede delle peculiarità tali che basta spostarsi di soli pochi chilometri per pensare di aver cambiato Regione se non addirittura Nazione.
Un esempio? La catena dell'Orsomarso presenta caratteri tipicamente alpini, anzi dolomitici, per quel susseguirsi di guglie e picchi, costituiti proprio dalla roccia dolomia che, particolarmente in inverno, grazie alle diverse tonalità che il sole irradia sulle coltre di neve, non difficilmente fa ricordare le più famose e celebrate cime del nord-est, i Monti Pallidi, le impareggiabili Dolomiti tanto care ai vari Dino Buzzati, Goffredo Parise, Mario Rigoni Stern, Rolly Marchi. Paragone azzardato nell’immaginario collettivo, ma l’impressione reale, quella che se ne ricava dalla semplice osservazione, non di rado regala quelle stesse sensazioni. Con tutte le ovvie limitazioni…
Giri l’angolo e ti trovi in Sila, calato in un angolo di “grande nord”: qui, tra le immense foreste di pino laricio, di faggio, di abete bianco, tra i caratteristici villaggi, tra i pascoli d’alta quota dove tutto è un brulicare di flora e fauna, sembra di essere stati teletrasportati in Canada o nella penisola scandinava: è la Sila del “paradosso paesaggistico” cui alludeva un veneto del calibro di Guido Piovene!
E potrei continuare citando le altre “altezze” calabresi, ognuna diversa dall'altra, ognuna con toponimi particolari, ad indicare storia e leggenda di una terra che -e lo vado ripetendo da sempre-, appare come baciata dall'Altissimo, ma non rispettata come dovrebbe dagli uomini, cioè da noi stessi.
Il grande pubblico, effettivamente, conosce poco la Calabria “verde” o “bianca” che sia: sa poco delle splendide realtà di tutti i centri montani, molti dei quali solo di recente sono usciti fuori da un isolamento secolare, per affacciarsi timidamente anche ad un mercato turistico che, speriamo, sappia valorizzarli al meglio: ed in questo “grande pubblico” purtroppo rientriamo anche noi calabresi, spesso attratti da altre mete, dimentichi dell’immenso patrimonio a portata di mano, appena fuori dall’uscio della nostra casa.
La verità, anche se dura a dirsi, è che molti di noi non solo conoscono poco o nulla la propria terra, ma fanno ancor meno per dare ad essa -ed alle montagne in particolare- quella giusta valorizzazione che da tempo, forse troppo, attendiamo: come non  scomodare sociologi del calibro di Edward Banfield  o di Robert Putnam nelle analisi  sulla “cooperazione intesa come fattore esplicativo della capacità di funzionamento dei governi regionali italiani” quando sostengono che “la presenza di una tradizione civica forte, imperniata su una buona cooperazione tra attori singoli e/o collettivi, crea le condizioni ambientali del buon governo  in alcune regioni, e  nello stesso tempo, 1’assenza o la debolezza di una tale tradizione è responsabile delle meno brillanti prestazioni dei governi delle altre regioni”. (5
Al di la dell’analisi critica, in Calabria -proprio sulla scia di una lunga tradizione di scrittori, poeti ed intellettuali, tutti rigorosamente viaggiatori- è più che mai vivo un tessuto culturale che guarda al patrimonio montano con rinnovato interesse e responsabilità: sarà per i tre Parchi nazionali (quello del Pollino, quello della Sila e quello dell’Aspromonte), per le riserve regionali, per le aree gestite dal Wwf e da altre associazioni ambientalistiche, per una fitta rete di “camminatori” contemporanei, ma oggi fortunatamente la situazione sembra essersi miracolosamente ribaltata, proprio in favore della montagna. E così, dal nord al sud della lunga penisola calabrese, si moltiplicano le eccellenze culturali che hanno preso a cuore la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione delle “altezze” calabresi.
Come capita da quarantacinque anni in quel di Castrovillari, estremo nord della Regione, dove un intellettuale come Mimmo Sancineto, pittore prima ed editore dopo, ha posto una pietra miliare nel settore: la sua galleria d’arte e casa editrice “Il Coscile”, dal 1969 è un cenacolo culturale che guarda al Pollino come fonte d’ispirazione;come contribuisce a fare “Apollinea. La rivista del territorio del Parco Nazionale del Pollino” che dal 1997 incarna lo spirito più vero e più puro di questa montagna e del suo mirabile emblema, quel pino loricato, emblema di mille battaglie in difesa dell’area protetta più grande d’Italia e tra le più vaste d’Europa, divenuto esso stesso il simbolo del parco. Un portento, quell’albero! Come la stessa rivista, attorno alla quale intellettuali come il già citato Bevilacqua, Giorgio Braschi -le cui guide sui sentieri del Pollino solleticarono la mia fantasia ormai quasi trent’ani fa…-  o Franco Tassi -icona dell’ambientalismo italiano e già direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo- insieme a tutti i collaboratori, continuano la difficile opera di “divulgazione conoscitiva” in nome di questo meraviglioso massiccio.
O come capita nel cuore della Sila: qui, seguendo le antiche “esplorazioni” di quel folto gruppo di avventurieri mittleuropei, un’intera generazione di poeti e scrittori locali continua incessante il proprio canto d’amore per il grande altopiano: a partire da quel Nicola Misasi (1850-1923) simbolo della letteratura veristico-regionalistica del secondo ‘800, sino a quella vasta letteratura contemporanea che ha raggiunto il suo culmine addirittura con lo scrittore veneto Giuseppe Berto (1914-1978) ed il suo “Il brigante” o con notevoli prove cinematografiche come “Il lupo della Sila” che nel 1949 avrebbe portato tra le immense foreste calabresi attori del calibro di Silvana Mangano, Amedeo Nazzari e Vittorio Gassman.
Sino ai miei amici Aldo Colonna, Costantino Fazzari, Enzo Pianelli, fieri della loro “silanità”, ciascuno con il personale e particolare contributo per lo sviluppo di questo spettacolare altipiano. Come da anni ama fare, sulle pagine delle decine di pubblicazioni, Egidio Bevilacqua, con la sua “La Dea Editore”, progetto culturale tra i più meritori, vero marketing turistico delle quattro stagioni silane.
E lo stesso accade più a sud: “(…) delle Serre ricordo indelebilmente gli abeti bianchi: patriarchi fra i più maestosi, che reggono il confronto con i loro fratelli alpini. Ricordo le lunghe giornate fra quelle cattedrali verdi, scandite dall’atmosfera irreale dei pochi luoghi rimasti ancora fuori dal mondo, che offrono però opportunità di ascoltare la voce del silenzio. Incantesimo sempre più raro (…)”. (6
Per giungere proprio nell’area sommitale dell’estremo sud della Calabria, in quell’Aspromonte, carico di fascino e mistero: “(…) fino a qualche tempo fa, la maggior parte degli italiani conosceva l’Aspromonte solo perché ricordava vagamente che Giuseppe Garibaldi vi era stato ferito due anni dopo la sua storica marcia di conquista del Mezzogiorno. Pochi avevano letto le forti e bellissime pagine di Corrado Alvaro, traendo da “Gente in Aspromonte” e dagli altri racconti le immagini vitali e remote di una terra patriarcale piena di fascino e di sofferenza. Poi, nell’immaginario collettivo l’Aspromonte si è identificato soltanto con la montagna del brigantaggio e dei sequestri. Pochi l’hanno dunque visitato, percorso e conosciuto a fondo (…)”. (7  
Sono convinto che servano più le continue sollecitazioni sull’opinione pubblica, che tutte le parole, i convegni, gli incontri di chi -spesso per pura propaganda- ha utilizzato la tutela ambientale per ogni sorta di fine, da quello politico-elettoralistico, a quello puramente contemplativo: troppo poco, veramente, per una terra come la Calabria che, memore dell’imponente passato di Storia, Cultura e Tradizioni, sicuramente meriterebbe di più: basterebbe che ogni “buon calabrese” si impegnasse sul piano della vita quotidiana, ciascuno nel proprio campo d’azione, personale o professionale. Qualche anno addietro, nel dare alle stampe il mio “Tracce di Calabria” mi auguravo “(…) con centoquarantatre tracce, di offrire uno spaccato autorevole, colto e -soprattutto- sentito della penisola calabrese, soffrendo per  i suoi atavici ritardi e sperando, sempre e comunque, nel suo irrinunciabile rilancio (…)”. (8      
Anche scrivendo di paesaggio e narrando di montagne, abbiamo il dovere morale di rompere quel vecchio e sin’ora mai superato meccanismo perverso che blocca “(…) la buona Calabria dei buoni calabresi, moderni e svegli nel pensare e progettare, ma custodi dell’ antico coraggio delle idee e dei fatti. Si deve: per il destino dei calabresi che oggi sono ancora bambini nelle culle, o che popolano le prime classi di scuole che li spingono alla speranza: si deve, perché non si dovrebbe fare?”. (9
Anche scrivendo di montagne…  

