Il politologo, allievo di Giovanni Sartori, denuncia come i partiti si siano avvitati intorno alla nomina del Capo dello Stato, rinunciando ad affrontare i gravi problemi del Paese. 

Grazie ai suoi studi sulla crisi della nostra democrazia, il politologo osserva come l’intero dibattito politico si sia avvitato intorno all’elezione del capo dello Stato, «perdurando l’incapacità di riuscire ad approvare riforme istituzionali che consentirebbero una governabilità in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini». Evidenziando come «ingessare il conflitto partitico per quanto possibile ed affidarsi, questa volta, a un tecnico con capacità politiche per le sue precedenti esperienze di presidente della Bce, come Mario Draghi, sia servito soltanto a rispondere all’emergenza e all’acuirsi della crisi politica».

Leonardo Morlino è professore Emerito di Scienza politica e presidente dell’International research centre on democracies and democratizations alla Luiss di Roma: dopo gli studi in scienze politiche all’Università di Napoli è divenuto il principale allievo, a Firenze, di Giovanni Sartori, padre della politologia contemporanea italiana per insegnare, successivamente, all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, all’Istituto Juan March di Madrid, al Nuffield College di Oxford, alla Stanford University e al Centro de Estudios Politicos y Constitucionales di Madrid. Già condirettore della Rivista italiana di scienza politica, il suo ultimo saggio Uguaglianza, libertà, democrazia. L’Europa dopo la Grande recessione, (Il Mulino 2021), appare come una perfetta trasposizione dei temi dell’agenda politica di questi giorni, tra stringenti problematiche istituzionali interne e prospettive globali. Su queste tematiche Panorama.it lo ha incontrato per un approfondimento.     

Il dibattito sull’elezione del presidente della Repubblica sta accelerando. Anche grazie alle sirene su una soluzione semipresidenziale…
«Il semipresidenzialismo di fatto, grazie alla leadership forte di un Mario Draghi diventato Presidente è irrealistico, perché il primo ministro ha un collegamento con il Parlamento e una maggioranza, e nella situazione attuale sarebbe ben difficile controllare i gruppi parlamentari se si uscisse dall’emergenza. La forza di questo Governo sta nel fatto che siamo ancora dentro l’emergenza. Il semipresidenzialismo insomma non può esistere in Italia».

C’è chi è stato folgorato da questa forma di governo, ma in realtà la pratica è ben diversa…  
«Potrà apparire assurdo, ma quando ci sono le norme che lo sostengono (innanzitutto l’elezione diretta del Capo dello Stato), il semipresidenzialismo è in sè stesso un sistema instabile. O diventa un iperpresidenzialismo come quello francese o si trasforma in una Repubblica parlamentare con un primo ministro più o meno forte, come in Polonia, in Portogallo o in altri Paesi europei con assetti semipresidenziali: è il combinato di legge elettorale, poteri assegnati al presidente e, soprattutto, ruolo dei partiti, che determina la direzione di evoluzione».
Professore, uno sguardo sul nostro Paese.
« Abbiamo subìto gli effetti della Grande recessione tra il 2008 e il 2014, e da noi è durata più che altrove. Sembrava che dopo anni difficili di crisi economica, disoccupazione, specie giovanile, e aumento delle disuguaglianze economica e sociale, ci stessimo riprendendo ed è arrivata la pandemia con tutti i suoi effetti e una nuova e profonda crisi economica, oltre quella sanitaria».

Si ha l’impressione che i processi critici già in corso abbiano subìto un’accelerazione, insieme al bisogno di protezione e sicurezza del cittadino. 
«Più, in generale, la domanda di democrazia da parte dei cittadini si è evoluta sempre di più verso una richiesta di sicurezza non solo in termini di ordine civile ma anche di protezione economica e sociale. La situazione appare paradossale: senza contare precedenti tentativi, almeno dalla fine degli anni Ottanta in poi, ovvero ormai da più di tre decenni, nella democrazia italiana si stanno cercando soluzioni che assicurino la necessaria governabilità per soddisfare i bisogni dei cittadini».

