Anche in Italia l’ondata del “risentimento” ha condizionato la politica

 “Com’è possibile che un fenomeno congiunturale, com’è generalmente considerata una crisi economica, possa provocare conseguenze politiche durature? E in tal caso, quali sono le principali conseguenze che devono essere analizzate in profondità? Qual è o quali sono i meccanismi centrali (core mechanisms) in atto per spiegarle? Ci proponiamo di rispondere a queste domande concentrandoci sulla crisi economica che è iniziata nel 2007 negli Stati Uniti, come crisi del mercato immobiliare ed è proseguita nel 2008 ancora negli Stati Uniti ed in Europa come crisi dell’economia reale (recessione) e, quindi, come crisi dei debiti sovrani (crisi fiscale dello Stato) e che è durata almeno sino al 2014/2015”.

Un consolidato scambio di idee, inizialmente concepito come una riflessione sui c.d. “partiti di protesta”, si è lentamente trasformato in una riflessione per mezzo della quale due politologi hanno dimostrato come la crisi economica interagisca con la crisi politica, quasi sempre accelerandola, sino a riverberarsi sulla vita quotidiana di noi inermi cittadini della ben nota “porta accanto”. Leonardo Morlino è un cavallo di razza della scienza politica italiana: professore emerito alla “Luiss - Guido Carli” di Roma, già direttore del Centro di Studi sulle Democrazie e Democratizzazioni dello stesso Ateneo e primo presidente italiano dell’International Political Science Association, dal 2009 al 2012. Francesco Raniolo, ordinario di Scienza Politica e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università della Calabria è -da par suo- un fine studioso delle forme organizzative e comunicative dei partiti, anche di quelli neopopulisti o “di protesta”, analizzati soprattutto dal versante delle nuove forme della democrazia e della rappresentanza politica. Da questo fecondo incontro -proseguito in un ulteriore gruppo di ricerca insieme a Daniela Piana, Mario Quaranta, Cecilia Sottilotta, Claudius Wagemann, e focalizzato su “Equality, Freedom, and Quality of Democracy. Europe After the Great Recession (Oxford University Press)- è nato il saggio “Come la crisi economica cambia la democrazia. Tra insoddisfazione e protesta” (Il Mulino, Bologna 2018), illuminante soprattutto per i cittadini della già citata “porta accanto”.    
Professore Raniolo, una ricerca in presa diretta? “Il nostro libro è frutto di un ampio lavoro preceduto nel 2017 da una versione londinese per i tipi della Palgrave Macmillan, dal titolo “The impact of the economic crisis on South European democracies”, che aveva ottenuto un certo riscontro internazionale. Abbiamo analizzato “la grande recessione” del 2008 e cercato di capire come abbia influenzato e cambiato la qualità delle stesse democrazie, partendo dalla comparazione di Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, ovvero di quei Paesi che più di altri, in Europa, hanno subito contraccolpi economici ed effetti politici. E ci siamo resi conto che a mutare è stato lo stesso sistema partitico di questi Paesi, con esiti ancora aperti soprattutto sul futuro della democrazia rappresentativa”.
In realtà, Lei e Morlino proponete una tesi di fondo ormai cristallizzata: “Direi ampiamente accettata dall’opinione pubblica che si è abituata a vedere come il regime democratico possa profondamente essere influenzato da una crisi economica. In passato, nei casi più drammatici, abbiamo assistito addirittura al collasso della stessa democrazia o quasi-democrazia ed all’instaurazione di un regime autoritario o anche totalitario: capitò nella Germania degli anni Trenta del XX secolo”.
Avete utilizzato numerosi strumenti di ricerca sul campo!       
“Il nostro punto di partenza è comune a quella letteratura socio-politologica, anche ma non solo di derivazione neomarxista, che sostiene come il cambiamento politico abbia radici esterne -e tra queste proprio la crisi economica- solo a patto che abbia caratteristiche precise che descriviamo nel libro. In realtà, i casi pratici analizzati non ci sembrano suffragare l’ipotesi che le crisi producano, a loro volta, radicali discontinuità, come aveva analizzato l’economista austriaco Joseph Schumpeter. Con un linguaggio più comprensibile, abbiamo verificato che le crisi economiche non hanno effetti meccanici sul sistema politico”.
In pratica? Il cuore del libro è rappresentato dalla tesi che le crisi economiche agiscano come “meccanismi catalizzatori”, cioè situazioni che accelerano e amplificano processi e tendenze già presenti, se non addirittura nascosti, nei diversi sistemi politici. Per capire gli effetti della crisi dobbiamo contestualizzarla, guardando alla cultura politica, all’efficacia del tessuto istituzionale -che sono differenti nei vari Paesi- ma anche al ruolo dell’Unione Europea che ha imposto politiche di austerità riducendo i margini di manovra dei governi nazionali. Da questo punto di vista, la crisi entra nelle stesse scelte di leader, governi, e risultati elettorali.  Insomma, anche nella protesta degli elettori”.
In effetti avete individuato, nei quattro Paesi citati, alcuni modelli di mobilitazione popolare. “Esattamente! Ad esempio, in Portogallo -dopo la crisi- abbiamo registrato fenomeni di “alienazione e continuità” nei quali ha trionfato l’astensionismo, a tutto vantaggio dei partiti tradizionali, tanto di destra che di sinistra, tutti in buona salute, e capaci di controllare il governo. In Spagna e Grecia, invece, abbiamo assistito al fenomeno della “mobilitazione sociale e della difficile istituzionalizzazione”: cioè è scoppiata una forte protesta sociale intercettata da movimenti e formazioni regionali che, in Spagna ed in Portogallo, si sono trasformati in partiti come Podemos e Ciudadanos; mentre in Grecia la protesta è confluita in partiti radicali o estremisti come Syriza e Alba Dorata. E ci siamo anche resi conto che questi c.d. partiti di protesta hanno avuto difficoltà a consolidarsi, una volta chiamati al governo, tanto in Grecia che in Spagna”.
Un modello che ricorda molto la situazione italiana! “Da noi, in effetti, si è affermato un modello di “mobilitazione politico-partitica” detta “del risentimento” grazie al successo immediato del Movimento 5 Stelle (già nel 2012-13) e della Lega di Salvini (nel 2018-2019) e alla penalizzazione delle tradizionali opzioni di governo di centro-destra e di centro-sinistra”.
Proviamo a tradurre il tutto per i nostri lettori? “Il così tanto criticato e svalutato meccanismo rappresentativo sembra essere come la famosa fenice in grado di resuscitare dalle sue stesse ceneri. In tre casi su quattro, la crisi ha prodotto la formazione di nuovi partiti di protesta a due cifre elettorali che sono stati in grado di canalizzare l’insoddisfazione dei cittadini, ma anche una complessiva radicalizzazione del quadro politico. Quindi, ciò che è resuscitato dalle ceneri è una domanda di rappresentatività e una offerta di rappresentanza radicalmente nuova. Che pone inusitate sfide alla qualità della democrazia”.
Concludiamo con un auspicio? “Un desidero ambizioso. Che il dibattito politico, nei Paesi presi in esame, possa beneficiar dell’analisi empirica e delle relative valutazioni che abbiamo sviluppato in questa ricerca e che qualche via d’uscita venga infine trovata!”

l’ALTRAVOCE dell’Italia – Il dibattito e le idee                        Egidio Lorito, 18-02-2020