Indicazioni bibliografiche

1) Pratesi Fulco, “Calabri rapuere”, Prefazione a “Francesco Bevilacqua e Mauro Francesco Minervino, I monti del mito”, Abramo Editore, Catanzaro 2003, pag. 1;
2) Bevilacqua Francesco. op.ult. cit. pag. 2;
3)Valsesia Teresio, Prefazione a Francesco Bevilacqua, Montagne di Calabria. Guida storico-naturalistica ed escursionistica, Rubbettino, Soveria  Mannelli (Cz), 2003, pag. 16;
4) Valsesia Teresio, op. cit. p. 16;
5)Cotesta Vittorio,  Fiducia, cooperazione, solidarietà - Strategie per il cambiamento sociale, Liguori, Napoli, 1998, pag. 93;
6) Valsesia Teresio, Prefazione a Francesco Bevilacqua, Il Parco delle Serre. Guida naturalistica ed escursionistica, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2002, pag. 12
7) Tassi Franco, Prefazione a Francesco Bevilacqua, Alfonso Picone Chiodo,  Il Parco Nazionale dell’Aspromonte. Guida naturalistica ed escursionistica, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 1999, pag. 10; 
8) Lorito Egidio, Tracce di Calabria. Lo sguardo indietro, il cuore avanti, Il Coscile, Castrovillari (Cs), 2005, p. 11;
9) Placanica Augusto, Calabria. In Calabria e Lucania. La memoria dei tempi lunghi, Calice, Roma 1994, pag. 17

 

Referenze fotografiche

  1. Isola di Dino, Praia a Mare. Foto Egidio Lorito;
  2. Esemplare di pino loricato, Parco Nazionale del Pollino. Foto Francesco Di Benedetto;
  3. Scorcio di foresta silana invernale. Foto Egidio Bevilacqua;
  4. Lago Cecita, Sila Grande, in versione invernale. Foto Egidio Lorito;
  5. Lago Arvo, Sila Grande, in versione estiva. Foto Francesco Bevilacqua;
  6. Massiccio del Pollino, versante meridionale. Foto Francesco Di Benedetto.
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