“Ogni giorno nel nostro Paese milioni di persone compiono atti il cui fondamento si inscrive nella tradizione religiosa della Nazione. Ogni giorno milioni di persone guardano alla cassetta di strumenti fornita dalla Chiesa cattolica per trovare orientamenti, magari da disattendere, ma utili a fornire uno scenario per navigare i tempi della tarda modernità. Ogni giorno milioni di persone pregano, chiedono grazie, si riuniscono, programmano attività, visitano luoghi sacri, partecipano a pellegrinaggi, salgono i gradini del sagrato chiedendo consolazione per una vita diversa da quella attesa, chiedono senso a ciò che capita alla loro vita, chiedono riconoscimento, senso di appartenenza. In tanti trovano nell’ambito ecclesiale compagnia e progettualità nelle questioni di natura più intima e privata o nel desiderio di un impegno rivolto agli altri, co-religati o meno che siano. Ancora oggi in tantissimi suggellano le fasi di passaggio della loro vita attraverso la partecipazione ad un rito religioso: ancora oggi i servizi offerti dalla Chiesa accompagnano il cammino e le debolezze della vita di tanti italiani”.
Le conversazioni con Vincenzo Bova da sempre assumono un carattere pacato e tranquillizzante, non foss’altro che questo autorevole sociologo calabrese originario di Reggio Calabria, possiede la rara virtù comportamentale di tranquillizzare l’interlocutore, studente in sede di esame o intervistatore. Ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, attualmente docente di “Sociologia delle religioni” e di “Famiglia e mutamento sociale” nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della Università della Calabria, Vincenzo Bova ha curato, per molti anni, gli insegnamenti di Sociologia politica e di Sociologia dei movimenti collettivi, entrando -quindi- nel cuore della analisi politica attraverso lo strumento sociologico.
Partiamo dalla Sua Reggio, “La città implosiva”?
“Quel saggio del 1995 ripercorreva la storia del movimento di rivolta esploso a Reggio Calabria, la mia citta, proprio all’inizio degli anni Settanta, analizzando soprattutto le conseguenze sociali di quell’esperienza di vera partecipazione popolare e come, nel corso degli anni successivi alla rivolta, il confronto tra movimento ed istituzioni si sia concluso con una sconfitta che ha accomunato entrambe le parti. Reggio, in quei drammatici eventi, vide apparire un movimento sociale che si dissolse senza lasciare, purtroppo, tracce apprezzabili, ma -comunque- rimane il dato socio-politico della partecipazione sociale ai processi di organizzazione e governo di un territorio che, da allora, non sarebbe stato più lo stesso!”
Cambio di prospettiva: entriamo nel cuore della storia del cattolicesimo italiano…
“Un cambio di rotta, direi, cui mi ha condotto l’ultima fase della mia ricerca accademica, la riflessione sociologica sulla religione. Partendo dai classici del pensiero, ho affrontato il concetto di religiosità, come si studia la religione, ed argomenti molto attuali nella società italiana quali il rapporto tra potere temporale e spirituale, quello tra gli italiani e la Chiesa Cattolica con i suoi lenti ma inesorabili processi di innovazione, passando per l’associazionismo con il caso di Comunione e liberazione: senza dimenticare lo sguardo “comparato” che mi ha guidato sin dentro i meandri della Chiesa polacca, con quella <<religiosità in movimento>> rappresentata anche dal caso “Solidarnosc” che tanta parte ha avuto in un evento storico come il crollo del muro di Berlino, in cui si sono fuse tutte assieme trasformazione sociale, religiosità e partecipazione politica”.
Il ruolo della Chiesa non passa certo inosservato…
“E’ raro assistere ad un dibattito televisivo su temi cui l’opinione pubblica è sensibile senza che la Chiesa vi entri in qualche modo attraverso i suoi insegnamenti, le sue opere o i suoi uomini. I pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche sulle questioni di interesse pubblico divengono sempre oggetto di dibattito più o meno acceso intorno al merito della presa di posizione ed alla storica questione della legittimità o meno di dichiarazioni che taluni accusano come invadenti campi dai quali la Chiesa dovrebbe stare fuori. Credo sia superfluo continuare con le esemplificazioni per dare corpo ad una affermazione evidente: nell’Italia frammentata e post-tutto-quello-che-c’era-prima, il cattolicesimo permane, per tanti, come una risorsa dotata di senso e, dopo il tramonto delle grandi visioni dell’uomo e della storia di derivazione positivista, l’unica subcultura ancora viva e numericamente consistente. Il cosiddetto <<mondo cattolico>> appare all’occhio distratto dei tanti che ne parlano e ne scrivono come una sorta di dinosauro, dalle inattese capacità adattive, che pervade tutti gli ambienti della vita sociale”.
La Chiesa non corre il rischio di apparire come un dinosauro?
