Nell’estate del 1980, mio padre portò a casa una audio-cassetta registratagli da un suo collega di lavoro. Conteneva una lunghissima serie di canzoni, tutte legate una appresso all’altra, con strani effetti sonori: il pianto di un neonato, il volo a precipitare di un aereo, il rumore di un muro che veniva abbattuto. Ignoravo del tutto gli autori di quelle strane alchimie sonore, anche perché mi fermavo praticamente ad ascoltare soltanto quegli accattivanti effetti.

L’unico pezzo “cantato” che ascoltavo era eseguito da un coro di bambini che in inglese ripetevano un motivetto facilmente orecchiabile: tutto perché, in quel periodo, quel brano era onnipresente ed ascoltarlo direttamente nel mio impianto stereo era il massimo. Da quell’estate di ventisette anni orsono, i Pink Floyd rappresentano la colonna sonora della mia vita: ne sono diventato prima un fan maniacale, poi un attento conoscitore delle loro liriche che affascinano il Pianeta Terra dal 1965;ho passato anni a raccogliere tutto ciò che era possibile ritagliare e conservare, ho acquistato i loro dischi… Poi a Roma, il 12 luglio del 1988 -proprio all’indomani dell’esame di maturità- all’interno di quel catino traboccante di emozioni che era lo stadio Flaminio, li ho visti esibirsi per la prima volta dal vivo: sapevo del loro poderoso impatto scenico, degli effetti speciali, della quadrifonia, dei testi impegnati, oggetto di studi in letteratura. Ricordo ancora la pelle accapponarsi alle prime note di “Shine on you crazy diamond”, con David Gilmour capace di far “parlare” la sua magica Fender Stratocaster, Rick Wright di inondarci con il suo Hammond e la platea sommersa da un mare di fiammelle… Sarebbe troppo lungo parlare di tutto ciò: dei tanti altri concerti cui ho assistito -l’ultimo, il “solo” del genio creativo Roger Waters a Milano, lo scorso aprile- della forza interiore dei loro testi, dei loro concept-album, dell’impegno profuso a piene mani per nobili cause in giro per il mondo;delle loro inimitabili esibizioni a Pompei come a Venezia, a Versailles come nella berlinese Postdamer Platz all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Già, il muro: The Wall! Di quando, nell’aprile del 2005, ho potuto stringere le mani del percussionista Nick Mason, in Italia per presentare la monumentale biografia del gruppo. E quando la notte del 2 luglio di quell’anno, il gruppo che ha dato lustro alla musica del XX secolo si è esibito in occasione del Live 8, un altro mattone del muro è stato scoperto innanzi a due miliardi di spettatori, pronti a premere sugli Otto Grandi della Terra in soccorso dei Paesi del Terzo Mondo. Continuate a brillare folli diamanti…
Eco di Basilicata anno VI° n. 12 - 15 giugno 2007-
Egidio Lorito

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