Il giorno del funerale di Paolo Rossi, Panorama lo ricorda intervistando tre personaggi che hanno conosciuto il grande Pablito.

Antonello Cuccureddu: «Arrivò alla Juve cinque anni dopo di me: mi colpì la sua straordinaria educazione»
Pasquale Gallo: «Arrossiva facilmente, umile come solo i veri grandi sanno essere»
Tonino Raffa: «Il mio esordio, con lui, il 16 maggio del 1982, nel giorno della seconda stella bianconera»

Sono passati poco più di 38 anni dall'indimenticabile Mondiale del 1982, iniziato nella penombra e proseguito nel fulgore più esaltante di forza calcistica e gioia collettiva. Oggi l'Italia intera assiste attonita ai funerali di quell'eroe italico in terra spagnola. Paolo Rossi, toscano di Prato, classe 1956, è prematuramente scomparso il 10 dicembre al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, dov'era ricoverato all'indomani dell'aggravamento delle sue condizioni di salute, compromesse a causa del tumore ai polmoni diagnosticatogli in primavera.
Ricorda Fausto Colombo, sociologo della comunicazione e della cultura alla Cattolica di Milano, nel suo bel libro Il paese leggero. Gli italiani e i media tra contestazione e riflusso (Laterza, 2012) che «(…) nel ricordo diffuso di molti spettatori televisivi degli eventi del 1982, l'eroe eponimo di quella vittoria, Paolo Rossi, poteva essere discusso per i suoi comportamenti e la squalifica che vi aveva fatto seguito, ma dopo il Mundial la sua immagine fu trasfigurata in quella dell'uomo sconfitto che comunque gioca la sua partita e trova il suo riscatto (…)».
Panorama.it ha raccolto ricordi ed emozioni di chi ha vissuto, da diverse angolature, alcuni momenti esaltanti della carriera di Pablito.

Antonello Cuccureddu: «Arrivò alla Juve cinque anni dopo di me: mi colpì la sua straordinaria educazione»

