Con la scomparsa dell’autorevole vaticanista, la Calabria perde uno dei suoi maggiori conoscitori
La recentissima notizia della scomparsa di Giancarlo Zizola, decano dei vaticanisti italiani, attualmente in forza a “La Repubblica”, non può che lasciare un velo di tristezza in quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato, soprattutto in Calabria.
“Non potrei indicare la data del giorno in cui vidi per la prima volta la neve. Ma il momento si. Ero bambino, all’asilo di Lavis, forse avevo quattro anni. Quel mattino le nubi erano alte nel cielo, vedevo solo nubi, le rocce della Paganella e gli alberi del giardino, poi le nuvole si abbassarono a toglierci ogni visione. Improvvisamente un’onda plumbea parve attraversare la valle come un segno di immensa potenza, ebbi paura, tutti eravamo impauriti, forse anche le suore che presero a correre in mezzo a noi bambini, gridandoci di stare fermi. Dopo alcuni minuti il vento si placò e nell’aria vedemmo dondolare foglioline bianche: la neve! Allora cominciammo a correre a braccia alzate con le mani protese verso l’alto, fu subito aria di festa e questo è il ricordo della mia prima neve”.
L’impatto paesaggistico è forte: la linea di costa dell’Alto Tirreno Cosentino, tra Praia a Mare e Cetraro, a fare da scenario alle riprese a mare;il corso del fiume Lao, nel Parco Nazionale del Pollino, a fissare una delle emergenze ambientali più affascinanti del grande Parco Nazionale. Sono state queste le due ambientazioni oggetto del nuovo viaggio che le telecamere di Linea Blu hanno intrapreso lungo la costa calabrese e nel suo immediato entroterra.
Cosa vuol dire essere coraggiosi? Basta leggere gli ultimi vent’anni di vita di due giovani calabresi di Serra San Bruno, uno degli angoli più suggestivi della Calabria, dove la Sila si distende lungo la più lineare una catena delle Serre, prima di esplodere in quel Massiccio dell’Aspromonte carico di tanta cronaca recente. E se coraggiosi vuol dire aver sfidato la più potente holding criminale del Pianeta, allora Pino e Marisa Masciari -coraggiosi- lo sono stati assolutamente.
Faccio parte, con molto orgoglio -qualche maligno direbbe “supponenza”, ma poco importa, perché la “ftònoia”, come la chiamerebbero gli antichi greci, è sempre in agguato- di un ristretto gruppo di calabresi -per me, più precisamente, di “calabro-lucani”- che da anni va alla scoperta del proprio territorio e poi, davanti ad una tastiera di computer, cerca di trasformare in parole le emozioni vissute.