Vallecchi, Firenze 2009, pp. 475, €19.00
Quattrocentocinquantacinque pagine fitte fitte; decine di documenti che coprono almeno l’ultimo trentennio di una storia che è parte della Storia d’Italia; una bibliografia composta da decine di testi, libri, inchieste, pubblicazioni di ogni sorta che vanno a sondare anche negli ambiti più reconditi della vita privata dei protagonisti della vicenda. Sono questi alcuni numeri che fanno del saggio di Gigi Moncalvo un vero e proprio libro-inchiesta, che risale fino alle origini della dinastia Agnelli per arrivare ad una data simbolo, il 28 maggio del 2007, quando Margherita Agnelli, figlia dell’Avvocato, deposita presso il Tribunale di Torino una corposa citazione a giudizio nei confronti degli avvocati Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens nonché contro il Signor Siegfried Maron che la figlia dell’indimenticato Gianni riteneva custodi e gestori dei beni del padre nonché responsabili di averle occultato parte del patrimonio dell’illustre padre.
Il terremoto che ne segue è inevitabile, con un’attenzione mediatica ben immaginabile viste le parti in causa: ma ciò che colpisce nella corposa ricostruzione è la capacità di riannodare le fila di una vicenda che solo per le parti, le famiglie, gli eventi, i nomi, sembrerebbe disorientare anche il più collaudato detective. Dagli albori, sino ai giorni nostri, la storia della “famiglia reale italiana” viene sondata da Gigi Moncalvo, giornalista e scrittore di razza che, dopo aver lavorato per un lungo periodo prima al “Corriere della Sera” e poi al “Giorno”, iniziò la sua carriera televisiva nel Gruppo Fininvest, realizzando reportage internazionali e conducendo le prime edizioni dei telegiornali; vincitore di premi giornalistici in Italia ed all’estero, ha condotto programmi di successo tra il grande pubblico come Vietato ucciderci, Silenzio stampa, Barba&capelli e diretto per un biennio il quotidiano “La Padania”; dal 2004 ha lavorato a Rai2 come capo struttura informazione, conducendo per quattro anni il programma politico settimanale “Confronti”. Autore di 12 libri, tra cui spiccano le biografie di Antonio Di Pietro e Silvio Berlusconi, è attualmente firma di “Libero”, occupandosi -parallelamente- di consulenze editoriali e produzione di format tv. Non solo materialmente, Moncalvo divide la sua corposa ricostruzione in 4 grandi parti (La famiglia, Fatti e protagonisti, La battaglia legale, Lupi&Agnelli) quasi a voler subito scandire tempi e modalità di un racconto che ora parte sereno e pacato, ora diventa intricato, ora si fa drammatico, per assumere i toni di un giallo familiare dove in ballo non sono soltanto i sentimenti, gli affetti, gli amori, le passioni visto che si parla -pur sempre- della più importante, potente e conosciuta famiglia italiana nel mondo.
Al centro della lunga ricostruzione -il lettore se ne accorgerà dalle prime righe- c’è proprio Margherita Agnelli, “(…) segno zodiacale Scorpione, è nata il 26 ottobre 1955, a Losanna(…). Margherita è nata un anno dopo il fratello Edoardo, venuto al mondo a New York il 9 giugno 1954. La loro casa era a Torino in Corso Matteotti 26, lei ha abitato il città fino a tredici anni, prima di partire per il collegio. La casa della sua infanzia a Torino è un palazzo in stile umbertino, nel quale erano cresciuti anche i ragazzi Agnelli della generazione precedente: Gianni e le sue sorelle, Giorgio e Umberto, cioè gli zii e le zie di Edoardo e Margherita (…). I due figli di Gianni Agnelli si volevano molto bene, passavano insieme molte ore al giorno, rarissimi i contatti fuori casa. Nessun può dire che non siano stati felici. Sono sempre stati molto vicini, solidali, legati l’uno all’altra, soprattutto lei a lui (…). Margherita è costretta a frequentare la scuola lontano da Torino. Era accaduto qualcosa di inatteso. Se ne accorge osservando suo padre. Il suo ritorno non porta più gioia e allegria. Appare sempre più preoccupato, si isola a lungo nel suo studio per parlare al telefono, riceve molta gente, anche uomini in divisa. E’ cominciata la stagione del terrorismo, la Fiat è il bersaglio principale, l’Avvocato il simbolo da abbattere(…)”.