Sardo di Alghero, classe 1949, Antonello Cuccureddu ha trascorso 12 stagioni alla Juventus, campione d'Italia con la Vecchia Signora per sei volte, vincitore della Coppa Italia 1978-1979 e, soprattutto, della Coppa Uefa nel 1977, il primo trofeo internazionale
del club torinese.
Cuccureddu, partiamo dalle origini.
«Pablito nacque calcisticamente alla "Cattolica di Firenze", squadra giovanile dove iniziò a mostrare le sue doti tecniche, non sfuggite a un altrettanto giovane Luciano Moggi, che, impressionato positivamente, lo propose alla Juventus di Gianni Agnelli
e al suo Presidente Giampiero Boniperti, grazie alla stima tecnica di cui godeva a Torino per i trascorsi da consulente e collaboratore tecnico della triade Boniperti-Allodi-Picchi».
Un Rossi giovanissimo nella rocciosa Juve.
«Fu tesserato in bianconero nell'anno 1974/75, contribuì, ancora molto giovane, allo scudetto vinto con Mister Parola e con tutti i campioni che avrebbero, poi, originato un ciclo interminabile dal 1970 al 1986».
Giovane e timido, si narra.
«Quei sette anni di differenza di età che ci separavano si sentivano tutti solo dal punto di vista calcistico, grazie alla velocità nel dribbling che lo impose subito: dal punto di vista umano era un ragazzo a modo, educato, con il sorriso perennemente stampato in
volto. Ne ho uno splendido ricordo».
Lei era già una colonna portante della Juve e della Nazionale.
«Qualche scudetto sulla maglia me l'ero già cucito. Tra le tante foto che sto sfogliando in questi giorni, è sbucata fuori quella del nostro ritiro nella fredda Mar de Plata, in Argentina, nel corso del Mondiale del 1978 che avrebbe consacrato un affiatato gruppo juventino in quella spedizione azzurra».
Era il celebrato blocco-Juve…
«Esatto: oltre me, Zoff, Benetti, Scirea, Cabrini all'esordio, Gentile, Tardelli, Causio Bettega e Paolo, ovviamente. Notevole fu la presenza di calciatori del Torino, con Claudio e Patrizio Sala, Pecci, Graziani, Pulici e Zaccarelli. In quella competizione,
si concretizzò, soprattutto, la leadership di Enzo Bearzot».
Ma per un cartellino giallo lei saltò la partita d'esordio.
«Fui ammonito a Roma il 3 dicembre del 1977, durante Italia-Lussemburgo - ultima gara delle qualificazioni- vinta 3 a 0, ormai irrilevante, e così saltai l'esordio a Mar de Plata del 2 giugno del 1978, con la nostra vittoria 2 a 1 sulla Francia: i transalpini
erano passati in vantaggio con Lecombe al primo minuto. E fu proprio Paolino, al 29, a pareggiare. Renato Zaccarelli segnò il gol-vittoria».
Sembrò una cavalcata…
«Sconfiggemmo l'Ungheria, con Paolo, Romeo Benetti e Roberto Bettega; i padroni di casa dell'Argentina, nella leggendaria notte di Buenos Aires, ancora con Bettega, e l'Austria ancora con Paolo. Poi fummo sconfitti dall'Olanda e la finale per il primo e secondo posto sfumò solo per la differenza reti. La giocarono gli olandesi, sconfitti dall'Argentina».
E noi giocammo con il Brasile la finale di consolazione.
«Perdendola, pur essendo passati in vantaggio con Causio».
Intanto, in Italia…
«Paolo passò in prestito al Como, rientrando l'anno dopo alla Juventus che nel frattempo si era strutturata attorno a quel gruppo mondiale tutto italiano, fenomeno rimasto alla storia solo col grande Santos di Pelè».
Rossi fu offerto anche alla Roma.
«Esatto, dove direttore sportivo era Moggi suo primo estimatore, che per mancanza di liquidità dell'allora presidente Anzalone (novecento milioni, nda) non riuscì a concludere l'affare».
E approdò a Vicenza.
«Alla corte del presidente Farina: le doti tecniche di Paolino avevano bisogno di fisicità, di crescita e di continuità, ma non delusero le aspettative, e alla fine del campionato '77/'78, alle spalle della Juventus campione, Paolo Rossi si laureò capocannoniere con 24 reti». 
Parliamo di Cuccureddu…
«Un salto indietro di quasi dieci anni: approdai alla corte di Giampiero Boniperti nell'autunno del 1969, acquistato dal Brescia per 350 milioni di lire: Ercole Rabitti era l'allenatore, dopo l'esonero dell'argentino Luis Antonio Carniglia. Nel '70 arrivò lo sfortunato Armando Picchi: sarebbe morto l'anno dopo, ad appena 36 anni, per un tumore alla colonna vertebrale. A seguire Cestmir Vycpálek, Carlo Parola e Giovanni Trapattoni».
…che vanta due primati.
«Sono stato il primo sardo ad approdare alla Juve e alla Nazionale…».
Che tempi…
«Un sogno avverato: ero juventino sin dalla nascita, ed indossare a 20 anni la maglia numero 10 di quel club, non mi faceva dormire la notte».
Dimentica l'esordio.
«Come potrei. Era il 16 novembre del 1969, domenica del mio esordio con la maglia della Juventus. La mia "prima" in bianconero fu a Cagliari, nella mia Sardegna, e la battezzai con un gol ai futuri campioni d'Italia nel finale di partita, permettendo alla mia nuova squadra di acciuffare il pareggio. Serve altro?»
Uno scudetto porta la tua firma.
«Nel 1973, all'ultima giornata, contro la Roma all'Olimpico, un mio tiro, a due minuti dalla fine, da fuori area, ci laureò campioni. Il Milan perse a Verona…»
Poi, nell'estate 1981, l'approdo alla Fiorentina.
«Giocai l'ultimo campionato in bianconero nel 1980/81, quello dell'apertura delle frontiere, con l'arrivò di Liam Brady: l'anno dopo arrivai a Firenze e sfiorai un ennesimo scudetto dopo un lungo duello proprio contro la mia ex squadra».
Tutto all'ultima giornata.
«Era il 16 maggio del 1982: la Juve vinse a Catanzaro proprio con rete di Liam Brady che consegnò il ventesimo tricolore alla Juve, la sua seconda stella. Noi pareggiammo a Cagliari…».

