In Calabria c'è una strada, la Statale 106 fra Reggio Calabria e Taranto, che si è guadagnata il triste appellativo di «strada della morte»: 491 chilometri che si fanno largo tra paesi e contrade e tutti tragicamente disseminati di lapidi e altarini commemorativi. Al chilometro 401, nel territorio di Roseto Capo Spulico, nel cosentino, a una manciata di chilometri dal confine con la Basilicata, ne balza subito agli occhi uno, trasformato ormai in una sorta di santuario laico: qui, la sera del 18 novembre del 1989, trovò la morte una giovane promessa del Cosenza Calcio, non cosentino e neanche calabrese, per la verità.
Donato Bergamini, per tutti Denis, era nato 27 anni prima ad Argenta, a due passi da Ferrara. A Cosenza era arrivato nel 1985 conquistandosi subito i favori di una città intera che nei tre anni successivi lo avrebbe osannato come un idolo sino alla serie B, conquistata nel 1988, insieme all'amore della giovanissima Isabella Internò, classe 1969. Suicidio! Forse…
Quando il traffico, quella maledetta sera, si ingrossava a dismisura, e trapelavano le prime notizie, si parlava di suicidio: il cadavere del calciatore era stato rinvenuto sotto le ruote di un camion e l'autista non aveva esitato a raccontare la sua versione. Faccende sentimentali, o forse legate al calcio-scommesse, o ancora al traffico di droga che avrebbe coinvolto suoi compagni di squadra, si disse. Caso chiuso?
Macchè! Una prima svolta il 16 ottobre del 1990, quando i magistrati di Castrovillari disposero il rinvio a giudizio per omicidio colposo del camionista Raffaele Pisano: insomma, Denis aveva abbandonato il ritiro della squadra e aveva raggiunto in auto,
in compagnia della sua ormai ex fidanzata Isabella, la periferia di Roseto Capo Spulico ed era rimasto vittima di un incidente stradale.
Raffaele Pisano trasportava mandarini nella Sibaritide con il suo pesante automezzo: veniva da lontano, da Rosarno, nel reggino, e sin dall'inizio si attirò i sospetti per le palesi incongruenze nella ricostruzione dell'accaduto, anche legata alla vicenda del cronotachigrafo del mezzo. Ma alla fine, il 4 luglio 1991, uscì di scena con un'assoluzione «per non aver commesso il fatto» e a tale verdetto contribuirà praticamente la sola deposizione dell'unico teste oculare, Isabella Internò. L'ex fidanzata di Bergamini, presente sul posto, aveva sempre dichiarato di aver avuto la sensazione che il suo ex-compagno si fosse praticamente tuffato sotto le ruote del grosso automezzo che sopraggiungeva.
Caso chiuso nuovamente, allora? Macchè una seconda volta! Come nel miglior cold case, fin troppe apparirono le incongruenze e gli errori marchiani commessi all'epoca: la piazza della Cosenza calcistica, le insistenze della famiglia - la sorella Donata a battersi come una leonessa per anni, insieme al padre Domizio, scomparso il 30 gennaio del 2020 - e i tanti dubbi che iniziavano a far sentire il proprio peso, si materializzarono il 29 giugno 2011, quando la Procura di Castrovillari riaprì ufficialmente le indagini in virtù di nuove prove: o meglio, grazie alla rilettura critica di quelle già in possesso.
E qui inizia il secondo tempo della vita ultra terrena di Denis Bergamini: il 22 febbraio 2012 i carabinieri del Ris di Messina depositano in Procura una perizia secondo cui, quando fu investito, Bergamini fosse già morto. Avevano potuto constatare, attraverso prove in laboratorio, che se il giovane calciatore si fosse «gettato a pesce» sotto il camion, come riferì la fidanzata, le scarpe, la catenina e l'orologio avrebbero subito gravi danni, mentre erano stati ritrovati praticamente intatti sul corpo dello sfortunato calciatore.
L'accelerazione impressa alle indagini, nel 2012, portò all'iscrizione di due indagati nel registro della procura castrovillarese: non solo del camionista Pisano, ma ora anche della stessa ex fiamma del calciatore, quella Isabella Internò sempre più al centro dei sospetti dei nuovi investigatori che il 15 maggio 2013 le notificano un avviso di garanzia nientemeno che per l'ipotesi di omicidio.
Intanto, il 13 novembre del 2015, a Castrovillari, s'insediava il nuovo procuratore capo: si tratta di Eugenio Facciolla, cosentino, in servizio dal 1993, uno di quei magistrati che dove ha prestato il suo servizio ha lasciato traccia. Di risultati, ovviamente. E se in un primo momento, qualche settimana dopo il suo arrivo, il Gip aveva disposto l'archiviazione della seconda inchiesta, non passano neanche due mesi che, il 25 febbraio del 2016, Facciolla chiese al Gip la riapertura delle indagini.
Il neo procuratore aveva incontrato i familiari di Bergamini e si era detto disponibile a riaprire le indagini in presenza di nuovi elementi. Elementi che, puntualmente, gli arrivarono sia dalla valutazione degli atti consegnatigli dai legali della famiglia sia da un'indagine avviata dalla stessa Procura, evidentemente mai doma di fronte alle apparenze.