Detto francamente, non sembra che i risultati siano stati eccellenti…
«Silvio Berlusconi con le sue innovazioni nella comunicazione politica, sostenuto dalle speranze e aspettative di molti cittadini, sembrava poter imprimere una svolta epocale. I tentativi di riforme istituzionali perseguiti sia da sinistra, specie con Massimo D’Alema, poi nel primo decennio di questo secolo ancora da Berlusconi e ancora nel secondo decennio da Matteo Renzi, sono stati altri tentativi di risposta, tutti alla fine fallimentari».

Magari le alchimie politiche fossero terminate!
«La trovata del Presidente Giorgio Napolitano con Mario Monti e il suo governo tecnico ha rappresentato un altro tentativo teso alla governabilità, ancora in una situazione di emergenza economica. Subito dopo, l’affermazione dei neopopulisti del M5s e della Lega -che da partito di centro attento al rapporto fra periferia e centro è diventato di destra- sono ancora un’ulteriore risposta all’insoddisfazione dei cittadini di fronte ai problemi di governabilità».

Ma così andiamo di fallimento in fallimento.
«Di fronte all’impossibilità di governare le crisi, è emersa quasi naturalmente ancora un’altra soluzione: ingessare il conflitto partitico per quanto possibile ed affidarsi, questa volta, a un tecnico come Mario Draghi, ben dotato di capacità politiche per le sue precedenti esperienze al vertice della Bce. Il paradosso sta nella continuità che si può rintracciare nel corso degli ultimi trenta anni tra soluzioni così diverse, ma che finora non hanno risolto il problema di fondo della democrazia italiana»

Ovvero?
«Il deficit di governabilità, ovviamente. Di qui, peraltro, la necessità riconosciuta a denti stretti -già negli anni Novanta ancora da Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi- di doversi confrontare con un vincolo esterno, l’Unione europea, che ci impone le decisioni che da soli non sappiamo prendere>».

Come se non bastasse all’instabilità politica se ne sono aggiunte altre…
«Mentre discutevamo, sino a due anni addietro, soprattutto di lotta all’immigrazione, la pandemia ha impresso una spinta forte verso la ricerca di una maggiore sicurezza sociale con attenzione al salario minimo e al miglioramento del welfare, comprese, a questo punto, le sue ulteriori specificità sull’importanza della salute».

La pandemia da Covid-19 non è ancora archiviata.
«Tutt’altro, e il suo impatto sulla democrazia liberale è già stato così significativo che s’impone una riflessione sullo stesso stato di salute dei nostri regimi politici. Il caso italiano può essere utile per una prima valutazione, anche perché al centro di una trasformazione profonda già avviata sulla scorta della Grande recessione del 2008».

Professore, alla fine ritorniamo al punto di partenza: molti problemi, poche soluzioni…
«Per una riflessione di questo genere, gli indizi più utili non si rinvengono tanto nell’intenso e insistito dibattito sull’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, ma partendo da altri eventi: con i partiti apparentemente in naftalina -per la pandemia e per la supplenza di fronte all’emergenza incarnata dal Governo Draghi -i sindacati sembrano porsi come attori politici che si sostituiscono ai partiti issando la bandiera dell’uguaglianza, la cui domanda è aumentata in Europa negli ultimi anni».

Come anticipato, si registra una forte richiesta di protezione sociale.
«Dopo la Grande recessione, è indubbio che tale domanda sia notevolmente cresciuta. Molti partiti della sinistra, impegnati in una convergenza al centro dello spettro politico dai tempi di Bill Clinton e Tony Blair, sono stati colti di sorpresa. Al punto che nelle sei più grandi democrazie europee (Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, Polonia), come ho evidenziato nella mia ricerca ora pubblicata in italiano su “Uguaglianza, libertà, democrazia”, la relazione tra il voto dei partiti di sinistra (moderati e radicali) e il trend della disuguaglianza economica (misurata con il coefficiente di Gini o anche in altri modi) mostra un’associazione assai debole, quando vi è».
Cambio di prospettiva, sembra di capire…
«L’offerta di protezione sociale negli scorsi anni è finita, dunque, al centro della proposta di altri attori politici. Da una parte, vi è stata l’evoluzione “sociale” di alcuni movimenti conservatori (come i Tory nel Regno Unito), di destra radicale (come il Front National in Francia), o di movimenti ex regionalisti che si sono spostati a destra, come la Lega in Italia. Dall’altra parte, sono stati soprattutto partiti e movimenti di protesta a rafforzare la propria offerta di protezione sociale, come visto con il Movimento 5 Stelle in Italia che, non a caso, ha fatto del reddito di cittadinanza il proprio totem, oppure con Podemos in Spagna».

