Per capire cosa sta succedendo nella regione, Panorama.it ha intervistato sei intellettuali calabresi. Salle loro parole emergono luci e ombre, speranze e drammi della terra <<amara>>

Questa volta non occorre tirare in ballo né Guido PioveneGiuseppe Berto e neanche Cesare Pavese che calabresi non lo erano nemmeno lontanamente salvo, poi, innamorarsi di questa terra appena vi misero piede per i motivi più disparati: Berto, addirittura, si fece seppellire nella “sua” Capo Vaticano, nel vibonese, dopo donchisciottesche battaglie in difesa di uno dei promontori più belli al mondo. E non occorrerà neanche citare i grandi viaggiatori mittleuropei che tra il XVIII ed il XX secolo scelsero la Calabria come meta del tradizionale Bildungreise, quel viaggio di istruzione e formazione tipico delle classi agiate e colte delle società europee. Corrado Alvaro, nel 1931, non perderà occasione per parlare di “paese e gente difficile”, mentre toccherà a Leonida Répaci definirla addirittura “amara”: e misteriosa, a causa del paesaggio descritto nelle pagine di quegli antichi girovaghi romantici. Da qualche decennio, quel mistero paesaggistico ha lasciato il posto a sfumature politico-criminali, socio-culturali ed insieme psico-antropologiche che si pensava consegnate alle cronache ma che, invece, sono ritornate a materializzarsi nel giro di poche settimane, tra la seconda ondata della pandemia, la prematura scomparsa della presidente Jole Santelli, la consueta cronaca politico-giudiziaria e l’implosione dell’atavica carenza ospedaliera, aggravata da dimissioni e rifiuti a catena per la poltrona di commissario regionale alla sanità.  

  • Santo Gioffrè: <<Dalla mia denuncia del malaffare partì lo scioglimento dell’Asp di Reggio Calabria>>
  • Vincenzo Bova: <<50 anni dopo i “moti di Reggio”, manca un progetto comune attorno ad una leadership>>
  • Nuccio Ordine: <<Il Campus come luogo di formazione delle coscienze, ma occorre implementare sanità, educazione e trasporti>>
  • Vito Teti: <<occorre costruire una nuova identità regionale condivisa che non sia di sola reazione alle immagini esterne>>
  • Gian Pietro Calabrò: <<Spero nelle nuovissime generazioni. Le nuove hanno già fallito>>
  • Paolo Jedlowski: <<i tassi di istruzione in Calabria sono da decenni in piena risalita>>

Reggino di Seminara, laurea in medicina e specializzazione in ginecologia ed ostetricia, Santo Gioffrè alterna la passione per il romanzo storico -il successo arriva con Artemisia Sanchez,  la miniserie televisiva, andata in onda sulla Rai nel 2008- con l’impegno politico che lo porta a guidare l’assessorato alla cultura della provincia di Reggio Calabria, e, nel 2015, come commissario straordinario, l’Azienda sanitaria provinciale. Anche per le sue denunce sulle anomalie della gestione finanziaria, l’ente sarebbe stato sciolto per infiltrazione mafiosa nel marzo del 2019.
Dottor Gioffrè, la Calabria sotto i riflettori dei media nazionali.
<<Le recenti montanti polemiche scoppiate intorno alla questione della sanità calabrese trasmettono l’idea di una Regione drammaticamente persa: appare alla deriva nel Mediterraneo e proietta, in Italia e nel mondo, la sua immagine di terra perduta>>.
Il mare di Corrado Alvaro?
<<Tralasciamo il classico ricordo “del calabrese che vuol essere parlato”: qui si mettono a rischio il concetto della coesione e della presa di coscienza, tanto che si rischia di tornare ad essere interessanti solo per i viaggiatori del “Grand Tour”>>.
Del problema-Calabria ci si accorge solo oggi? 
<<Dopo anni e anni di indifferenza per ogni malaffare, oggi assistiamo alla più classica levata di scudi. Roba da non credere>>.
Sanità. Maledetta sanità.
<<E’ un brutto risveglio assistere a  commissari che si stanno alternando o che stanno clamorosamente rifiutando di scendere in Calabria: penso che vengano nominati o proposti con la logica qualunquista mirante a vendere un’immagine, quasi un’emoticon>>.  
Singolare la parabola pubblica di Santo Gioffrè.
