Anno IX - n°33-34

Dedico queste riflessioni
alla cara memoria di Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013),
scrittore, giornalista, “papà” del Trofeo Topolino, “cuore trentino”,  
la cui “Buona Neve” continua a posarsi sulle mie montagne…   

Calabria, altopiano silano, un inverno come tanti… Nel silenzio dell’aria mattutina, le propaggini del complesso montuoso sono avvolte da una fitta coltre di nebbia che contribuisce ad ovattare il paesaggio: la visibilità è di quelle che non ti permettono di vedere che per pochi metri, tanto che sembra di galleggiare in un’altra dimensione. Le prime automobili che da Cosenza salgono lungo la Statale 107, procedono a passo d’uomo: tutte rigorosamente in fila, fari anti-nebbia inseriti, prudenza al massimo, senza fretta. Da Rovito a Celico, sino a Spezzano della Sila -i caratteristici borghi che dalla valle ci accompagnano nella salita-  sembra di essere in volo, attraversando un muro di nubi. Il bianco domina da ogni lato dei finestrini, con questa coltre nebbiosa fittissima che sale dalla grande valle del fiume Crati, sfruttando il moto ascendente impostole dalla temperatura più elevata presente in basso: e sale, quell’enorme massa bianca, a coprire tutto il versante occidentale, i contrafforti più esterni che sembrano proteggere gelosamente il cuore dell’altopiano, opponendosi a quel singolare muro composto da milioni di particelle d’acqua: singolare e divertente, ma da affrontare con le dovute cautele.

