Alla vigilia dell’appuntamento elettorale del 3 novembre, Antonio Monda, giornalista, scrittore e quotatissimo intellettuale italiano di casa a Manhattan, si sbilancia: le percentuali sembrano ormai cristallizzate, Biden al 60% e Trump 40%. Sono cautamente ottimista su Biden che conserva un buon margine di vantaggio, ma è certo che il nuovo presidente sarà chiamato a guidare una svolta epocale per l’America”.
Antonio Monda è sicuramente l’italiano che meglio conosce la vicenda americana contemporanea: giornalista, scrittore, docente presso il “Film and Television Department” della New York University, ha appena fatto ritorno nella sua casa di Manhattan, con vista panoramica su Central Park, fresco del successo dell’ultima edizione della “Festa del Cinema di Roma” di cui è direttore artistico dal 2015.

L’ennesima trasvolata l’ha riportato nel cuore della “Grande Mela” ad una manciata di ore dall’appuntamento elettorale delle presidenziali, con i sondaggi che registrano ancora un vantaggio a favore del candidato democratico Joe Biden: lo sfidante democratico, infatti, avrebbe a suo favore più di 230 grandi elettori e a separarlo dalla vittoria ne mancherebbero una cinquantina; il presidente Trump avrebbe, invece, poco più di 120 grandi elettori, e gliene servirebbero quasi 160 per essere riconfermato quale inquilino della Casa Bianca.
E così, Monda ci offre uno spaccato della New York dei nostri giorni, un vero e proprio manifesto politico-culturale che interpreta la vicenda contemporanea di questo Stato-Continente, stretto com’è tra l’irruzione del Covid-19 e le imminenti presidenziali, divenute, non solo per gli Usa ma per tutto l’Occidente, più rilevanti che mai, a causa delle evidenti problematiche che disturbano il sonno non solo del primo inquilino della Casa Bianca quanto di tutti gli oltre 330 milioni di cittadini della più grande potenza economico-politica del mondo occidentale. Intanto, un’ottantina di milioni hanno già espresso il proprio voto per posta, a causa della paura da lockdown pandemico; almeno in 150 milioni dovrebbero recarsi alle urne, sui 240 aventi diritto.    
Panorama.it lo incontra per una conversazione carica di sfumature, di aneddoti  e di dubbi (per la gioia dei suoi lettori, sicuramente…), la cui soluzione affidiamo alla sua ben nota frequentazione del mondo a “stelle e strisce”.

Professore, lei è appena rientrato a New York direttamente da Roma: che clima ha trovato appena fuori dai vetri della sua casa di Manhattan?
<<Sono di parte, evidentemente, ma la realtà non è quella che pare rimbalzare ai quattro angoli del mondo: la metropoli appare ancora rallentata nella sua tradizionale vivacità, ma ben lungi dall’essere quella città fantasma, in mano alle bande, devastata e buia, come molti suoi detrattori vorrebbero farla passare. Si sta riprendendo lentamente, perché la pandemia qui ha lasciato il segno.  Certo, l’immagine potrebbe apparire meno scintillante delle classiche rappresentazioni cinematografiche cui siamo abituati, soprattutto in Italia, ma sta rialzando la testa>>.    
Le cronache narrano di un suo rapporto epidermico con New York.
<<Assolutamente, sin dal mio arrivo nel 1994: per ben cinque anni ho lavorato come super, una sorta di portiere, di uomo tutto fare, all’interno di uno stabile dell’Upper East Side, tra i quartieri più noti di Manhattan, dove vivono i professionisti più ricchi della città, con eleganti boutique di stilisti, prestigiose scuole di formazione, edifici di lusso con foyer in marmo e portieri in uniforme pronti ad aprirti i sontuosi portoni. E poi con quel grande polmone verde che si chiama “Central Park…>>.
Studi di diritto in Italia e poi…
<<Cambio di rotta. Carriera universitaria per conseguire il ruolo presso la New York University nel 2003… Cinema, arti visive e, soprattutto, letteratura con un progetto di dieci libri che vedono la “Grande Mela” protagonista assoluta>>.