<<Ho sempre concepito il possesso di una formazione culturale come arma di difesa e di riscatto, ed in questo la lezione della storia mi ha permesso di osservare ogni realtà con occhio critico e scevro da modelli precostituiti. Scelsi medicina sicuramente per assecondare mio padre nella sua visione di riscatto sociale>>.
Professione e missione.
<<La prima l’ho svolta esclusivamente all’interno del Sistema sanitario nazionale, e non impiegai molto per capire che, in Calabria, la sanità, più che altrove, fosse da sempre un settore speculare al sistema del malaffare>>.
Ma nel 2015 l’allora presidente Oliverio la nomina commissario all’Asp di Reggio. 
<<Nessuno mi crederà: fui nominato “per caso” il 29 marzo 2015 e rimasi alla guida di quell’ente fino al 4 settembre 2015>>.
Come “per caso”?
<< La mia nomina non rientrava nei piani di alcun soggetto politico: la Giunta regionale si era impantanata nella scelta del nome, anche perché aveva stabilito che i commissari straordinari delle varie Asp e Aziende ospedaliere dovessero essere medici>>.
Medico certo, ma anche amministratore pubblico.
<<Qualcuno fece il mio nome, puntualmente scartato in quanto oltre che amministratore pubblico -per nove anni assessore alla cultura della Provincia di Reggio Calabria- ero uno scrittore, discretamente conosciuto perché la Rai aveva trasformato in fiction una delle mie opere. Solo alla fine si scoprì che ero anche medico>>.
Le si spalancò un mondo nella veste di commissario.  
<<Che andava oltre ben oltre ogni immaginabile narrazione. Conobbi, in quei mesi, la vera tragedia di questa terra che, silenziosa, muta e, pur consapevole, è incapace di rivolta morale, rifugiandosi nell’auto-commiserazione e nell’auto-consolazione, individuando un responsabile sempre altrove>>.
E cioè?
<<Vennero fuori le storie delle fatture pagate due volte e delle transazioni milionarie, false, stipulate tra l’Asp di Reggio Calabria e le Case di cura private convenzionate, arrivate allo stato di riscossione del pagamento e capaci di sfuggire ad ogni controllo di legalità. Precipitai sin dentro l’Inferno>>.
I protagonisti del suo romanzo criminale…
<<L’illegalità in cui si muovevano i colletti bianchi non l’avevo vista nemmeno negli anni della mia gioventù quando, mio malgrado, avevo respirato il clima di terribili faide di ‘ndrangheta. Complicità, a tutti i livelli, compresi organi “disattenti” dello Stato. Altrimenti, come non allarmarsi di fronte ad un bilancio dell’Asp reggina bocciato nel 2013… >>.
E si ritrovò isolato…
<<Disorganico a quel sistema e completamento sganciato da ogni logica di potere che potesse influenzare la mia condotta, dopo un inizio di affollate anti-camere, rimasi solo con le persone fidate: miei unici interlocutori, il Presidente della Giunta Regionale Mario Oliverio e il Commissario di Governo Massimo Scura>>.
Avvertiva il rischio di questa sua missione?   
<<Subii feroci attacchi da più parti, apparentemente legati a banali questioni formali, che mi fecero capire che stavo giocando con la mia vita. Tra lo stupore e la paura, tra il mollare o continuare a qualunque costo, la mia coscienza mi ha inchiodato in quel maledetto posto per alcuni mesi>>.     
Politico, medico e romanziere.
<<La politica, la mia primordiale e, forse innata passione, seguita da quella per la medicina. Poi, nel tempo, quella per la narrazione di ogni cosa, dal cielo stellato alla vita, dal volto umano e dal cuore, alla natura. Così, quasi senza accorgermene, sono diventato scrittore>>.

Nativo di Reggio Calabria, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della Università della Calabria, Vincenzo Bova ha puntato la sua attenzione alla sociologia politica ed a quella dei movimenti collettivi sviluppatisi alla fine degli anni Sessanta nella sua città, entrando -quindi- nel cuore dell’analisi attraverso lo strumento sociologico.
50 anni dopo i “moti di Reggio”, la Calabria occupa quotidianamente il palinsesto mediatico nazionale.   
<<Ad indicare in anticipo la crisi di un sistema politico che non riesce a leggere e governare il cambiamento>>.
