E’ una frase fatta, ma è vero che l’ecatombe calabrese poteva essere evitata
Bastava avvertire gli inesperti escursionisti dei pericoli di quel territorio

Non so quanti conoscessero, prima della tragedia di ieri, il Torrente Raganello, il suo canyon e, in fondo, l’intero massiccio del Pollino, l’area protetta più estesa d’Italia: perché, inutile nasconderlo, anche nelle tragedie, come nei pochi flebilissimi record di questa terra, la Calabria pare destinata a rimanere ancora sconosciuta ai più. Ma qui, lungo le gole del più meridionale canyon dell’Europa continentale, questa terra detiene uno dei suoi record difficilmente battibili sul piano paesaggistico, cristallizzato in uno splendido microsistema, impensabile a queste latitudini, come se il Padreterno si fosse impegnato allo spasimo per regalare scorci paradisiaci a questa già tumultuosa regione.

E poi, che il torrente prenda il suo nome dal gracchiare degli anfibi presenti in gran quantità o alle tipiche note di uno strumento musicale popolare tipico della Settimana Santa -la raganella, appunto- poco importa: l’attrattiva del canyon è andata crescendo a dismisura negli anni, a partire da quel 2 agosto del 1980 -data drammatica nell’immaginario collettivo del nostro Paese- allorquando venne portata a compimento la prima traversata completa di questo corso d’acqua ad opera di Giorgio Braschi, Sandro Frisenda e Vito Mancini. Trentotto anni dopo, grazie all’istituzione del Parco nazionale, ad un incremento della pratica sportiva e ad una pubblicistica di settore, quest’area protetta a cavallo tra Basilicata e Calabria si è finalmente guadagnata un posto di primissimo piano tra le mete predilette di escursionisti di ogni sorta, dagli esperti sino a quelli “della Domenica”, tutti attratti dai “paradossi paesaggistici” -per dirla con Guido Piovene- che impreziosiscono questa parte d’Italia. 

Alcuni anni addietro, descrivendo il montante fenomeno della pratica di sport d’avventura in Calabria, titolai “Adrenalina rafting” un mio pezzo dedicato all’area: ebbene, quindici anni dopo, drammaticamente, ritrovo lo stesso concetto espresso nelle parole di Francesco Bevilacqua, giornalista e saggista, considerato il massimo divulgatore del paesaggio calabrese anche grazie a migliaia di chilometri percorsi lungo questa penisola, mai disgiunti da un singolare approccio filosofico alla materia, che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “scopritore dei luoghi perduti”: lo contatto immediatamente e le sue parole, pesate come sempre, non mi lasciano grandi margini di manovra: “Quella del Raganello è una tragedia dell’incoscienza! La Protezione Civile aveva diramato un allerta-meteo e bastava anche guardare il meteo sullo smartphone per accorgersi che il rischio temporale era altissimo, eppure erano in tanti ieri a cercare “adrenalina verde” nel Canyon del Raganello. E nessuno che abbia impedito loro di scendere nelle gole dall’unico, controllabilissimo accesso di Civita: sarebbe bastato un vigile urbano che dissuadesse la gente. Sarebbe bastata un po’ di consapevolezza nelle persone più esperte, che dicessero agli adrenalinomani che non era il caso di scendere nelle gole con quel tempo. Quel che mi indigna è che molte vite umane potevano essere salvate! Ma provo anche sconforto per tutti questi anni spesi a cercare di far capire il valore delle montagne calabresi e la necessità di tutelarle: per i media le vere colpevoli saranno le montagne e, nel caso specifico, il Raganello, il Pollino, il temporale (…)”.
Non è il tempo delle polemiche perchè chi ha perso la vita in questa nuova tragedia merita rispetto e preghiera: né interessa sapere se le perdite più numerose hanno colpito il gruppo accompagnato dall’esperta guida ufficiale o uno dei due che si trovava, non accompagnato, lungo l’incedere tumultuoso ed improvviso delle acque di questo sconosciutissimo corso d’acqua; ed è ancora presto per stabilire responsabilità processuali. E’, però, il tempo della riflessione di chi la vita ancora la governa, affinchè non si cada ancora in quel pericoloso “atteggiamento prometeico” foriero di tragedie come questa.

Egidio Lorito, 23-08-2018                                                     Libero / Attualità