Montagna - Rivista di cultura alpina

Il 21 agosto del 2018 è stato un giorno tristissimo per la montagna calabrese. 10 morti, 11 feriti e 23 persone salvate miracolosamente rappresentano un bilancio troppo alto da registrare dopo una giornata passata a scoprire uno degli angoli più incontaminati dell’intero ecosistema italiano, forse il più suggestivo, affascinante e pericoloso dell’intera montagna calabrese. Non so quanti lo conoscessero prima di quell’immane tragedia il Torrente Raganello, il suo canyon e, in fondo, l’intero massiccio del Pollino, l’area protetta più estesa d’Italia, con le sue cime ben al di sopra i duemila metri -che da queste parti è roba da Everest…- con le sue faggete a perdita d’occhio, con quegli strani alberi -i pini loricati- vero reperto archeologico, divenuti, nel tempo, un mistero arboreo ed il simbolo di un Parco nazionale tra i più belli e singolari del nostro Paese. Inutile nasconderlo, anche nelle tragedie, come nei pochi flebilissimi record di questa terra, la Calabria pare destinata a rimanere ancora sconosciuta ai più, come lo è il suo territorio: le sue coste, lunghe ottocento chilometri, le sue montagne con ben sei sistemi montuosi, l’uno assolutamente differente dall’altro, i suoi fiumi, i suoi laghi, le sue foreste…

Anno IX - n°33-34

Dedico queste riflessioni
alla cara memoria di Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013),
scrittore, giornalista, “papà” del Trofeo Topolino, “cuore trentino”,  
la cui “Buona Neve” continua a posarsi sulle mie montagne…   

Calabria, altopiano silano, un inverno come tanti… Nel silenzio dell’aria mattutina, le propaggini del complesso montuoso sono avvolte da una fitta coltre di nebbia che contribuisce ad ovattare il paesaggio: la visibilità è di quelle che non ti permettono di vedere che per pochi metri, tanto che sembra di galleggiare in un’altra dimensione. Le prime automobili che da Cosenza salgono lungo la Statale 107, procedono a passo d’uomo: tutte rigorosamente in fila, fari anti-nebbia inseriti, prudenza al massimo, senza fretta. Da Rovito a Celico, sino a Spezzano della Sila -i caratteristici borghi che dalla valle ci accompagnano nella salita-  sembra di essere in volo, attraversando un muro di nubi. Il bianco domina da ogni lato dei finestrini, con questa coltre nebbiosa fittissima che sale dalla grande valle del fiume Crati, sfruttando il moto ascendente impostole dalla temperatura più elevata presente in basso: e sale, quell’enorme massa bianca, a coprire tutto il versante occidentale, i contrafforti più esterni che sembrano proteggere gelosamente il cuore dell’altopiano, opponendosi a quel singolare muro composto da milioni di particelle d’acqua: singolare e divertente, ma da affrontare con le dovute cautele.

Anno IX - n°28-29

“Nei boschi del Vulture, dove salgo a piedi per visitare l’Abbazia di San Michele, cammino in un bosco fitto, in un primo annuncio d’autunno che tinge di tenue ruggine le foglie degli alberi che dal lago salgono verso la cima del monte. Una foresta di castagni e di querce, quale la videro i romani, quando tagliarono le ultime duecento miglia della via Appia; quale la attraversarono (o alla quale, comunque, si ispirarono) Orazio, Virgilio, Ovidio. Continuo a chiamare, fra me, questo paese Lucania, malgrado il suo nome ufficiale sia Basilicata: come dimenticare il riferimento a lucus, bosco; e l’immediata eco, nel nome, del verde e fresco delle sue  querce e dei suoi castagni? (...)”1.

Anno IX - n°28-29

Dedico queste riflessioni
alla cara memoria di Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013),
scrittore, giornalista, “papà” del Trofeo Topolino, “cuore trentino”,  
la cui “Buona Neve” continua a posarsi sulle mie montagne…   

Ne sono intimamente convinto: tutti coloro che amano la montagna o il mare nutrono il sogno nascosto di imbattersi, prima o poi, nei magici abitatori che popolerebbero i luoghi più reconditi di boschi e foreste o quelli più profondi degli abissi marini. E’ una certezza che si è rafforzata in me leggendo le storie, i racconti o le semplici impressioni di chi, di “montagna” o di “mare”, ha scritto per passione o per professione, andando alla continua ricerca del sentiero più sconosciuto come della rotta più esaltante, per conoscere un altro tipo di via: quella interiore, spirituale, intima, privata, che possiamo conoscere appieno grazie a “quel viaggio di scoperta eternamente in fieri, quella lunga avventura per valli, crinali, gole, foreste, pareti di roccia, grotte, (che) non hanno soltanto una dimensione geografica, ma anche un orizzonte  interiore” (1 .

“<<Calabri rapuere>>.La frase, che compare nell’epitaffio di Virgilio, si attaglia benissimo al rapimento che, fin da primo incontro, la Calabria ha esercitato su di me. Fate come i viaggiatori stranieri ed in naturalisti del passato, venite qui, adoratori dei monti e della abetaie alpine, voi che giudicate questo Sud troppo arido, brullo e riarso; immergetevi in questi boschi maestosi, apprezzate la divina misura di pini, abeti bianchi e faggi. Resterete annichiliti di fronte alle piramidi arboree dei Giganti della Sila, monumenti impareggiabili, frutto di centinaia di inverni nevosi, di primavere profumate, di autunni fiammeggianti, di estati ventose…”. (1

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