Magdi Allam, Roberto Saviano, Luigi De Magistris, Clementina Forleo, Antonio Massari, sono stati protagonisti di questa mia rubrica. Ad ognuno di loro ho dedicato uno o più commenti. Li ho conosciuti, li ho presentati, ne ho studiato a fondo i libri e la personalità. Non ho avuto paura di schierarmi al loro fianco. Poi, un bel pomeriggio di un mese fa, nell’incantevole scenario di Orsomarso -ameno borgo “dolomitico” dell’alto-tirreno cosentino- partecipo alla presentazione di un libro che già faceva bella mostra di sé nella mia biblioteca, sezione Basilicata. Anzi, Lucania come preferisco chiamare la terra da cui proviene il 50% delle mie origini.
Come i lettori di questo quindicinale sanno bene da tre anni, in “Quanti Amori” -mai titolo fu più appropriato!- ragiono con molta franchezza sia di personali passioni, affetti, legami, momenti introspettivi su ciò ho di più caro (la famiglia, gli amici, la montagna, il mare, la Juve, i Pink Floyd…) sia di temi del panorama contemporaneo: il tutto in forma chiara e diretta, in modo da cercare di colpire l’attenzione pubblica di questa comunità cartacea sparsa tra Basilicata, salernitano ed alto tirreno cosentino.
Quando conobbi telefonicamente Stefano Moriggi, un paio danni orsono, a presentarmelo fu nientemeno che il suo Maestro, quel Giulio Giorello padre nobile della Filosofia della Scienza italiana contemporanea, in occasione di una delle mie conversazioni con alcuni dei più autorevoli intellettuali italiani. Da quella data sono nate due splendide amicizie: con Giorello, da me ospitato nell’ambito della Rassegna Culturale “Praia, a mare con…” nel 2007 e con il mio coetaneo Stefano, appunto.
A volte ritornano. Di Reggio Calabria ho un ricordo vivissimo: sebbene la mia residenza vi rimase collocata tra il 1969 ed il 1976, la Città dello Stretto -nella quale torno annualmente- entra nella cerchia dei ricordi più intimi e personali: lì ho imparato a nuotare, prima in piscina poi nel mare della Fata Morgana;lì ho avuto i primi reali contatti con “sorella neve”, quella dell’Aspromonte. Ho praticamente vissuto in quell’Aeroporto dello Stretto -il Tito Minniti- tra divise pavesate di aquile aeronautiche, telescriventi, cuffie e microfoni, aerei ed elicotteri.
“Mi fu sempre difficile spiegare che cos’è la mia regione”. Un incipit di Corrado Alvaro, datato 1925, è il filo rosso della sua ultima pubblicazione. Mauro Francesco Minervino è professore di Antropologia Culturale ed Etnologia: scrittore e notista, collabora alle pagine culturali de “Il Riformista”, “L’Unità”, “Il Manifesto”, “Il Mattino”, “Il Quotidiano della Calabria”, l’ “International Herald Tribune”. Si è sempre occupato di temi legati alla sua terra (che è anche la mia!) visti da una prospettiva giustamente antropologica, se è vero che il suo “In fondo a Sud” (Philobiblon Edizioni, 2006) si guadagnò la Prefazione di Marc Augè: in quel testo era scolpita, tutta intera, l’idea di una Calabria che egli avrebbe voluto diversa da come realmente e tragicamente è.
Il coraggio non gli manca per davvero. Di lui sapevo poco o nulla: barese, quarantenne, giornalista professionista, inviato per “La Stampa”, già collaboratore per il “Dario”, “Il Manifesto” e “Micromega”. L’aggancio si era materializzato giusto un anno fa, grazie ai buoni uffici con Laura Marras, eccellente e cordiale addetto stampa della “Aliberti Editore” di Reggio Emilia. E nel 2008, questo ennesimo coraggioso giovane italiano che ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare sul mio percorso pubblicistico dopo Roberto Saviano, Luigi De Magistris e Clementina Forleo, sforna due libri: tosti come i Sassi di Matera, cristallini come il mare di Calabria -sempre che uno strano inquinamento non provochi le ire del dio Poseidone- neri come le tante toghe che vi appaiono su diversi fronti, di carattere -come quello “non accomodante, non inciucista, non diplomatico” dei protagonisti delle sue riflessioni e -perché no- estremamente dettagliati.