Caustico, corrosivo, anticonvenzionale e sempre fedele a sé stesso

Appare spesso antipatico -e l’avverbio vale come una “captatio benevolentiae”-   come solo le stelle di prima grandezza sanno essere: quasi sempre sopra le righe, caustico, corrosivo e anticonvenzionale, possiede il merito, sempre più raro nel giorna lismo italiano contemporaneo, di rimanere fedele a sé stesso, anche quando questo attaccamento alle proprie convinzioni potrebbe apparire non proprio politicamente corretto. Almeno agli occhi della “massa” dei lettori, accezione, questa, da non intendersi negativamente, ma secondo quella chiave di lettura che fece la fortuna degli studi sociologici di prima grandezza, da Chicago a Francoforte. 

Per abitudine professionale non mi capita spesso di recensire opere di autori che non conosco personalmente: non si tratta di vezzo, ma di profondo rispetto verso idee e valori con cui preferisco sempre confrontarmi preventivamente. E’ capitato, così, che da una quindicina d’anni, qui a Praia a Mare -che capitani d’industria e mecenati del calibro di Gianni Agnelli e Stefano Rivetti di Val Cervo, una cinquantina d’anni addietro, contribuirono a far splendere ancora di più delle sue stesse bellezze naturali- mi dia da fare ad ospitare una summa dell’intellighenzia culturale del Bel Paese, autori invitati in questo lembo del Tirreno cosentino ad una rassegna che ho testardamente ideato, con poche risorse pubbliche ma con grande successo di piazza. Vittorio Feltri non vi è ancora approdato e non so, sinceramente, se scenderà mai a queste latitudini, vista anche la sua nota ritrosia a concedersi all’afa estiva, come lessi tempo addietro: ma non demordo, soprattutto ora che siamo ben più vicini dei 1000 chilometri che separano questa parte di Calabria dalla sua Lombardia. Vittorio Feltri è un giornalista di lungo corso, un cavallo di razza, di quelli in via d’estinzione: dagli esordi a “L’Eco di Bergamo” alle direzioni di “Bergamo oggi”, a quelle salvifiche del settimanale “L’Europeo” e del quotidiano “L’Indipendente”; dalla guida de “Il Giornale” -con tanto di collezione di trentacinque querele dall’allora magistrato Antonio Di Pietro, se la memoria non mi tradisce- alla fondazione e direzione, in prima battuta, per nove anni, di “Libero”, al ritorno al quotidiano di Paolo Berlusconi ed ancora a “Libero”, sino al ruolo di editorialista ancora a “Il Giornale”, per fare ritorno alla sua creatura -“Libero, ovviamente”- che oggi, da direttore editoriale, dirige con mano ferma tra una crisi che avvolge anche la lettura dei giornali e lo smarrimento di chi vorrebbe trarre proprio dai giornali idee-guida per orientarsi nel mare magno dell’altra crisi, quella politica. La parabola professionale e personale di questo bergamasco rivela un’eccezionale tempra giornalistica, una forza d’urto con pochi termini di paragone nello scenario nazionale contemporaneo, una capacità di reggere gli urti non solo degli avversari quant’anche di molti compagni d’avventura. Non ci siamo mai conosciuti personalmente, ma ben quattro sue creature ho avuto l’avventura di analizzare e recensire nel tempo: da “Il Vittorioso. Confessioni del direttore che ha inventato il gioco delle copie”, del 2010, scritto a quattro mani con Stefano Lorenzetto a “Una Repubblica senza patria. Storie d’Italia dal 1943 ad oggi”, del 2013, e “Il Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa”, del 2014 -entrambe pubblicate con Gennaro Sangiuliano, attuale direttore del Tg2- sino a “Chiamiamoli ladri. L’esercito dei corrotti”, del 2017. Differenti gli scenari, ovviamente. In quelle pubblicazioni, Feltri si prestava alla saggistica, soprattutto: da un lato raccontava ai lettori la nascita di una vera e propria corrente di pensiero giornalistico, destinata a non passare inosservata, lasciando il segno nel Paese; dall’altro ricostruiva interi segmenti storici della recente vicenda contemporanea nazionale; dall’altro ancora, indugiava ad analizzare i mali storici e sempre attuali della società italiana, quasi ad “inocularci il benefico virus dell’inquietudine, per scalfire la nostra cronica amoralità (…)”.
