C’è stato un editore milanese che ha amato la Calabria come pochi. E’ scomparso nell’ottobre 1999: era stato critico d’arte, giornalista, scrittore, figlio di quel Giovanni Scheiwiller originario della Svizzera tedesca che fu per decenni il direttore della libreria Hoepli e fondatore, nel 1925, dell’omonima casa editrice ben presto impostasi come una delle più autorevoli nel panorama nazionale per l’elevata qualità delle sue pubblicazioni d’arte e letteratura; lo stesso nonno paterno, Giovanni Scheiwiller, era stato, a sua volta, uno dei primi collaboratori del grande Ulrico Hoepli, editore e mecenate d’altri tempi. Vanni aveva fondato, nel 1977, la “Libri Scheiwiller”, una sigla editoriale nata grazie ad un felice sodalizio con quel mecenatismo bancario teso alla valorizzazione dell’intero paesaggio italiano. Cosa aveva legato, dunque, Vanni Scheiwiller (1934-1999), il “poeta-editore” milanese, alla nostra Calabria? Proprio la numerosa attività pubblicistica che, per conto della Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania, permise di fare luce, con il supporto di poeti e letterati, accompagnati da affascinanti fotografie, sull’immenso patrimonio paesaggistico-culturale della penisola calabrese.
Sono di parte, inutile nasconderlo, non foss’altro per condividerne l’età: evidentemente quel settembre del 1969 ha lanciato buoni frutti sul terreno, in questo caso fatto di rilievi, cime, vette, vallate. Devo molto alla casa editrice “Il Coscile”, in termini umani, culturali e professionali: oggi, festeggiandone il 50° anniversario della nascita, non posso non ripercorrere con la memoria, viva ed attenta, i miei quasi ventidue anni di vita passati a stretto contatto con il suo ideatore e fondatore, uno di quegli intellettuali calabresi contemporanei che tengono alta la bandiera dell’impegno culturale e sociale in una terra, diciamolo francamente, difficile se non ostica, ruvida se non crespa, spesso difficile da vivere, se non impossibile in alcune sue sfaccettature. Un’avventura editoriale che spegne cinquanta candeline non è roba di poco conto in Calabria, e non solo dal punto di vista commerciale: potrei dilungarmi sui tremila anni di storia di questa terra, lodare le sue bellezze naturali, soffermarmi sull’immenso capitale umano che l’ha attraversata, ma poi finirei, inesorabilmente, per imbattermi con un presente - che tra l’altro dura da non so più quanto tempo…- spesso imbarazzante se non addirittura difficile da vivere in alcune sue caratteristiche.
Qualche anno orsono, nell’ottica di una valorizzazione delle culture regionali per come teorizzato da un grande studioso di localismi quale fu il critico letterario, filologo, storico della letteratura e accademico Carlo Dionisotti (1908-1998), videro la stampa venticinque volumi con le più significative pagine della narrativa calabrese: venticinque grandi autori del tessuto vivo della nostra cultura regionale, venivano ripresentati al grande pubblico per riorganizzare le fila di un discorso mai sopito sulla genesi e l’importanza della tradizione locale nella culturale nazionale. A dirigere la collana venne chiamato Aldo Maria Morace, calabrese “doc”, Ordinario di Letteratura italiana presso il Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Università di Sassari, nonché presidente della “Fondazione Corrado Alvaro”: l’obiettivo era quello di cogliere il senso profondo di pagine dedicate alla Calabria, rese finalmente in forma agevole, distribuite capillarmente per raggiungere il maggior numero di lettori. Ne venne fuori la “Biblioteca delle Regioni”, uno spaccato della letteratura regionale italiana, impreziosita da analisi teoriche e studi pratici che andavano ad attualizzare il grande lascito culturale su cui il regionalismo contemporaneo poteva contare: “è trascorso poco più di mezzo secolo da quando il grande studioso della letteratura Carlo Dionisotti ha teorizzato l’importanza delle culture regionali nella ridefinizione di un quadro policentrico della letteratura italiana: sino ad oggi è mancato un progetto editoriale in grado di disegnare, tramite l’offerta ai lettori di un vasto numero di pubblicazioni relative a specifici ambiti locali, la fitta trama di relazioni che intercorrono tra le culture delle varie regioni italiane e la cultura nazionale”.
Calabria nord-occidentale: la lunga linea sabbiosa di Praia a Mare ci apre le porte del borgo di San Nicola Arcella: “il primo nucleo di questo centro urbano risale al XV°-XVI° secolo e fu costituito da gente di Scalea che per sottrarsi alle incursioni e alle razzie dei Mussulmani si rifugiò su questo altopiano, inaccessibile dal mare e lontano dai centri abitati che erano obiettivo principale dei pirati; quando poi nel XVIII° secolo il Principe Scordia Pietro Lanza Branciforte, avendo sposato Eleonora -ultima erede degli Spinelli di Scalea- divenne il principe di tutto il feudo e alla contrada Dino fece costruire come residenza estiva il grande Palazzo, i suoi coloni -insieme con gli antichi abitanti che erano soprattutto dediti alla pesca- costruirono il primo regolare nucleo urbano, cioè il primo Casale che prese il nome di Casaletto: erano le case della corte e il nome è ancora attribuito alla parte bassa dell’attuale paese”. Così Giuseppe Guida, nel suo “Praia a Mare e territorio limitrofo” edito nel 1970, dava conto delle origini del centro alto-tirrenico, un’enorme bastionata a picco sul mare: ad un’altitudine media di circa 110 metri s.l.m., i 1500 abitanti di San Nicola Arcella vivono in uno dei luoghi più rinomati e fotografati dell’intero paesaggio calabrese, come attestano le prime pagine di alcune delle più autorevoli riviste italiane specializzate, “Bell’Italia” e “Meridiani”, che da sempre dedicano al borgo alto tirrenico copertine ricche di impatto paesaggistico, con la celebre Torre Crawford a far bella mostra di sé.