Ognuno di questi romanzi è ambientato in un decennio diverso
<<Già, con personaggi ricorrenti. Il primo romanzo della serie è L’America non esiste, ambientato negli anni cinquanta a cui ha fatto seguito La casa sulla roccia (anni sessanta), Ota Benga (anni dieci), L’indegno (anni settanta), L’evidenza delle cose non viste (anni ottanta), Io sono il fuoco (anni quaranta) e Nel territorio del Diavolo (anni novanta). Temi etici e spirituali, una costante riflessione sul senso ultimo dell’esistenza, senza mai abbandonare il contatto con la realtà…>>.
A proposito di cose reali: fra qualche ora si andrà a votare. Partiamo dal fronte democratico, con lo sfidante Joe Biden che ha scelto Kamala Harris come candidata alla vicepresidenza…
<<Sarebbe stata la mia candidata ideale alla presidenza. E non escludo che se dovesse vincere Biden, fra quattro anni sarà lei ad ereditarne il testimone, candidandosi direttamente alla presidenza. Biden ha già 78 anni, ne avrà 82, e senza dubbio sarà, in caso di affermazione, un presidente da un solo mandato. La Harris è super motivata, intelligente, preparata e colta>>.
E con un curriculum di spessore…
<<Nata a Oakland, nella Contea di Alameda, in California, nel 1964, da madre indo-americana e padre di origine giamaicana, ha studiato alla Howard University e all’Hastings College of the Law di San Francisco. Ha lavorato come vice procuratore distrettuale dal 1990 al 1998 e nel 2003 venne eletta procuratore distrettuale di San Francisco, occupandosi soprattutto dei reati a sfondo sessuale. Contribuì a far salire il tasso delle condanne…>>
E caratterialmente?
<<E’ una donna forte ma non estremista, impersona la moderazione dei democratici, combina, insomma, la volizione politica con i toni moderati di cui tanto l’America avrebbe bisogno oggi, per rassicurare all’esterno e farsi rassicurare al suo interno. E poi, mi permetta, è jamaicana come mia moglie Jacqueline e la cosa non è assolutamente secondaria>>.
Mi perdoni l’intrusione familiare: sua moglie pare essere una sorta di “commander in chief”  ai fornelli…
<<Confermo: se la nostra abitazione si è trasformata nel tempo da salotto culturale a cenacolo enogastronomico, con Robert De Nito, Francis Ford Coppola, Al Pacino, i fratelli Cohen, Philip Roth, Martine Scorsese, Meryl Streep e Wes Anderson, praticamente di casa, il merito è stato soprattutto della sua cucina multietnica. Le delizie interculturali hanno sortito effetti…>>     
Famiglia cattolica di origini irlandesi, il padre di nome Joseph, tragedie. La biografia di Joe Biden ricorda quella dei Kennedy. 
<<Sembrerebbe. Nel 1972, eletto senatore appena trentenne, perse la moglie Neila e la figlia più piccola, Naomi Christina, di soli 13 mesi, in un incidente stradale, nel quale rimasero gravemente feriti anche gli altri due figli, Joseph R. “Beau” Biden e Robert Hunter. Poi nel 2015 la scomparsa del figlio maggiore, Beau, eletto procuratore generale del Delaware nel 2006 e nel 2010,  e candidato alla carica di governatore, sconfitto a 46 anni da un tumore al cervello>>.
Famiglia provata, in ogni caso…
<<L’impatto pubblico non è certo assolutamente paragonabile alla lunga scia di drammi che caratterizzano da sempre il clan-Kennedy: Biden ne è stato segnato, ma dicono anche rafforzato. Certo: c’è la comunanza della famiglia cattolica irlandese. Le dirò di più: se Biden dovesse essere eletto presidente, sarebbe il secondo cattolico nell’intera storia degli Stati Uniti, proprio dopo John Fitzgerald Kennedy. Non male>>.