“Da questa analisi, complicata dalla molteplicità di variabili da tenere sotto osservazione, possono venire risultati talvolta diversificati a seconda della prospettiva da cui si parte: rivitalizzazione? Declino? Quasi-monopolio religioso? Piccolo resto d’Israele? Museizzazione? Resta che, se la razionalità dell’uomo religioso è in un percorso di verifica di <<convenienza>> ad interpretare la sua esistenza con i parametri dettati da un credo, fintantoché il credere aiuta a vivere meglio, è ragionevole continuare a farlo. Se qualcosa c’è stata e continua ad esserci, è fuor di dubbio che ciò dipenda dal fatto che essa svolga una funzione sociale, una funzione che non trova altri e più adeguati strumenti che la sostituiscano. Che questa funzionalità si esplichi nel gesto individuale di una contemplazione rasserenante o in quei momenti di <<effervescenza collettiva>> che sacralizzano una collettività nascente, a tal fine poco importa. Come osservò lo storico delle religioni René Rémond, <<la religione della società non è senza relazione con la sincerità ed il fervore della fede personale: se non ci fossero più credenti, non esisterebbe più il problema del rapporto fra società e religione>> . Sottoscrivo appieno”.
La Sua ricerca mette in luce anche la dimensione spirituale di ognuno di noi.
“Nel nostro Paese il regime del pluralismo religioso è da intendersi quasi totalmente come un fenomeno che riguarda più che la dimensione interreligiosa, il cattolicesimo stesso, al punto di potersi parlare -come il titolo del saggio stesso- di cattolicesimi, cioè della molteplicità di modi con cui gli italiani vivono ed interpretano il loro continuare a dichiararsi cattolici. Questa dimensione plurale si può riscontrare anche all’interno della componente più attiva e militante del cattolicesimo: la competizione fra organizzazioni interne alla Chiesa cattolica si muove all’interno di un continuum desecolarizzazione-secolarizzazione in virtù dell’agire delle stesse forme organizzative in cui si struttura la presenza della Chiesa sul territorio”.
Professore, mi permetta: chi sono i cattolici? E’ possibile identificarli o identificarsi con essi?
“La risposta a queste domande è facilmente individuabile andando con la memoria a quelle elementari nozioni di catechismo con le quali noi tutti, in quanto italiani, volenti o nolenti, siamo stati socializzati: si diventa cattolici mediante il battesimo, sacramento grazie al quale si è accolti nella comunità ecclesiale e si aderisce al suo credo. La discriminante, il punto d’identità o di esclusione è in quell’atto, con il quale si entra a far parte della Chiesa cattolica. Da questo punto di vista, si può ben affermare che l’Italia, ieri come oggi, resti un paese profondamente cattolico. Ben sappiamo, tuttavia, che la pratica religiosa del cattolico, seppur abbia inizio con il battesimo e prosegua con l’iniziazione cristiana dei fanciulli, non si conclude con queste pratiche, ma prevede un cammino esperienziale di tipo comunitario con regole, riti, simboli e quotidiani momenti di verifica”.
Si nasce cattolici, ma poi…
“In Italia, si nasce quasi sicuramente cattolici, ma questa condizione di identificazione completa fra neonato e Chiesa cattolica, come i dati mostrano, è sempre meno soggetta a conferma man mano che il neonato si avvia a percorrere il suo processo di socializzazione diventando poi adulto: le percentuali assai vicine al cento, quando si tratti di far la conta del numero dei battezzati rispetto alla popolazione italiana, scendono considerevolmente quando si tratti di quantizzare il numero di coloro che dichiarano di credere nell’annuncio e nell’esperienza della Chiesa cattolica, fino a diventare sparuta minoranza quando si vada a ricercare, al di là delle dichiarazioni di principio, una coincidenza sostanziale. Ovvero, l’esistenza di una maggioranza di credenti non implica affatto una maggioranza altrettanto univoca di comportamenti socialmente e moralmente conseguenti!”
La dissonanza sembra aumentare, non Le pare?
“La maggioranza della popolazione non solo continua ad identificarsi nel cattolicesimo, ma è convinta che si possa essere buoni cattolici senza condividere le indicazioni della gerarchia in vari campi, soprattutto nella morale sessuale e familiare: ma ciò non impedisce a tale maggioranza di invitare la Chiesa a tenere fermi i propri principi, senza lasciarsi influenzare dalle opinioni prevalenti. Come a dire che c’è bisogno di garantire riferimenti e ideali, ma poi ognuno ne fa l’uso che crede a livello personale. Anche in questo modo si manifesta la “religione all’italiana”.
L’Italia è ancora un paese cattolico?
Vi sono alcuni indicatori per offrire una risposta positiva, ma altri che lasciano propendere per una risposta negativa, lasciando concludere che <<l’Italia è solo in apparenza un paese cattolico>> .
Cronache delle Calabrie, pag. 29. Egidio Lorito, 01/02/2017