Differenze abissali.
<<Nel 1970 la rivolta di Reggio Calabria anticipò la crisi della capacità di mediazione e rappresentanza dei partiti dell’arco costituzionale: oggi le vicende legate alla gestione del servizio sanitario regionale evidenziano la fragilità della rete regionale ma anche l’inadeguatezza dell’azione politica dello Stato centrale>>.
Quel movimento di rivolta fu un fenomeno “sociale”.
<<Un movimento incompreso e rapidamente cancellato dalla storia d’Italia con il bollino di rivolta fascista dei “boia chi molla”>>.
Caratterizzato dalla forte partecipazione popolare.
<<Di appartenenza territoriale, interclassista e ideologicamente trasversale: esplose quando apparirono occlusi i canali istituzionali di rappresentanza e difesa di interessi che non si limitavano alla protezione del pennacchio di capoluogo di regione espropriato a Reggio Calabria da Catanzaro>>.
Venne spostato l’asse del potere politico.
<<In ossequio agli equilibri politici di quegli anni, Catanzaro diventava capoluogo di regione, a Cosenza si costituiva l’Università della Calabria, a Reggio Calabria veniva promesso il mai realizzato V° Centro siderurgico>>.
Potere politico e movimento di protesta, dunque.
<<In Calabria l’istituzione delle regioni invece che unire divise. Nello scontro fra movimento ed istituzioni, a Reggio non vinse né il movimento, che non riesce a darsi canali di continuità, né le istituzioni>>.
Chi avrebbe prevalso, allora?
<<Una élite occulta che manipolerà a suo piacimento il malcontento popolare e la sfiducia nelle istituzioni>>.
Tutto a tacere?
<<Si trattò di un evento ad impatto non circoscrivibile a quel periodo storico, ma piuttosto di una frattura storicamente non ancora sanata tra società civile, società politica ed istituzioni >>.
Oggi manca la carica “implosiva”?
<<La partecipazione politica in Calabria si è sviluppata sui canali del clientelismo. Finita l’epoca delle vacche grasse, il voto dei calabresi alle competizioni regionali è emblematico più dell’espressione di un no che di quella di un sì>>.
E’ ancor oggi così?
<<Vediamo come centro-destra e centro-sinistra si alternino regolarmente alla guida della regione: ciascuna delle due parti è sorretta dal voto di insoddisfazione per l’operato della precedente>>.
 Se la immagina una rivolta calabrese ai giorni nostri?
<<Francamente no. Ci sono e potranno crescere focolai isolati come espressione di rivendicazioni (localistiche o di categoria) che potrebbero anche esplodere in forme di protesta violenta>>.
Ma tendere la corda…
<<Al momento manca un tessuto solido costituito attorno ad una leadership e ad un progetto comune che assumano la forma di movimento >>.

Cosentino di Diamante, come il suo nome all’anagrafe, quasi a suggellarne il legame, Nuccio Ordine è ordinario di Letteratura italiana presso l’Università della Calabria: vanta picchi di notorietà accademica internazionale (New York University, Harvard, Yale, Paris-Sorbonne, Accademia Russa delle Scienze, Académie Royale de Belgique) con tanto di cavalierato della “Legion d’Honneur” in Francia nel 2012, ben cinque lauree “honoris causa” ed il suo L'utilità dell’inutile diffuso in trentadue Paesi.
Professore, in tempi di crisi è utile solo ciò che produce profitto?
<<In società fondate sul denaro e sull’utilitarismo, è considerato utile solo ciò che fa guadagnare soldi: nella pandemia stiamo imparando che leggere un libro, ascoltare musica, osservare un quadro sono attività fondamentali per nutrire lo spirito>>.
Viviamo ossessionati dal possesso e dal culto dell’utilità.
<<Montaigne diceva che dobbiamo imparare a godere e che possedere soltanto, uccide. Il solo possesso contribuisce ad uccidere la conoscenza, perchè quando penso di possedere la verità, non la cerco più>>.
Con l’effetto di inaridire lo spirito…
<<Quando il livello culturale di un territorio si abbassa, i risultati risaltano evidenti soprattutto nella sua gestione politica >>.
A proposito di realtà territoriali.