Joe Biden è stato, tra il 2008 ed il 2016 il vicepresidente durante le due presidenze-Obama: ne ha raccolto l’eredità politica?
<<In parte: al di là dell’appartenenza alla stessa compagine partitica -ma sappiamo bene come i partiti americani siano cosa ben diversa da quelli, ad esempio italiani- si tratta di personalità profondamente diverse, nelle origini e nel background politico, non certo sovrapponibili. Gli analisti avevano sempre osservato come il rapporto tra Obama ed il suo vice fosse uno tra i più solidi mai registrati nella storia della presidenza statunitense: detto questo, Biden dalla sua vanta almeno quarant’anni di intensa attività politica, e quindi di esperienza, rispetto al suo presidente>>.
A proposito di slogan: quelli della campagna elettorale di Biden – “Restore the Soul of America” (“Ripristinare l’anima dell’America”) e “Our best days still lie ahead” (“I nostri migliori giorni sono ancora davanti”)- sembrano effettivamente rassicuranti…
<<Le rispondo sinceramente: qualunque cosa accadrà dopo il 3 novembre porterà ad una svolta epocale, migliorando lo “status quo” esistente. E’ del tutto possibile, auspicabile direi, che l’America svolti radicalmente: anzi, si anela la necessità di un cambio di rotta, e già da soli gli slogan di Biden infondono una maggiore serenità d’animo e forse -sottolineo forse- Joe Biden può impersonare realmente il portabandiera di questo cambiamento>>. 
Non menta: che possibilità ha di divenire il 46esimo Presidente nella storia degli Stati Uniti d’America?
<<Stando a sondaggi e percentuali, oltre il 55% degli americani, oggi, sembra intenzionato a premiare Biden. Il calcolo è presto fatto…>>
Cambiamo fronte: è opinione comune che il presidente Trump abbia trasformato la democrazia americana in illiberale.
<<Per la precisione, Trump sta trasformando in “illiberali” i fondamenti della democrazia statunitense! Il rischio è fortissimo in un Paese sempre meno garantito in quegli stessi pilastri che l’hanno reso assolutamente democratico, e il pericolo di giungere ad una trasformazione completa è più che palpabile. Oggi l’America appare sempre meno tutelata nella libertà personale e nella giustizia: basti pensare ai tanti episodi che hanno visto protagonista negativa la Polizia rispetto alle donne ed agli uomini di colore. Il caso-Floyd è assolutamente emblematico>>.
E’ un problema anche di immagine?
<<Mi ha anticipato. Mi permetta di sottolineare un aspetto che si è letteralmente impadronito dell’immaginario collettivo mondiale: l’America di Trump appare sempre più un Paese che innalza muri e che non getta ponti…>>.
A proposito di slogan: “America First” è l’emblema del Trump-pensiero?
<<Assolutamente, e pericolosamente! Pensi che lo slogan è quasi identico a quanto affermava Charles Lindbergh, il protagonista del romanzo fantapolitico del 2004 di Philip Roth, The Plot Against America, “Complotto contro l’America”:ebbene, Lindbergh è storicamente esistito, anche se Roth lo aveva evidentemente estremizzato. Ecco, questo patriottismo smisurato sta rendendo l’America di Trump inquietante>>.  In sintesi…
<<La storia è il classico esempio di “ucronìa”, un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale. Ebbene, si narra della vittoria di Charles Lindbergh alle elezioni presidenziali del 1940, evento che porta gli Stati Uniti d’America praticamente ad allearsi alla Germania nazista…>>.
In realtà, le cose andarono diversamente…
<<Lo sappiamo, certo. Ma nel 1940, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, mentre la Germania nazista invadeva l’Europa e l’aviazione britannica era impegnata nella battaglia d’Inghilterra, negli Stati Uniti nacque realmente un vero e proprio comitato battezzato “America first”, contrario a ogni coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto e ostile alla politica del presidente Franklin Delano Roosevelt. Quel movimento, “America First Committee”, appunto, venne fondato all’Università di Yale, raccolse adesioni importanti, come quella dell’aviatore Charles Lindbergh, filonazista e antisemita.  Ma che non diventerà mai presidente…>>
L’America di oggi sembra sospesa tra populismo e democrazia: le impersonano Trump e Biden?