Ai 1450 metri di Fago del Soldato -la leggenda vuole che durante uno scontro tra un brigante ed un soldato, quest’ultimo fosse stato rinvenuto cadavere sotto un enorme faggio- intanto le condizioni meteo mutano nettamente: è bastato cambiare orientamento, percorrere cioè il versante settentrionale della Statale, per rendersi conto che quel bianco fastidioso, in realtà, ne cela un altro che molti -tutti…- attendono impazienti ad ogni inverno. Quel bianco, fuori dai finestrini, intanto aumenta, provoca fastidio agli occhi, obbliga ad indossare maschere con lenti gialle che rendono più visibili i contorni; una dopo l’altra, le auto che trasportano in quota i tanti amanti della neve, continuano ad arrampicarsi lungo l’aerea superstrada che taglia in due la Calabria: siamo lungo la trasversale Tirreno-Ionio, che dalla costa occidentale, dal Comune di Paola, si inerpica per giungere dapprima a Cosenza e, da qui -con un salto ancor più rapido- sale sin nel cuore dell’altopiano della Sila, lo percorre tutto verso est ad un’altitudine media di 1.200 metri, per terminare la sua corsa nella città di Crotone, al centro della costa ionica della penisola calabrese. Insomma: mare, collina, montagna, collina ed ancora mare nel giro di centoventi chilometri capaci di regalare paesaggi così distinti e distanti tra loro, quasi da non credere che si tratti di un unico contesto regionale.
La carovana, intanto, supera l’uscita del Valico di Monte Scuro, puntando su Camigliatello Silano, il centro turistico di maggior trainano del territorio: per incanto, quella simpatica “compagna” degli ultimi 30 chilometri si dissolve e svela alla vista un paesaggio che sa di “Grande Nord”: sotto il Cristone di Monte Scuro, a 1633 m. s.l.m., la riflessione spirituale si fonde con un superbo panorama, uno di quelli che sicuramente avranno mozzato il fiato di chi si è avventurato in Sila, per la prima volta, oggi come 50, 100 e chissà quanti anni fa. “La Sila è un paradosso paesaggistico che ci riporta a certe composizioni surreali, che ottengono il loro fascino accostando tra loro oggetti eterogenei e disambientati (…). Sembra a tratti di essere caduti in un angolo della Scandinavia, con i pini silani più alti e snelli degli abeti nordici” 1.   
Nel 1957, Guido Piovene (1907-1974) diede alle stampe la celebre guida letteraria del Bel Paese durante il boom economico, originata dalla trasmissione radiofonica della Rai che l’autorevole giornalista e scrittore vicentino  tenne, dal 1953 al 1956, percorrendo il territorio da nord a sud, raccontando le “cose viste”, compresi i formidabili mutamenti in corso, dalla rapida industrializzazione alla tumultuosa e caotica crescita urbana. Sessant’anni dopo, sembra di ascoltarlo ancora, Piovene!
E quella sorpresa che è sempre la più gradita, distesa a perdita d’occhio, intanto inizia ad emergere dalle nebbie che ancora avvolgono il vasto altopiano sino al lago Cecita: si appalesa innanzi ai nostri occhi, giusto premio di tanta attesa, giusta sintesi di un perfetto connubio fisico-chimico tra il mare -sorvolando il quale un numero infinito di particelle acquee si è formato- e la montagna -su cui quelle particelle, mutato il proprio “stato” per effetto della temperatura, si sono magicamente posate.  Ma questa è un’altra storia…  
Intanto, lo spettacolo che ci attende è ancora più maestoso: ai 1768 metri di Monte Curcio siamo praticamente al di sopra di questa coltre di nebbia che, per almeno una buona mezz’ora, ci regala lo spettacolo di poter scendere giù a valle, perforandola in ogni direzione, ben saldi su quelle due aste -oggi sempre più tecnologiche…- che da oltre un secolo sono la gioia di milioni di sportivi in ogni angolo del pianeta.
Quella soffice coltre di neve che ricopre l’intero altopiano, regalando un’atmosfera da fiaba a tutti gli amanti della montagna -quelli veri, intendiamoci- mi riporta alla mente -oggi come quarant’anni fa, allorquando ebbi la fortuna di conoscere questo magico altopiano- una lunga serie di definizioni e locuzioni sull’assoluta bellezza di questo territorio. Come mi capitò una ventina d’anni fa, quando all’interno di una patinata rivista illustrativa, venni attratto dalla dichiarazione d’amore che un fine giornalista veneziano come Gastone Geron (1922-2012) -tra i fondatori nel 1974 de “Il Giornale” di Indro Montanelli-  aveva dedicato a questo superbo complesso montuoso:  “(…) Dolomiti a parte, la Sila assomiglia davvero al Cadore: e lasciatelo dire ad un veneto che alla conca ampezzana ha legato i ricordi più meravigliosi della sua giovinezza (…)” 2.
Siamo nel cuore della Calabria, in pieno Mediterraneo, con il mare Jonio che fa capolino verso nord-est, sino al Golfo di Taranto, il Tirreno che troneggia verso sud-ovest, sul quale sembrano galleggiare l’Etna e le Isole Eolie; con la bastionata meridionale del Pollino e l’acrocoro dell’Aspromonte che segnano i confini settentrionali e meridionali di questa singolare, affascinante, improbabile terra posta al limite estremo della nostra Italia!       
Ecco Camigliatello con il suo corso principale, le sue botteghe d’artigianato, gli alberghi, gli chalet dove gustare ogni tipo di prelibatezza di una gastronomia che non si fa mancare nulla; o la più romantica Lorica -che si prepara al grande e meritato rilancio- autentico cuore selvaggio del “grande nord” calabrese, dolcemente adagiata sulle rive del Lago Arvo, ai piedi dei 1928 metri del Botte Donato, la rassicurante cima tondeggiante dell’intero altopiano, dalle cui pendici si fa strada la Valle dell’Inferno, vera delizia per gli amanti dello sci, da dicembre ai primi di maggio. E che dire di Silvana Mansio con le sue fiabesche baite costruite negli anni ‘30 che contribuiscono -se ancora ce ne fosse bisogno…- a rendere ancora più magica l’atmosfera. E poi la Riserva Naturale di Cupone, sede del Centro visita del Parco Nazionale della Sila, con animali allo stato brado; la Riserva Biogenetica dei Giganti del Fallistro in quel di Croce di Magàra, con la più affascinante, irreale, poetica concentrazione di pini larìci, alti anche più di 40 metri che, quando il vento sibila tra gli alti tronchi, sembra quasi sentirli parlare. E poi la Strada delle Vette, il sentiero che unisce tutte le cime più altre di questa parte della Sila, su cui praticare fondo, sci-escursionismo e mountain-bike; per non parlare della più attrezzata area di sci da fondo presente nel sud Italia, qual Piano di Carlomagno con i suoi anelli omologati dalla Federazione Italiana Sport Invernali per accogliere appassionati e professionisti dello sci nordico: con gare di sleddog a fare da contorno, tanto per non farsi mancare nulla. E poi quel Villaggio Palumbo, sulle rive del Lago Ampollino, che tra i tanti comfort si è permesso finanche il primo impianto di innevamento artificiale della regione, meraviglia a queste latitudini.
La Sila -ma il ragionamento vale praticamente per tutte le montagne di Calabria- è realmente un autentico “sacrario della natura <<naturale>> che, come non mancava di osservare più di un secolo orsono, con ammirazione, un uomo delle grandi montagne, il nobile studioso trentino Paolo Orsi, offre come in pochi luoghi e regioni d’Italia, panorami e visioni naturali di incomparabile bellezza e vastità” 3.
Si riscontra, nell’ormai consolidata pubblicistica sulla Calabria, e -in essa- sul suo celebre altopiano centrale, l’idea che la natura abbia fatto a gara con sé stessa proprio per regalare immagini da sogno, prospettive fotografiche davvero inattese, scorci di bellezza non sempre facilmente rintracciabili a queste latitudini: ne deriva, a valle di tale analisi, anche una valutazione più ampiamente “politica”, intesa come gestione di tale patrimonio che è, al tempo stesso, paesaggistico e culturale, materiale ed immateriale. E allora, come non dire “grazie” a chi, quotidianamente, tiene alto il vessillo della tutela paesaggistica: e “il merito di tutto questo va ascritto all’impegno silenzioso e coerente di quanti la Sila hanno per decenni frequentato, amato e difeso, a costo di sacrifici personali e talvolta anche di sofferenze interiori. Già, perché fino aqualche anno fa, in Italia e soprattutto al Sud, la protezione dell’ambiente era considerata quasi una bestemmia e i propugnatori dei parchi venivano additati come nemici del progresso  e <<mummificatori>> della natura. (…) Alla fine, il nostro piccolo drappello di soldati sen’armi l’ha avuta vinta sull’esercito agguerrito e spietato degli speculatori e dei politicanti (…)” 4.      
Eccolo, allora, il cuore più vero e nobile della Sila, quello che affascinò ed ispirò i grandi protagonisti del Grand Tour che se ne innamorarono perdutamente: le vallate profonde e tenebrose di Duret de Travel, lo scenario romantico simil-scozzese di Norman Douglas, le legioni di turisti di Francois Lenormant, lo sconfinato paesaggio, la solenne malinconia e l’immensa solitudine di Giuseppe Isnardi, la squisita bellezza di Henry Swinburne, l’angolo di Scandinavia di Guido Piovene, i ricordi ampezzani di Gastone Geron, lo stupore incredulo di Paolo Orsi.    
Memorie ed altre inquietudini…
       
Montagna. Rivista quadrimestrale di cultura alpina
nn. 33-34 giugno 2017
Egidio Lorito,  giugno 2017