Pasquale Gallo: «Arrossiva facilmente, umile come solo i veri grandi sanno essere» Pasquale Gallo , medico pneumologo salernitano, nel 1983 inizia la sua avventura con la Juventus, da presidente di club sino a osservatore tecnico e manager, nonché organizzatore del trofeo in ricordo del giovane calciatore Andrea Fortunato, sconfitto dalla leucemia nel 1995. Ha scritto due libri dedicati alla Juve, Io e la Juve. Storia di un grande amore (Tullio Pironti, 2016) e Questione di stile. L'anima juventina (Lastaria, 2019).

La rinascita di Paolo Rossi inizia il 2 maggio del 1982.
«Proprio allo Stadio Friuli, Paolo Rossi inizia a trasfigurarsi nel "Pablito" nazionale, il 2 maggio del 1982".
In tribuna, ad ammirarlo c'era anche Enzo Bearzot.
«Il commissario tecnico, sbalordito per tempismo, rapidità e astuzia, dichiarò come il giovane talento non avesse perso nessuna delle sue prerogative, soprattutto la velocità nello scatto».

Lei è una miniera di ricordi.
«La Juventus lo rivoleva indietro ma si doveva andare alle "buste" a causa della compartecipazione aperta fra le due società. Qui avvenne lo snodo di tutto il suo futuro in quanto Farina, cadendo probabilmente in voci infondate, mise nella busta un assegno spropositato di due miliardi e 600 milioni di lire. In pratica un valore di 5 miliardi e duecento milioni».
L'assegno della controparte risultò di 875 milioni per la metà.
«L'operazione la conosco bene perché fu proprio Sergio Secco a condurre quella vicenda materialmente e lui me ne ha descritto in seguito i particolari. Mentre l'Italia scendeva in campo per giocare la prima partita contro la Francia ai Mondiali in Argentina, Nando Martellini diede la notizia che Rossi restava al Vicenza. Lui e Bettega (con nove/undicesimi della Juventus) furono i mattatori di quei mondiali».
E Rossi arrivò al Perugia.
«Il presidente Farina non riuscì a onorare l'impegno economico e fu costretto a darlo in prestito al Perugia dove Paolo continuò la sua ascesa, drammaticamente interrotta dalla famigerata storia del calcio scommesse che come sempre in Italia si sgonfiò, per lui, nelle aule di tribunale».
Non per la Federazione Calcio.
«Che lo squalificò per due anni per aver "taciuto". No comment! Nel momento di buio infinito riapparve la Juventus, rimasta in credito da Farina, che riprese Rossi pur squalificato, allenandolo per più di un anno con qualche partita amichevole».
La Spagna del 1982 è nell'immaginario collettivo.
«Fu la sua apoteosi: capocannoniere ai mondiali, "hombre do partido", campione del mondo e "pallone d'oro" tutto in un colpo».
Ancora successi con la Juve.
«I tre anni successivi, tra scudetto, finale coppa dei campioni di Atene (tremenda nella delusione…) Coppa delle coppe a Basilea, Coppa Italia e Mundialito e Finale di Coppa Campioni all'Heysel nella serata più drammatica della storia del calcio. Si completò la sua parabola ascendente».
Problemi fisici all'orizzonte.
«Le sue ginocchia però, come Boniperti aveva sempre temuto, non rispondevano più alle sollecitazioni di quei livelli e Farina, diventato nel frattempo presidente del Milan, lo accolse in rossonero. Smise all'età di appena 31 primavere».
E il Paolo Rossi privato?
«Pur non avendolo conosciuto a fondo come mi capitò con Bettega, Furino, Cuccureddu, Cabrini e Scirea, ricordo lunghe chiacchierate a Villar Perosa, durante i ritiri, che mi consegnarono la dimensione e lo spessore umano di Paolo».

Appariva timido.
«Arrossiva facilmente, dando l'idea di essere umile come solo i veri grandi sanno essere: era molto gratificante godere della sua amicizia. Con i tifosi era sempre lo stesso, dalla "Cattolica Firenze" al tetto del mondo, non erano cambiate quelle qualità umane oggi molto rare».
Vi siete incontrati l'ultima volta nel 2017.
«Il 10 dicembre, per uno strano scherzo del destino. In occasione di un convegno di club ad Angri, in provincia di Salerno, insieme a Tacconi e Cabrini. Un continuo amarcord: Paolo sempre con quella stessa umiltà che spero rimanga d'esempio per tifosi, dirigenti e calciatori. Mancherà ai romantici del calcio…».            