<<Confido ancora nella antica forma democratica statunitense, nel senso del valore delle sue istituzioni democratiche. Il populismo non è un fenomeno tipicamente americano, sia chiaro: Boris Johnson e la sua “Brexit” l’hanno anticipato, assieme ai “pieni poteri” di Viktor Orbán, il primo ministro ungherese, ed alla presidenza brasiliana nelle mani di Jair Bolsonaro. Si tratta di fenomeno mondiale, bisogna sottolinearlo chiaramente. Certo, con Trump il populismo ha ovviamente raggiunto livelli mediatici molto marcati…>>
In che senso?
<<Appare estremista nelle idee e nel modo di voler realizzare il suo operato! Facilmente irascibile, retorico nel linguaggio, spesso rabbioso, ambiguo e quasi incomprensibile, capace di attaccare l’avversario senza dargli tregua, come capitato nel corso del primo faccia-a-faccia con lo sfidante Biden, del 30 settembre. Lo ripeto senza tema di smentita: è stata una vergogna, il momento più basso della politica americana. Credo che Trump sia non solo vergognoso, ma abbia mostrato il tradimento dell’idea stessa di America>>.    
Egemonia finanziaria o rispetto dei diritti umani?
<<La presidenza Trump ha effettivamente accentuato il naturale “equilibrio instabile” tra questi due poli opposti, privilegiando i potenti e le lobbies a discapito dei cittadini americani realmente bisognosi. Ma ora c’è una sorpresa smarcante…>>
Spostiamoci ancora su numeri e percentuali: come voterà la sua New York?
<<New York è, anche questa volta, una delle mie poche certezze elettorali: nel 2016, ad esempio, Trump ottenne appena il 9% dei consensi, cioè una percentuale assolutamente irrisoria. Ci si aspetta una vittoria “a mani basse” di Biden: ne sono convinto, non si saranno problemi…>>
E la New York dei salotti!
<<Non sopporta Trump. Al 99% i salotti newyorchesi si esprimeranno per Joe Biden>>.
E la middle class, la working class?
<<A New York saranno per Biden: c’è sa sottolineare che lo zoccolo duro dei voti pro-Trump rimane collocato tra le persone a basso reddito, operari, o addirittura senza-lavoro, cioè quella realtà che non è riuscita ad integrarsi, che non ha trovato accoglienza e collocazione socio-lavorativa, e che -cosa più grave- non è mai stata ascoltata dall’universo troppo elitario dei liberal di sinistra americani>>.
Insomma un capovolgimento socio-politico?
<<Esattamente. Per essere chiari ogni oltre dubbio, Trump pescherà nella parte medio-bassa della popolazione newyorchese, mentre Biden sfonderà nella upperclass. Per quanto possa sembrare paradossale, travolgendo i classici canoni della scienza politica, il voto si è ormai cristallizzato su questa lunghezza d’onda. Ecco la sorpresa smarcante cui accennavo>>.
Certezza o dubbio: esiste l’America per Antonio Monda?              
<<Le cito Henry Miller di “Tropico del Cancro”: “L’America è meglio tenerla così, sempre sullo sfondo, una specie di cartolina postale a cui guardare nei momenti di debolezza. Così, tu t’immagini che sia sempre là ad attenderti, immutata, intatta, un grande spazio aperto patriottico con vacche, pecore e uomini dal cuore buono, pronti a fottersi tutto quello che vedono, uomo donna o bestia. Non esiste l’America. E’ un nome che si dà a un’idea astratta”.  Questo manifesto culturale è inciso a fuoco nel mio romanzo “L’America non esiste”. Ora faccia lei…>>

Panorama.it        Egidio Lorito, 02/11/2020

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