Da ciò lo stesso allontanamento di Margherita che viene dirottata a vivere a Roma dove sbocciano due amori giovanili: il primo per Carlo Torlonia, finito tragicamente con la morte del giovane rampollo -“Ha preferito la droga a me”, dirà la stessa Margherita; il secondo per Alain Elkann ”un giovanotto che lavora all’Ifi a Torino: Margherita ha 19 anni e accetta la corte di quel ventiquattrenne francese elegante e ben educato, molto ossequioso, apparentemente timido (…). Quando si sposano, nel settembre 1975 a Villar Perosa, lei è incinta di tre mesi” (…) e “il 1° aprile del 1976 Ganni Agnelli diventa nonno: al New York University Hospital nasce il primo dei tre figli di Margherita e Alain. Ha quattro nomi: John (in onore del nonno), Philip (come il bisnonno materno Filippo), Jacob (in ossequio alla religione ebraica del nonno paterno) e infine Maria (…). Diciotto mesi dopo John, nasce Lapo Edoardo: è il 7 ottobre del 1977 (…). Poco tempo dopo Margherita è di nuovo incinta, questa volta di una bambina, Ginevra, che nasce a Londra il 24 settembre del 1979 ” (…). L’unione di Alain e Margherita finisce nel 1980, dopo cinque anni, e dopo pochi mesi dalla nascita di Ginevra (…). Dopo la separazione da Alain, Margherita resta a vivere a Londra con suoi tre piccini (…). In Inghilterra molti asili vengono aperti in una parte della propria casa. La direttrice e proprietaria della Petite Ecole, Anne Henderson-Stewart, diventa in breve tempo amica di Margherita (…) e un giorno Anne annuncia: " Mio fratello verrà a Londra a trovarmi e resterà qui per un pò ". Il fratello di Anne è Serge de Pahlen. Quel giorno di febbraio del 1982, la prima volta in cui incontra Serge, Margherita non sa qual è il destino che li aspetta (…). Nel 1985, tre anni dopo il primo incontro, Margherita e Serge si sposano, lei ha 30 anni, lui 41. Il matrimonio si celebra nella chiesa di San Serge a Parigi, con rito greco-ortodosso”.
E proprio da questi accadimenti sino a quelli finali, il ricco libro di Moncalvo -la corposa ricerca, sarebbe più corretto affermare- evidentemente pone al centro della narrazione proprio la secondogenita dell’Avvocato, le cui vicende personali non potranno non intersecarsi, con una successione spesso imprevedibile- con i tanti momenti felici ed al tempo stesso con i tanti drammi che sembrano non voler abbandonare casa Agnelli che -nella miglior tradizione delle grandi famiglie che hanno retto e dettato i ritmi di politica, economia ed industria- mai sono andate esente da momenti di buio nero, come la notte. Come accadde drammaticamente una notte -“La notte di Lapo”- “tra il 9 ed il 10 ottobre 2005: il dramma si svolge a Torino a casa di un travestito, nome d’arte “Patrizia”, all’anagrafe Donato Broco, detto “il carabiniere”, trucco peasante, 53 anni portati non troppo bene. "Presto, presto, a casa mia c’è una persona importante che sta male" dice Patrizia al telefono chiamando un’ambulanza. I paramedici arrivano e fanno subito alcune iniezioni di Narcan a Lapo, che è in preda a un’overdose causata da un cocktail di cocaina ed eroina (…). Lapo resta in coma per alcuni giorni. Ci sono momenti di paura (…)”. Si potrebbe discutere per ore su questa drammatica vicenda, mediaticamente amplificata per il semplice fatto di aver avuto come sfortunato protagonista nientemeno che un nipote dell’Avvocato, venuto a mancare, intanto, nel gennaio del 2003: ma su un aspetto -credo- non si potrà non essere d’accordo: quel giovane ventottenne che da piccolo si autodescriveva “cicciotello, biondo, quasi bianco, con le guance rosa, gli occhi azzurri, e la pancetta” era -ed è- pur sempre un ragazzo, un uomo, un essere umano al quale non si potevano addossare, con la sola semplicità derivante dall’interesse di “vendere copie”, tutta quelle serie di colpe che molta stampa gli riversò subito a valanga: è troppo facile impallinare chi vive un profondo disagio… Sull’altro versante si colloca John, per tutti Jaki: “è l’opposto di Lapo e non ha nessuna somiglianza col nonno. Pesa ogni parola e ostenta il massimo autocontrollo (…) A soli 33 anni detiene un potere immenso raggiunto nel breve spazio di otto. Un caso unico al mondo (…). Una valutazione approssimativa parla di un patrimonio superiore ai 3 miliardi di euro(…)”. Denaro e denari a parte, non si può sottacere il fatto che il giovane primogenito di Margherita ed Alain, che il nonno Gianni volle consigliere della Fiat ad appena 21 anni, si trova sulle spalle pur sempre una responsabilità facilmente immaginabile, con una vita che lo terrà -lo continuerà a tenere- costantemente sotto le luci di riflettori, non foss’altro per il costante paragone cui verà sottoposto. Mica bruscolini, insomma!