<<Mi sono formato all’Università della Calabria in un periodo in cui, per la prima volta, noi giovani calabresi avevamo la possibilità di studiare direttamente nella nostra terra: e l’ho fatto con maestri del calibro di Giulio Ferroni, Dante Della Terza, Alfonso Berardinelli, Costanzo Di Girolamo, Ivano Paccagnella>>.
Un passo epocale.
<<Una rivoluzione culturale straordinaria: probabilmente molti di noi non avrebbero avuto neanche la possibilità di frequentarla un’università, se non ci fosse stata offerta la possibilità di farlo “in casa”>>.
Rivoluzione delle coscienze.
<< Come negarlo. A contatto con una classe di docenti provenienti da tutt’Italia, molti di assoluto prestigio, contribuivamo, a nostra volta, ad elevare il livello socio-culturale delle nostre realtà di provenienza>>.
Un campus per il futuro.
<<La sua nascita ha segnato l’opportunità di ritrovarci tutti assieme: per l’assenza di fabbriche e di altre opportunità di aggregazione, l’Università ebbe l’effetto di incidere sulle nostre coscienze>>.
Ed ora ci insegna pure.
<<Avrei potuto insegnare in atenei italiani e stranieri, alcuni assolutamente prestigiosi: ho scelto di rimanere in Calabria perché ritengo che sia importante contribuire a gettare le basi culturali nella propria terra. Anche per sfatare un mito negativo per noi stessi calabresi>>.
Quale, mi perdoni?   
<<E’ assolutamente sbagliato continuare ad affermare che i nostri giovani non debbano partire. I nostri giovani devono partire, devono poter fare esperienze formative o specialistiche all’estero. Il problema è, semmai, creare le opportunità per farli rientrare al termine del periodo di formazione o specializzazione, per mettere al servizio della comunità il know how acquisito >>.    
Con il digital divide in agguato.
<<Stiamo affrontando l’emergenza con la didattica a distanza: il digitale crea delle disuguaglianze e, nel picco pandemico, oltre la metà delle famiglie in Calabria non era dotata di connessione alla rete. Effetti deleteri che pagheremo soprattutto noi al Sud. Disuguaglianze su disuguaglianze>>.
Sia sincero: da studente, come se la immaginava la Calabria?
<<All’epoca immaginavo di vivere e lavorare fuori: nel tempo ho compreso che il destino di noi calabresi sarebbe dipeso anche dalla qualità culturale offerta ai giovani, per contribuire a ridurre il gap che ci separa da altre realtà >>.
Suggerimenti?  
<<Siamo in tema: implementare l’offerta sanitaria -la Calabria è “zona rossa” non per il numero dei contagiati ma per la fatiscente rete ospedaliera- il diritto alla conoscenza -potenziare le strutture educative a tutti i livelli- e rivedere la rete dei trasporti veloci, collegando realmente la Calabria con l’ultimo Hub meridionale dell’alta velocità, ovvero Salerno>>.  
C’è speranza per questa terra?
<<Se verranno realizzati i tre obiettivi appena indicati, la speranza sarà viva, altrimenti dovremo accontentarci di vivere perennemente in trincea>>.

Vibonese di San Nicola da Crissa, ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, dove dirige il Centro di antropologia e letterature del Mediterraneo, Vito Teti è annoverato tra i massimi studiosi internazionali di tradizioni popolari e riti nella società tradizionale e contemporanea: in Francia, a Nancy, fa parte del gruppo di ricerca sulle culture alimentari.
Ci mancava solo la pandemia.
<<Ha imposto un passaggio d’epoca: la linea del tempo si è spezzata, e il presente ci costringe a girare pagina, a sancire una irrimediabile rottura con tutto ciò che è stato fino ad ora>>.
Cambio di rotta, ma non in Calabria. 
<<C’è un passato che non passa. Si ripetono e si rinnovano le catastrofi che hanno segnato e segnano la vita e la mentalità delle persone. Si rinnovano e non passano quei ceti dirigenti che prosperano sulle calamità della regione. Per diverse ragioni, cambiare diventa difficile, non appare conveniente>>.
Eppure il passato è memoria e rigenerazione.
<<Potrebbe essere riscattato, adoperato, conosciuto per fondare nuove comunità. Anche perché, poi, la Calabria non è solo passato, è tempo presente, luogo del mondo: E’ cambiata profondamente negli ultimi cinquant’anni. Il passato dovrebbe servire per dare un senso alle novità positive che si affermano, pure in un contesto complessivamente degradato e abbandonato>>.