Nel nostro Paese registriamo sempre più una vera democrazia insoddisfatta.
«La richiesta di maggiore protezione sociale non è ovviamente l’unica caratteristica dell’attuale democrazia italiana post Grande recessione. Prendiamo, per esempio, il trend dei dati di Eurobarometro (la serie di sondaggi di opinione pubblica condotti per conto della Commissione europea dal 1973, nda), nel periodo 1992-2019, rispetto alla domanda “quanto sei soddisfatto del modo in cui funziona la tua democrazia?”. In Italia la percentuale di cittadini soddisfatti è quasi sempre rimasta sotto il 50%, scendendo addirittura fino al 33% dopo la Grande recessione. Una tendenza di lungo termine che risale addirittura alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, diventata più marcata dopo il collasso dei partiti tradizionali nel 1992».

Lei parla, evidentemente, di “democrazia di protesta”.
«L’attuale esperienza del Governo Draghi non elimina comunque le caratteristiche di fondo della democrazia italiana post-Grande recessione fin qui descritte, tutt’al più ne anestetizza temporaneamente alcuni effetti più critici. Stupisce, di conseguenza, lo stupore di alcuni di fronte al recente tentativo di Cgil e Uil di rianimare la conflittualità politico-sociale in nome dell’uguaglianza, come accennavo prima».

 Quali scenari futuri ci attendono?

«Proprio nel mio ultimo saggio ho proposto un “triangolo della democrazia contemporanea”. Nell’angolo superiore del triangolo isoscele, ho collocato una situazione di equilibrio dei due beni essenziali di una democrazia ovvero libertà e uguaglianza. Di conseguenza, possiamo rappresentare graficamente questa convergenza forte tra i due aspetti come se tendessero a unificarsi nell’angolo superiore. Se il livello maggiore di insoddisfazione, ovvero la realizzazione concreta dei due valori, rende impossibile o non sostenibile una situazione convergente e bilanciata, vi sono oggi solo due strade, assai divergenti fra loro, per la ricerca di una conseguente migliore ricettività».

Due strade: percorriamole, allora  
«Innanzi tutto, una risposta che va dal basso in alto ed è caratterizzata dalla protesta, con la partecipazione che ha un ruolo centrale. In una tale risposta, il ruolo – anche manipolativo – degli attori intermedi, dei movimenti o partiti di protesta, può essere cruciale quanto il coinvolgimento delle persone».

E la seconda?
«Una risposta dall’alto in basso, che indebolisce profondamente il ruolo di controllo degli altri organi costituzionali e la possibilità di un’opposizione effettiva.
Così, agli angoli inferiori, ci sono i modelli e i relativi casi in cui l’uguaglianza è relativamente più saliente con due possibilità principali. Una, dove la partecipazione alla protesta è prevalente ed è caratterizzata da un populismo rivendicativo. Un’altra, caratterizzata da una responsabilità politica sempre più debole e una connessa più limitata libertà».

Immagine indubbiamente evocativa, a partire dall’alto… 
«Proprio nell’angolo superiore del triangolo, in aggiunta alle più puntuali realizzazioni dei principi di libertà e uguaglianza, si trovano Stato di diritto e attori interistituzionali più efficaci, come i media e le alte Corti, che sono i custodi delle norme che proteggono sia le libertà che le uguaglianze esistenti nelle nostre democrazie. Possiamo definire questo modello una “democrazia bilanciata”».

E verso il basso?
«Quando ci spostiamo all’angolo inferiore sinistro, abbiamo una “democrazia irresponsabile”. Quando ci spostiamo all’angolo inferiore destro, abbiamo una “democrazia di protesta”».

E la nostra Italia dove si colloca?
«È proprio quest’ultimo lo scenario più plausibile per il futuro dell’Italia, con la maggiore attenzione all’uguaglianza anche solo come protezione sociale e riduzione della povertà. Purtroppo il nostro Paese è una delle democrazie consolidate con il maggior numero di poveri».