Il 13 dicembre 1997 è una data che casa Agnelli difficilmente dimenticherà: quel giorno Giovanni Alberto, figlio di Umberto, per tutti “Giovannino”, viene sconfitto da un cancro allo stomaco (…) Tre giorni prima era in tribuna a Torino allo Stadio della Alpi e in una fredda serata la Juve gli aveva regalato negli ultimi minuti la qualificazione al turno successivo della Champions League (…)”. Quel bel giovane, alto, slanciato, che agli occhi dell’opinione pubblica incarnava l’ideale del bravo ragazzo della porta affianco, l’erede su cui l’Avvocato puntava dritto, lasciava la vita senza neanche aver provato a sedere ai comandi del grande impero. E tra quelle pagine dedicategli, Moncalvo fa risaltare anche gli inizi di un altro dramma, che si sarebbe consumato tre anni dopo, ma che -secondo la sua ricostruzione- sarebbe nato prima, proprio all’epoca della designazione di Giovannino e poi -scomparso quest’ultimo- “di fronte alla seconda designazione da parte di suo padre e questa volta a favore di Jaki”. E si, perché quando il 15 novembre 2000 il corpo senza vita di Edoardo Agnelli, il primogenito dell’Avvocato, viene trovato ai piedi del viadotto di Fossano, si fa subito a parlare di suicidio: quel drammatico episodio rimane -per molti versi- avvolto in una nube di misteri. “Forse è nata, si è sviluppata, è maturata dopo quello scontro finale” -col padre Gianni- “in quei giorni dell’autunno 1997, la consapevolezza di Edoardo che non ci fosse più posto per lui, non nella Fiat ma su questa terra. Forse è da lì che ha cominciato a insinuarsi nella sua mente, nel suo cuore spezzato la consapevolezza che c’era un solo modo per porre fine a quella sua sofferenza che durava da anni: la morte”.
In questa prima parte del testo -dedicata alla famiglia- Moncalvo ha ricostruito gli aspetti più tipicamente intimi e personali della lunga saga familiare: sono quelli più delicati, dolci, umani, quelli nei quali -forse- qualunque famiglia “normale” potrebbe rivedersi, associarsi, identificarsi. Le altre tre corpose parti -“Fatti e protagonisti”, “La battaglia legale” e “Lupi e agnelli”- raccontano gli episodi più spiccatamente economici, quelli nei quali vengono fuori tutta una serie di sospetti, di presunti accordi, di presunte trame che la figlia Margherita sente come strane e difficilmente sottovalutabili. Ed infatti, quando Gianni Agnelli muore, alle 8.30 del 24 gennaio 2003 -da quella data- inizia ad insinuarsi nella mente di Margherita l’idea che qualcosa non quadri, che qualcuno si fosse messo di traverso, avesse deciso anche per lei, avesse nascosto verità oltre che beni e parti del patrimonio. E’ l’inizio dei sospetti e veleni, di lettere -Gabetti e Grande Stevens, da un lato, Margherita Agnelli de Palhen, dall’altro- che si ricorrono all’impazzata; è una storia che partita dalla carta intestata dei rispettivi studi legali, ben presto arriva a quella “bollata” da presentare in Tribunali e Procure. “Gialuigi Gabetti ha 85 anni. Franzo Grande Stevens 81. Sono loro, ma soprattutto il primo, i personaggi chiave di questa vicenda. Non a caso è soprattutto contro di loro che Margherita ha indirizzato la causa al Tribunale di Torino (…) Colui che, per tutti, è da sempre il “dottor Gabetti”, è nato nel 1924. Laureato in Legge, cosmopolita raffinato quanto l’Avvocato, ex presidente dell’Accomandita Giovanni Agnelli & C. Sapaz e dell’Exour, fino a poco tempo fa dell’Ifi e dell’Ifil prima di passare, almeno formalmente, il comando a Jaki -tenendo per sé il ruolo di consigliere- Gabetti fa parte anche dei consigli di amministrazione della Fondazione Agnelli e di Mediobanca. "Il guardiano del tempio" è la perfetta definizione che de Gaquest dà dell’ "uomo più influente della galassia Agnelli, discreto quanto misurato, torinese di vecchio stampo, l’aria leggermente altera e compassata di un ufficiale di cavalleria in pensione che ha in mano le chiavi principali dell’impero" (…). Diretto, esplicito, asciutto, Grande Stevens impersona perfettamente la figura dell’avvocato privatista moderno, cioè colui che è soprattutto un tecnico a servizio della grande impresa (…). Franzo Grande Stevens viene giustamente considerato un pioniere del Diritto Privato e Commerciale. Proprio per questo il suo nome è ai primi posti di quell’invidiabile e prezioso elenco degli “arbitri”, gli specialisti nel dirimere i conflitti fuori dai Tribunali. Se il gioco si fa duro ci vuole un arbitro. Specie se a fronteggiarsi sono grandi gruppi societari e in palio ci sono cifre impressionanti. Negli ultimi anni in Italia si è sempre più diffuso l’istituto dell’arbitrato (…)”.