Lei è uno studioso del “senso dei luoghi”.
<<E’ sempre valida l’affermazione di Corrado Alvaro secondo cui è difficile descrivere una terra spesso ridotta a luogo esotico e leggendario. Occorre parlare di Calabrie più che di Calabria, di tante terre, luoghi, comunità diverse per storia, lingua, culture>>.
Non un’identità statica e mummificata.
<<Dobbiamo osservare quelle identità mobili, dinamiche, segnate da grandi contrasti, da contraddizioni a volte inquietanti, che rendono questa terra la “più bella del mondo”, dove la bellezza viene meno curata: la terra dell’accoglienza e dell’ospitalità ma anche di tante retoriche e di mille ingiustizie sociali>>.
La regione metafora della “memoria dei paesi abbandonati”
<<La Calabria, fin dall’antichità, per catastrofi -terremoti e alluvioni- e invasioni, conosce una storia di abbandoni. Esistono tracce, memorie, segni materiali e immateriali di città, villaggi, piccoli luoghi di cui non esiste nemmeno il nome>>.
E’ il senso del vuoto?
<<Dopo un secolo e mezzo di emigrazione, di fughe, di abbandono delle aree interne, di crisi demografiche, la regione deve fare i conti con un “vuoto” inquietante, con una desertificazione di luoghi che un tempo erano centri di vita>>.
Immagina un ritorno al passato?
<<No, ma cercare di riabitare i luoghi, farli vivere grazie a iniziative economiche, produttive, che spingano le persone a restare, visto che, in fondo, la partenza è vissuta ancora come una sconfitta, una necessità e non una scelta>>.
Sudici, oziosi, malavitosi, briganti, mafiosi...
<<La Calabria ha conosciuto un eccesso di immagini, stereotipi, pregiudizi negativi. Nello stesso tempo è stata spesso ridotta a “luogo comune”, a “terra felix” (immagine parziale, riduttiva, opposta e complementare a quella di “sfasciume pendulo sul mare”), come paradiso, con atteggiamento retorico>>.
E non ci si indigna?
<<Penso, come diceva Croce, che dinnanzi a tante ingenerose, infondate, a volte razzistiche immagini negative, dobbiamo indignarci, cercare di mostrarne il carattere ostile e l’infondatezza, ma dovremmo cercare di capire il perché di tanti stereotipi, non dovremmo dare la colpa e la responsabilità dei nostri problemi sempre agli altri>>.
Una chiamata alle armi…culturali, allora.
<<Dovremmo costruire un’identità che non sia di sola reazione alle immagini esterne, ma che sia un’identità del fare, che ci interroghi e ci porti a costruire e inventare nuove economie e nuove culture, a usare bene le nostre mille risorse>>.
Iniezione di fiducia.
<<C’è bisogno di fare, ricostruire -ma anche di credere in noi stessi- di speranza ad operare eticamente, senza tante autoassoluzioni o autodenigrazioni, e solo in tal modo non saremo vittime di tante denominazioni esterne, che non di rado, purtroppo, abbiamo interiorizzato. Per noi e per gli altri>>.
Contro i luoghi comuni: “razza maledetta”…
<<Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si afferma in Italia la teoria razziale dell’inferiorità del Mezzogiorno. Nonostante l’opposizione di numerosi studiosi, questa teoria si diffuse come linguaggio funzionale all’ideologia dei ceti dominanti italiani e stranieri.
…e terra inquieta.
<<E’ difficile definire e delimitare un luogo antropologico compatto e stabile, figuriamoci un luogo esteso, aperto, storico, mobile, senza pace e dai molti volti. Come la Calabria>>.

Cosentino di Rossano Calabro, già ordinario di Filosofia del diritto nell’Università della Calabria e docente presso la Libera Università del Mediterraneo “Jean Monnet” di Bari, Gian Pietro Calabrò ha ideato e diretto il Master in “Diritti Umani e Legalità” e la “Scuola Superiore di Formazione in Studi Sociali e Politici Antonio Guarasci”, intitolata all’insigne storico, primo presidente della giunta calabrese nel 1970.
Calabrò teorico della “galassia dei diritti”.
