Dopo 32 anni a Mediaset, il giornalista televisivo continua ad occuparsi di informazione, E ha appena pubblicato un libro sul <<miraggio dell’uguaglianza>>
“Ho incentrato il focus del mio ultimo saggio sulla disuguaglianza, un tema da sempre vasto ed affascinante, ancor oggi irrisolto”.

Claudio Brachino, classe 1959, viterbese di nascita e milanese d’adozione, giornalista televisivo, saggista ed editorialista, è stato vicedirettore e storico anchorman di Studio Aperto, il telegiornale di Italia 1, e direttore di Videonews, la testata giornalistica che si occupa, dal 1987, dei diversi programmi d’informazione e approfondimento giornalistico in onda sulle tre più importanti reti generaliste del Gruppo Mediaset, nonchè di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo News. Negli anni ha creato, condotto e diretto contenitori televisivi di ampio successo di pubblico come Top Secret, Mattino5, Tiki Taka, Quarta Repubblica e Matrix, pubblicando Top Secret, Chi ha ucciso Lady D? e, con la giornalista Barbara Benedettelli -sua moglie dal 2003- I delitti del condominio. Storie di vicini che ammazzano.

E pensare che il suo primo amore era stato il teatro che lo aveva visto debuttare con lo pseudonimo di Claudio Brachini, poco più che ventenne, con Eduardo De Filippo, nella commedia “Mettiti al passo”. Prologo della passione per la letteratura italiana, suo campo di studi universitari.   
Panorama.it lo ha incontrato per una conversazione a tutto campo sul tema della disuguaglianza, la cui analisi l’Autore ha affidato al suo ultimo saggio, “Avere o non avere. Il miraggio dell’uguaglianza nella nostra democrazia” (Rubbettino, 2020).

Perché ha scelto di occuparsi di disuguaglianza?
“E’ impossibile non affrontare temi legati al denaro, al lavoro, ai diritti ed al futuro: soprattutto perché è lampante come la forbice tra ricchi e poveri si stia allargando sempre di più, in Italia come nel resto del mondo. Con la conseguenza che la democrazia rischia di trasformarsi in una maschera del tutto incapace di celare il vero volto delle disuguaglianze sociali, quelle che drammaticamente appaiono sotto gli occhi di ciascuno di noi”.
Amore per la letteratura sin dal titolo: echi di Hemingway?
<<L’ho molto amato, e nel 1937 ci consegnò il suo splendido To have and to have not: lo cito sempre in lingua madre perché restituisce la sua dolce musicalità. Hemingway affrontava il tema della morte, sostenendo che dopo i quarant’anni l’uomo pensi all’argomento almeno una volta al giorno: finì suicida ad appena 62 anni, e, pur rispettando questo estremo gesto, nella nostra epoca, a sessant’anni,  si è ancora in sella>>.    Anche per occuparsi di disuguaglianza, tema fondamentale nella storia dell’umanità.
<<Anche, certo. E’ importante centrare il focus del testo, considerato che il suo leitmotiv è affascinate ed al contempo sterminato. Spero di far capire la mission, la spinta profonda di un testo di questo tipo che non è un saggio di tipo classico, non è un saggio economico, non è un saggio sociologico, quanto, piuttosto, il pamphlet di un giornalista che in piccoli capitoli -quindici in tutto, e in meno di 200 pagine- centra il proprio sguardo sulla realtà circostante, partendo dalla propria esperienza professionale>>.
Con un cambio di prospettiva, sembra di capire.
<<Sono sempre stato colpito dalla disuguaglianza, e noi tutti ne parliamo in termini globalizzati: i migranti che dal Sud povero del mondo arrivano nel più ricco Occidente, cercando condizioni di vita migliori. Se però ci soffermiamo a osservare le nostre democrazie occidentali, così come la stessa grande mamma America, alla fine scopriamo che le disuguaglianze albergano fin dentro le nostre stesse società: nazioni, regioni, città, tutte fisiologicamente disuguali>>.