Con l’“Irriverente” lo scenario cambia del tutto, perché il lettore si troverà di fronte non più, soltanto, il battagliero direttore di quotidiano, il corrosivo giornalista, il caustico commentatore -per intenderci, tutte qualità più che positive se pesate nella prospettiva contemporanea- ma il Feltri intimo e personale, che indugia con lo strumento della memoria andando, selettivamente, a ripescare nomi, date e luoghi cui, nel tempo, ha intessuto rapporti molto più stretti dalla semplice frequentazione professionale. Feltri, questa volta, parla di sé. E la “memoria del cronista” recupera Giorgio Gaber -“Giorgio mi leggeva e spesso mi telefonava in redazione per complimentarsi per i miei pezzi o per commentarli”- ed Enzo Tortora -“quando presi le difese di Tortora, durante gli anni del processo, l’acredine dei colleghi verso Enzo si riversò pure su di me”; Angelo Rizzoli -“era mio coetaneo e pure mio editore e non sembrava né l’uno né l’altro. Trattava tutti da pari, pure me, l’ultimo arrivato”- ed Alberto Cavallari -“ quell’inquieto periodo lo ricordo con dolcezza. Io decidevo sulla prima pagina e pure sulla seconda”; Piero Ostellino -“fu lui a lanciarmi, mi riprese al Corriere, mi promosse inviato speciale. Mi voleva bene. Mi tolse dal letame e gliene sarò grato sempre”- e Gianni Brera -“continuo a considerarlo il migliore giornalista in assoluto, lo metto a pari merito con Indro Montanelli soltanto per rispetto, perché io preferisco Gianni”; Franco Di Bella -“era di origini meridionali, il padre era di Tropea, la madre di Amalfi. Una miscela di sangue che gli aveva conferito una tempra coriacea”- ed Alberto Ronchey -“è stato un grandissimo giornalista, un commentatore formidabile, un fondista d’effetto, preciso in modo maniacale, il quale a un certo punto della sua carriera divenne direttore della “Stampa” di Torino”; Nicola Trussardi -“era orobico e, proprio come me, possedeva tutte le caratteristiche peculiari di noi abitanti di Bergamo”-, Giuseppe Prezzolini -“non bastano a un uomo cento anni e cento libri per scalfire un pregiudizio appiccicatogli addosso”- e Marco Pannella -“di me diceva che ero come Indro Montanelli ma con un cilindro di meno”.
Maestri di un giornalismo che fu. Editori, imprenditori e politici di razza, di quella forse estinta per sempre.                      
Sbaglierebbe prospettiva il lettore se pensasse all’ultimo Feltri orientato solo a fare luce sui padri nobili della sua attività giornalistica. C’è di più! L’intimo ed intimista Feltri non indugia certo nei ricordi, se possibile ancora più personali, come quando consegna al lettore sfumature che vanno a scavare fin dentro la sua vicenda umana. Come quella carrellata sui giovani lanciati nel mondo del giornalismo proprio dal suo “Bergamo oggi”, immagine e sostanza feltriana: e allora ecco il ragazzotto del bar, Enrico Artifoni, divenuto capocronista; ecco apparire “un ragazzo di 24-25 anni, che si occupava di economia ed indossava degli occhiali da miope con lenti spesse come fondi di bottiglie, tanto da sembrare cieco”. Sì, si tratta proprio di Maurizio Belpietro, pronto a condividere con Feltri i successivi percorsi sulla carta stampata. Ecco, ancora, Cristiano Gatti, Pietro Baracchetti e Isaia Iacobelli: sue creature, ne siamo convinti. Tutto qui? A testimoniare un Vittorio Feltri, giovane, anzi bambino, si materializzano altri nomi, altre date, altri luoghi che ci restituiscono il protagonista figlio dell’operosa e produttiva Lombardia, versante bergamasco: il piccolo Vittorio, rimane orfano del padre Angelo ad appena 6 anni, circostanza che contribuirà a legarlo ancor di più alla madre Adele, figura di donna forte, che -ne siamo sicuri- avrà contribuito, non solo geneticamente, ad infondere nel figlio pari sostanza vitale. Altre ambientazioni, come un Molise che non ti aspetti, in cui Vittorio, bimbetto di appena cinque anni, iniziava a passare le vacanze estive dagli zii Ernesto e Nella, “emigrati” ad amministrare l’azienda agricola di un latifondista di origini napoletane. Altri nomi ancora, come Vecio, Agostino, Amalia, Camilla, Ciccio Grigio, Ciccio Grigiotto, Rosa, Biondo, Giuliano e Sparky, che ci restituiscono un Feltri rapito dalla passione per i piccoli felini domestici, contraltare alla sua indole da perfetto “irriverente”.                                 
Vittorio Feltri, L’irriverente. Memorie di un cronista, Mondadori, 2019, € 17,00
Egidio Lorito                                                                                               06/11/2019