<<Avevo immaginato, con la collega Helzel, un nucleo di valori, costituzionalizzati per l’appunto, che formavano il centro attorno a cui si di dipanava e si organizzava l’intera società civile, l’ordine democratico>>.
Un “ordine” in salsa calabra.
<<La Calabria è stata quasi sempre refrattaria verso questo nucleo valoriale. Vuoi per l’esistenza di una criminalità organizzata che ha pervaso le stesse istituzioni e la politica, vuoi per una sorta di retaggio storico>>.
Calabria, Calabrie.
<<Ecco: occorre usare il plurale, Calabrie, per l’eterogeneità dei suoi territori e per le diverse influenze nel corso della storia>>.
Immagino lo sconforto, oggi.
<<Essendo un emigrato di ritorno, userei il termine “disincanto”. Ormai le cose si guardano da lontano, con il binocolo capovolto e si è consapevoli della propria impotenza nel cambiare ciò che ci circonda>>.
Diritti umani/diritti della persona.
<< La nozione di persona arricchisce quella di individuo, vi fa penetrare degli elementi valoriali e pone l’uomo di fronte all’altro uomo in una relazione inscindibile>>.
In Italia.
<<La società contemporanea mi sembra stia invertendo la direzione di questo processo: si esalta la libertà dell’individuo quale padrone assoluto del suo spazio vitale>>.
E in Calabria?
<< Si sta riscoprendo una sorta di identità, che ha alcuni aspetti inquietanti: si esalta una calabresità, quasi genetica, razziale, che emargina e ghettizza. Eccezionale, nel senso però di essere sempre fuori dalla norma, imputando colpe ora a questo ora a quello e risalendo persino all’Unità d’Italia >>.
I suoi corregionali avvertono forte il “bisogno dello Stato”.
<<Dal titolo di un mio volume recente, è il bisogno non solo dalle mie parti: lo Stato oggi si è liquefatto, vi è una gestione magmatica, una ipertrofia legislativa caotica, la cui interpretazione lascia ampi margini di discrezionalità se non di arbitrio>>.
Più che ordine, un “disordine”.
<<Lo Stato deve dare ordine: anche per una società complessa e multiculturale vi devono essere alcuni principi inamovibili che orientino la vita di una democrazia. Da noi questa caoticità è esaltata dalle profonde lacerazioni di natura politica e territoriale>>.
Metafora dell’ “ordine perduto”.
<< Da quanto detto finora, la Calabria è la terra dell’ordine forse mai avuto, più che perduto>>.
E la sua idea dell’ “alba del nuovo ordine”?
<<In realtà mi sono rifugiato in un periodo storico, il medioevo giuridico, a rintracciare e rendere omaggio ai miei maestri perugini e all’ambiente francescano verso cui ho sempre nutrito una profonda devozione, che con il ritorno a casa mi si era offuscata>>.
C’è speranza di redenzione?
<< Si deve sperare pur sempre che vi siano dei mutamenti e una nuova alba. La storia si serve dei conflitti a volte cruenti per dare vita ad un nuovo mondo. Senza il sangue versato nella Seconda guerra mondiale le atrocità dei tedeschi si sarebbero estese in tutta Europa>>.
Sembra ecumenico.
<<Lo so, la storia non si fa con i se. La redenzione ha bisogno di una via crucis e poi del calvario. La mia speranza è che essa possa essere raggiunta in modo indolore e con l’intelligenza delle nuovissime generazioni. Le nuove, mi pare abbiano già fallito>>.

Milanese di nascita, trapiantato a Cosenza dove è professore ordinario di Sociologia all’Università della Calabria presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali, Paolo Jedlowski si è perfezionato a Boston ed ha insegnato a Verona, Lugano e Napoli “L’Orientale”. Coordinatore del dottorato in “Politica, cultura e sviluppo”, è stato vice-Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia. I suoi argomenti di studio riguardano prevalentemente la teoria sociale e la sociologia della cultura e della vita quotidiana.
Professore, un accademico e intellettuale non calabrese si confronta da anni con la Calabria.  
<<Alla Calabria devo molto: arrivai poco più che trentenne nel campus di Arcavacata, e qui ho percorso l’intero cursus universitario, da ricercatore ad ordinario>>.  
Un confronto scientifico, ovviamente.