E così, disposta addirittura la riesumazione dei resti del calciatore per effettuare una nuova autopsia con i più moderni strumenti della medicina legale, l'11 luglio 2017, dai primi risultati dell'esame autoptico, venne fuori che il calciatore non si sarebbe suicidato gettandosi sotto un camion, come aveva sempre sostenuto la sua ex fidanzata: saltò evidente uno squarcio sul corpo del giovane calciatore, aperto sulla pancia e non sulla schiena, a dimostrazione che Bergamini si trovasse coricato supino e non prono al momento del sinistro.
Addirittura si apprese che Bergamini sarebbe stato stordito con del cloroformio, poi soffocato con un sacchetto di plastica e infine posto sotto la ruota del camion che lo aveva schiacciato, quando era già morto o in fin di vita, e solo dopo gettato sotto il camion inscenando il suicidio. Agghiacciante, dalla lettura dei nuovi esiti autoptici, il passaggio in cui si affermava che «il corpo è esploso come un frutto schiacciato da una mano (…). Solo che era già morto quando ciò è avvenuto. Altro che tuffo. (…) La ruota ha sormontato a bassa velocità un corpo disteso e inerme (…) lasciando arti superiori, inferiori e viso perfettamente integri e puliti».
Intanto dall'aprile del 2018 risultava indagato per favoreggiamento personale, anche il marito della Internò, Luciano Conte: in Polizia prima a Palermo, poi presso la Procura di Paola, venne trasferito presso la Polaria dell'Aeroporto di Lamezia Terme, e la coppia venne sottoposta al sequestro e all'analisi dei telefonini ed altri supporti digitali sequestrati. Seguì, ovviamente, una richiesta di una proroga delle indagini per poter valutare l'imponente mole di atti investigativi, con il procuratore Facciolla sempre più convinto di voler «approfondire, con le tecniche di cui oggi si dispone, tutti i possibili aspetti di quello che non è un suicidio, che non è ipotizzabile come un suicidio».
Intanto, dopo che Eugenio Facciolla, al centro di una delicatissima vicenda giudiziaria e disciplinare ancora «sub iudice», era stato trasferito a fine del novembre del 2019 presso il Tribunale di Potenza, le redini dell'inchiesta erano passate al magistrato Luca Primicerio che solo qualche giorno fa ha chiuso l'inchiesta avviata dall'ex procuratore di Castrovillari. Con la notifica dell'avviso della chiusura delle indagini preliminari, ora l'unica indagata per il presunto omicidio del calciatore ferrarese è proprio l'ex fidanzata Isabella Internò. Codice di rito alla mano, potrà contare, nei 20 giorni successivi, su un ampio ventaglio difensivo, come presentare memorie difensive, produrre documenti, depositare documentazione investigativa del proprio difensore, chiedere il compimento di atti di indagine, presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero - come spesso accade nella pratica - chiedere di essere sottoposta ad interrogatorio. E in quest'ultimo caso, la procura sarà tenuta ad ascoltarla.
Si chiude così, a cinque anni dall'apertura, l'inchiesta-ter sulla morte del calciatore del Cosenza, 31 anni e quattro mesi dopo quel drammatico evento che strappò un giovane e brillante calciatore alla vita, agli affetti dei suoi cari ed ai sogni di una tifoseria che lo ama come se lo vedesse correre ancora sul prato verde. Isabella Internò oggi ha 51 anni e, secondo l'accusa, assieme ad altre persone ancora ignote, avrebbe prima «narcotizzato», o comunque ridotto fortemente la capacità di reagire, per difendersi, di Denis Bergamini, provocandone in seguito il decesso per asfissia meccanica, tramite uno strumento leggero, un sacchetto di cellophane, si pensa: solo a quel punto, già cadavere o in punto di morte, Denis Bergamini, sarebbe stato adagiato sulla sede stradale di quella maledetta SS 106 per essere investito dai mezzi che la percorrevano quella sera del 18 novembre del 1989.
E così capitò: Bergamini, ormai morto o prossimo alla morte, venne effettivamente travolto da un tir che transitava lungo quell'arteria, alla cui guida si trovava Raffaele Pisano di Rosarno, ora prosciolto all'indomani della conclusione dell'inchiesta. Così come archiviata è stata anche la posizione del marito di Internò, Luciano Conte, inizialmente indagato per favoreggiamento. A Isabella Internò vengono contestate anche aggravanti come la premeditazione e motivi abietti e futili: il calciatore sarebbe
stato ucciso perchè le avrebbe comunicato di voler porre fine al loro rapporto sentimentale. C'era da proteggere quel maledetto onore…
«Abbiamo appreso della notizia della chiusura delle indagini» ha dichiarato in un video postato sulla pagina Facebook, l'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Bergamini, «da un comunicato stampa della Procura di Castrovillari. Non sappiamo che fine abbiano fatto gli altri indagati, sappiamo, comunque, che Isabella Internò rimane accusata di omicidio pluriaggravato e quindi, come tale, strettamente punibile con l'ergastolo, non soggetto a prescrizione».
Panorama.it Egidio Lorito, 05/03/2021