Differenze nelle differenze…
<<Ovviamente la società occidentale contemporanea è già diventata multietnica ed integrata da anni, composta com’è di cittadini che vivono in una uguaglianza “di diritto” riconosciuta dalle Costituzioni, dalla legge, dalla cultura classica: scavando, tra le sue pieghe si scopre, però, che non tutti hanno le stesse chances, quelle di potere avere una vita come quella degli altri. Esiste un dislivello dell’accesso già nei diritti fondamentali previsti dalla nostra Carta costituzionale: alle cure sanitarie, alle opportunità lavorative, alle possibilità educative, alla mobilità. Non è difficile scoprire che in effetti noi siamo “disuguali”>>.   Non mancano le disuguaglianze di ultima generazione.
<<Nel saggio mi riferisco all’ultima arrivata nel nostro mondo, nel XXI secolo: al “digital divide”, la disuguaglianza nell’accesso al mondo digitale, all’informazione telematica ed alle conoscenze informatiche. Ciò capita non solo per l’assenza delle infrastrutture tecnologiche, ma anche perché alla base manca un vero e proprio alfabeto culturale, che impedisce la possibilità di maneggiare la materia, creando ulteriori disuguaglianze>>.
Il futuro è già arrivato.
<<Essere fuori dall’alfabeto, dalla cultura digitale e dall’infrastruttura elettronica significa avere meno chances di altri che intanto già maneggiano questi strumenti. Come si vede, la disuguaglianza moderna è molto complessa, visto che il domani è già oggi>>.
Lei parte dalla classica disuguaglianza Sud-Nord.
<<In realtà parlo dei Nord e dei Sud, al plurale, indicati come le imprendibili categorie semantiche di una dicotomia, di un’opposizione perenne. La questione è metodologica: questo è, fondamentalmente, il libro di un linguista, di uno studioso di semiologia.
Figure retoriche…
<<Esatto, del più ampio discorso pubblico composto dalla comunità dei giornalisti e dalla comunità dei politici: e con la pandemia in corso, anche dalla comunità degli scienziati>>.
Questioni geografiche ed ideologiche
<<Lampedusa, ad esempio, rappresenta non solo il Sud estremo dell’Italia ma anche quello dell’Europa: quindi è un doppio confine, di una nazione ma anche di un universo continentale. Questioni geografiche che, come sottolineava Norberto Bobbio, diventano anche ideologiche, come la classica bipartizione tra destra e sinistra, per poi virare verso analisi antropologiche e socioeconomiche e segnare, alla fine, le rispettive appartenenze>>.
Il rischio retorico è evidente
<<Inevitabile, direi: i Sud, nell’immaginario collettivo, rappresentano la povertà, la deprivazione, l’assenza di ricchezza, magari unita alla bellezza del paesaggio, la lentezza della vita, mentre i Nord tutto il resto. Esattamente come in Europa, con la recente divisione tra gli Stati del Nord, definitisi “frugali”, ovvero Austria, Danimarca, Olanda, Svezia e Finlandia, contrapposti a quelli del Sud, i mediterranei. Non è solo un problema italiano>>.    Interessa soprattutto il nostro Sud.
<<Nel libro porto l’esempio di un ragazzino di quattordici anni conosciuto a Giffoni, nel salernitano, dove per anni ho fatto l’inviato di Studio Aperto al “Giffoni film festival” che rappresenta il risultato raggiunto da un uomo del nostro Sud, Claudio Gubitosi che nel 1971, ad appena diciotto anni, partorì l’idea di una grande kermesse culturale per ragazzi, giunta alla sua cinquantesima edizione. Un esempio di dedizione umana ed impegno professionale, trasformata in Fondazione che lavora tutto l’anno per accogliere la gioventù da tutto il mondo>>.
Nel libro risalta un emblematico ricordo personale…
<<Estremamente evocativo: i ragazzi rappresentano i giurati del Festival, ed una mattina un professore, al termine di una delle conferenze giornaliere, chiese ad un giurato quale fosse il suo sogno nel cassetto: ebbene, quel quattordicenne rispose non solo di non avere sogni, ma di non avere neanche un cassetto dove riporli>>. …per rievocare la “famigerata Cassa per il Mezzogiorno”>>
<<Senza stare a ripetere concetti diventati ormai ovvi, trovo ancora illuminante una dichiarazione del senatore a vita Emilio Colombo, più volte ministro, per il quale “la Cassa operò per la modernizzazione del Sud e creò le condizioni per un grande mercato di cui profittò la struttura industriale del Nord”. Al di là degli sprechi, delle tangenti, della corruzione, alla fine la Cassa per il Sud ha arricchito il Nord. Ma soprattutto la Cassa si è mangiata il cassetto, privando il nostro giovane giurato quattordicenne del suo luogo intimo in cui conservare i propri sogni>>.    C’è anche la secolare contrapposizione uomini-donne.
<<Andava trattata, perché tra le più spinose e controverse questioni che ci trasciniamo da secoli. Addirittura nella trama del libro ho suddiviso tra “uomini e donne”, “uomini che odiano le donne”, “donne che mangiano le donne”, “pari opportunità” e “omofobia e omocrazia”. Le donne hanno compiuto più passi avanti degli uomini negli ultimi trent’anni, anche se non hanno raggiunto, nei fatti, una parità effettiva per quanto riguarda i salari o alcune condizioni lavorative>>.