A questo punto, con uno schieramento di avvocati, principi del foro, specialisti in diritto e finanza, la storia della dinastia Agnelli non si ferma neanche innanzi agli affetti familiari, ai ricordi di una vita, neanche innanzi al sangue del proprio sangue, alimentando una ridda di interrogativi dalle varie parti coinvolte come dalla stampa nazionale ed internazionale e -chiaramente- dall’opinione pubblica che, spesso in maniera malsana, si è gettata su “casa Agnelli” in maniera poco ortodossa -per non dire selvaggia- come il drammatico caso-Lapo ci ha insegnato. Non sembra proprio che gli attori della vicenda siano i discendenti di quella che, da sempre, è definita come la “famiglia reale italiana”: c’è da riflettere non poco e le pagine di Moncalvo restituiscono i lunghi e complessi episodi con un linguaggio piano ed una precisa successione cronologica che, alla fine, non stancano mai il lettore, ma lo accompagnano quasi per mano lungo una storia che se da un lato ha avuto -e li ha tutt’ora- i tratti di un affaire familiare di grande spessore, è pur sempre il racconto di un episodio che abbraccia la storia contemporanea del nostro Paese: certo, inutile negare che solo per il fatto di connotarsi -questa vicenda- per la presenza di per un cognome “di peso”, tutto il racconto non può non farsi articolato, misterioso, drammatico, altalenante, al limite della realtà. Tra affari ed affetti.
“Lupi&Agnelli. Una figlia cancellata. Una madre contro la figlia. Una figlia contro la madre. Figli contro la madre. Fratelli coltelli. Uno scandalo sotto gli occhi di tutti. Sono venuti meno anche il rispetto, la considerazione, il timore degli altri. E non è un caso che la parole finale, Moncalvo la riservi a Margherita Agnelli de Pahlen -Margherita, appunto- chiamata, forse nel momento più difficile della sua vita, a doversi difendere, quasi costretta a scendere in guerra non contro estranei e terzi, ma contro sua madre Marella, i suoi figli, la sua famiglia. La sua stessa vita, insomma: "sono riusciti nell’intento. Mi hanno cancellata. Non mi vedono più. Hanno cercato in tutti i modi di far sì che nessuno mi vedesse, mi veda più. Ma forse sbaglio. Infatti sarebbe più esatto dire: credono di essere riusciti nel loro intento. Ma non ci sono ancora riusciti del tutto (…). Dopo essere stati per anni dall’altra parte della scrivania, ritti in piedi, in attesa dei suoi ordini e pronti ad eseguirli, ora sono riusciti a concretizzare il loro desiderio: passare dall’altra parte del tavolo, sedersi sulla sua poltrona, essere loro a dare gli ordini. Come se fossero loro Gianni Agnelli (…). La mia azione legale è rivolta contro Gabetti, Grande Stevens e Maron. I miei figli non c’entrano (…) Io ho chiesto solo chiarezza"”.
Chiarezza che il bel libro di Moncalvo cerca -ora- di riportare su una vicenda che -Tribunali a parte- anche il tempo contribuirà a decidere, tra affetti ed affari.