Tonino Raffa: «Esordii proprio con Rossi il 16 maggio del 1982, nel giorno della seconda stella bianconera» ​

Tonino Raffa, giornalista di Reggio Calabria storica voce di Tutto il calcio minuto per minuto, è stato inviato alle Olimpiadi di Atlanta, Atene e Pechino, oltre che ai Mondiali di calcio, da Italia 1990 al Sudafrica 2020. Il 16 maggio del 1982, ultima giornata di campionato, la Juventus era in testa insieme con la Fiorentina e si giocava lo scudetto in Calabria, allo stadio Ceravolo contro il Catanzaro. In quella squadra, da due giornate era rientrato Paolo Rossi. L'unico mezzo d'informazione in diretta era la vecchia radio di Tutto il calcio minuto per minuto, con 20 milioni di ascoltatori: Cagliari-Fiorentina veniva narrata da Sandro Ciotti, Catanzaro-Juve da Enrico Ameri, accanto al quale debuttava, come «spalla», Tonino Raffa.
Vinse la Juve con un gol di Liam Brady nella ripresa ...
«Sì. L'irlandese era stato praticamente scaricato dalla società, che, tre giorni prima aveva annunciato l'ingaggio di Michel Platini. Toccava a lui cedergli la maglia. Ricordo l'azione decisiva: sgroppata di Marocchino sulla destra, traversone per Paolo Rossi che di testa mandò la palla contro il palo, tentativo di ribattuta in gol di Fanna e intervento con la mano di Celestini sulla linea di porta».
Rigore…
«Brady piazzò la palla sul dischetto e trasformò di precisione, regalando lo scudetto alla squadra che lo aveva messo alla porta. Una dimostrazione di stile per una storia d'altri tempi».
Cosa impressionò di più nella Juve di quel giorno?
«La freddezza di Dino Zoff, la tenacia di Giuseppe Furino, Marco Tardelli, Sergio Brio e Claudio Gentile, l'educazione di Gaetano Scirea, ma, soprattutto, l'umiltà di Pablito. La festa, con lo champagne, cominciò negli spogliatoi, quando da Cagliari Sandro Ciotti annunciò che la Fiorentina si era fermata sul pareggio».
Il resto del lavoro in sala stampa?
«Avrei potuto intervistare altri ma sentii dentro di me che era meglio scegliere Rossi per l'intervista finale. A microfono spento e con tono pacato mi disse di non essere sicuro che, in vista del mondiale imminente, Enzo Bearzot potesse inserirlo tra i convocati. Gli telefonava spesso per incoraggiarlo a non mollare, è vero, ma nulla era ancora deciso».
Intervista profetica.
«Bearzot puntò ancora su di lui, convinto che sarebbe tornato ai livelli del precedente mondiale in Argentina, sfidando le critiche dei giornali, della Tv e dell'opinione pubblica. Il resto è storia che sappiamo…».
Ricordiamola.
«Paolo, dopo un avvio incerto, trascinò gli azzurri nelle splendide vittorie contro il Brasile di Zico, Paulo Roberto Falcao e Socrates, la Polonia di Zbigniew Boniek, la Germania di Karl-Heinz Rumenigge. L'Italia vinse il mondiale e, a dicembre dello stesso anno, Rossi si aggiudicò il Pallone d'oro».
Entrando nel cuore di tutti...
«Verissimo. Una conferma? Eccola: dal 2014 al 2016, indicato dal collega della Gazzetta dello sport Alberto Cerruti, ho fatto parte in Messico, a Pachuca, della giuria del "Salon de la fama", un ente che ogni anno sceglie i migliori calciatori della storia per il loro ingresso nella "Galleria degli immortali».
C'è un aneddoto.
«Nel grande Museo interattivo, votai Paolo Rossi e sul suo nome confluirono senza esitazione anche i consensi dei delegati del Sudamerica e della vecchia Europa, cioè di quei Paesi che avevano incassato tante sconfitte firmate da lui. Mesi dopo Paolo venne invitato alla cerimonia di proclamazione. Fu un ennesimo bagno di folla con file di estimatori in attesa di un autografo o di una foto ricordo. Tutto questo in una zona del mondo lontanissima da noi». 

Panorama.it                                            Egidio Lorito, 12 Dicembre 2020