Il ragionamento schematico femminista è superato?
<<Lo decostruisco in vari punti, perché occorre andare a vedere quali siano i problemi reali del nostro quotidiano: la possibilità che le donne mettano al mondo figli e che gli uomini abbiano il congedo di paternità come in altri Paesi per permettere alle donne di lavorare; ovvero che le donne siano rispettate nel mondo del lavoro partendo dai gradini più bassi, perché a livello dirigenziale i risultati sono già eccellenti>>.
E nel mondo del giornalismo e della televisione?
<<Beh, i “numeri uno” sono spesso donne. Non è che nella nostra categoria ci siano molti steccati, esattamente come nel settore della ricerca scientifica, come nel caso di Ilaria Capua, grande virologa che vive ed opera in America. Abbiamo dissolto molti pregiudizi che rimangono ancora nella parte oscura del nostro quotidiano, tra mobbing, ricatti sessuali, forme di prevaricazione>>.
Ha riletto il femminicidio.  
<<Anche grazie a un libro di mia moglie che da donna che ha difeso le donne, ha scritto un libro sul maschicidio e dimostrato che lo stesso femminicidio vada rivisto culturalmente e antropologicamente. Ho affrontato questo tema in maniera molto più raffinata rispetto agli schemi comuni>>. Non mancano le sorprese.
<<Il capitolo “Donne contro donne” è molto tragico, perché si scopre che il 40% dei protagonisti del mobbing sono donne le cui vittime sono proprio altre donne. Queste ultime appaiono spietate, come ho cercato di spiegare, per motivi anche scientifici o culturali>>.
Salta all’occhio il termine “demophonia”.
<<E’ un mio neologismo, una piccola invenzione legata alla “democrazia degli smartphones”, dei telefonini intelligenti. E qui si registra il paradosso della tecnologia, che ha aumentato a dismisura la nostra possibilità di essere uguali. Oggi tutti, praticamente, possediamo un telefonino, che rappresenta una forma di uguaglianza universale>>.
Poi c’è la pars destruens, il rovescio della medaglia.
<<Si scopre che questa uguaglianza è merceologica, commerciale quando si tratta dei linguaggi e delle loro applicazioni. Risalta il digital divide e la stessa possibilità di utilizzazione politica dei social, capaci di condizionare con le celebri fake news, ad esempio, le campagne elettorale; risaltano i grandi proprietari dell’Hi-Tech, i giganti di Silicon Valley che attraverso i telefonini arrivano a possedere i nostri dati ed a deviare il corso delle democrazie>>.
Luci ed ombre, inevitabilmente.
<<I social, purtroppo, hanno apparentemente aumentato la democrazia, dando ad ognuno l’idea o l’illusione di esprimere il proprio punto di vista o di arrivare a conquistare conoscenze prima irraggiungibili: questa è sicuramente la parte positiva, poi il lato oscuro è molto grande, pericoloso per la stessa democrazia>>.
La sondaggista Alessandra Ghisleri ha curato la postfazione. Sta sondando il terreno per scendere in politica?
<<Ora assolutamente no. Sono lontano da quest’idea, anche se mi è stato vagamente proposto negli ultimi anni della mia carriera come direttore militante. Ciò non toglie che avendo accumulato una certa esperienza nel mio mestiere, se un giorno qualcuno mi proponesse di entrare in politica con un progetto serio, potrei pensarci>>.
Solo un parere tecnico, allora?  
<<Ho chiesto ad Alessandra che conosco e stimo come sondaggista di darmi una sua lettura tecnica del libro. All’inizio avevo anche pensato di scriverlo assieme ad un esperto, strutturato in modo da collocare in ogni capitolo i numeri da una parte e le mie riflessioni dall’altra. Mi piaceva che una sondaggista intelligente mettesse il suo timbro su questo mio progetto editoriale>>.
Cosa fa Claudio Brachino, oggi?
<<Ho lasciato dopo 32 anni, lo scorso 31 marzo, il Gruppo Mediaset e, sinceramente, ora sto lavorando su di me. Dopo 11 anni da vicedirettore e 12 da direttore, ed aver trasformato Videonews nella “fabbrica dei programmi” di quell’azienda televisiva, non ho nessuna fretta di continuare a correre; ho diretto lo sport, ho diretto anche la redazione giornalistica di Radio Monte Carlo, ho maturato una certa esperienza come anchorman e come opinionista>>.
Altro che riposo…
<<Mi sono ritagliato il mio spazio da editorialista politico per Il Giornale e da commentatore per La7 e Rai 3, e da poco sono consulente multimediale ed editorialista per l’agenzia di stampa Italpress per cui realizzo un programma che si chiama “Primo Pano”>>.
Sempre al centro della notizia.
<<Originariamente avrei voluto chiamarlo “One”, all’inglese, per intervistare i numeri uno del nostro tempo: mi sto confrontando con la nuova frontiera del multi-linguaggio, considerato che le agenzie di stampa oggi producono anche video e radio>>.
Il columnist, per scomodare il mondo anglosassone.  
<<Già, anche se nel mirino ho sempre un programma in cui torni a vestire i panni dell’anchorman. Una mia direzione con lo sguardo al mondo del web, la nuova frontiera dei vecchi cari ed amati giornali>>.

Panorama.it                                                      Egidio Lorito, 17/11/2020