<<Non solo. Ho avuto amici, ho girato la Calabria in lungo e il largo… E per lavoro, certo, ho compiuto qualche ricerca>>.
Ce ne parli
<<Ad esempio, una ventina di anni fa, con l’Osservatorio sui processi culturali e la vita quotidiana dell’allora Dipartimento di sociologia e scienza politica, sulla base di una convenzione tra l’Università e l’Irrsae Calabria, guidai un’indagine sulla lettura ed i consumi culturali degli studenti degli Istituti medi superiori in Calabria>>.
Risultati scontati…
<<Non direi. I consumi culturali complessivi risultarono effettivamente meno ricchi che altrove, ma emerse che gli studenti rappresentavano la fascia della popolazione in cui gli stili di consumo differivano meno da ciò che si rilevava in altre regioni>>.
Ci fa sperare, soprattutto vent’anni dopo.
<<Non lo so. E’ certo che i tassi di istruzione in Calabria sono da decenni in piena risalita avviandosi a colmare le differenze che fino a pochi anni or sono tenevano questa regione lontana dalle medie nazionali, e i comportamenti dei giovani sono analoghi a quanto si riscontra in altre parti d’Italia>>.
Sono altre le differenze…
<<Purtroppo il reddito medio pro-capite, a queste latitudini, è poco più di due terzi di quello nazionale e la Calabria rimane la regione più povera di tutta l’Italia: rispetto alla Lombardia, il reddito si attesta a circa la metà… La nostra piaga è che formiamo ottimi studenti, ma per lavorare devono andare altrove>>.
Se le cito “Ossidiana” ?
<<E’ il nostro Osservatorio per lo studio dei processi culturali e della vita quotidiana, cui venne dato quel nome ben augurante mutuato da quello di una pietra lavica ben nota sin dall’antichità per le sue caratteristiche di duttilità>>.
Teoria e prassi vi si uniscono?
<<Si uniscono sempre. E soprattutto da noi, in Calabria, dove abbiamo sentito il bisogno di uno spazio aperto e vivace di incontro, confronto e discussione, di analisi, riflessione e ricerca attinenti alla cultura e alla vita quotidiana, alla memoria, alla teoria sociale, ai media>>.
Habermas trapiantato sulle colline calabresi…
<<Sì, fra gli altri Habermas è un autore che abbiamo molto usato, soprattutto per la rivisitazione del concetto di “sfera pubblica” che, come mostrano le vicende che stanno interessando anche ora la penisola calabrese con l’aggravamento della crisi pandemica, ma anche a partire da fattori diversi come la crescita delle sfere pubbliche on line, ha bisogno di continui aggiornamenti>>.
Da Via Festa del Perdono, a Milano, ad Arcavacata…
<<Due mondi. Ma più vicini di quanto si possa pensare. Il carattere straordinario di questo piccolo centro vicino a Cosenza dove è sorta negli anni settanta l’Università della Calabria, si deve gran parte all’intersecazione che si è prodotta fra cerchie sociali diverse ed al lavorio di interpretazione reciproca che ciascuno è stato costretto ad intraprendere>>.
Non faccia troppo il “sociologo”…
<<E’ accaduto così: i contadini del luogo hanno dovuto confrontarsi con un mondo di professori, i professori locali con quelli di altre regioni, tutti noi con molti stranieri, docenti e studenti, che si sono riversati nel campus. Ne è nato un luogo con una vivacità intellettuale con pochi paragoni in Italia>>.
Confronto e narrazione.
<<Esatto: una straordinaria capacità di fare la spola tra diverse cerchie sociali, di mediarle, sino alla costruzione di un tessuto comune>>.
Se le cito il nome “Lorica” ?
<<Uno dei miei luoghi del cuore, in Sila. Ma anche il titolo di un libro di storie, che abitanti e turisti hanno raccontato, contribuendo a restituire un’immagine incantata di questo “piccolo Tibet”, come un’amica lo descrisse >>.
Lo ha scritto lei?
<<No, mia moglie, Renate Siebert, che nel 1968, all’università di Francoforte, fu allieva di Theodor W. Adorno. Per scendere, dopo Milano, proprio qui ad Arcavacata>>.
Un vizio di famiglia.
<<Sicuramente un amore condiviso>>. 

Panorama.it                                                             Egidio Lorito, 30/11/2020

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