Rcs Libri,Milano 2010, pagg. 132, € 14,00
“Cara mamma, ci siamo amati per cinquant’anni con una grandissima passione. E’ stata dura, molto sofferta, ma tra noi c’era qualcosa di speciale. Cercherò di non deludere le tue aspettative, che non erano poche, lo so. Non sarà facile”. Alain Elkann ci ha abituato ad una penna sciolta e dolce, rapida ed affascinante; le sue interviste, le sue conversazioni hanno il sapore di uno stile inconfondibile fatto di pacatezza nei modi, di eleganza linguistica, di tranquillità accomodante. In questo la sua facilità di rendere visibili -nero su bianco- anche le emozioni più profonde, i segreti più nascosti dei sentimenti umani con i quali si è spesso confrontato nella sua attività di scrittore e di giornalista.
Come dire: una conversazione con lo scrittore nato a New York -collaboratore de “La Stampa”, “Shalom”, “Eco mese”, Nuovi argomenti”, “Panta”, autore di numerose e premiate pubblicazioni, tra cui spiccano le conversazioni con il Cardinale Carlo Maria Martini, al tempo Arcivescovo di Milano, o con l’allora Rabbino Capo Emerito di Roma Elio Toaff- ha il merito di trasformarsi sempre in una tranquilla chiacchierata, grazie -soprattutto- alla sua innata disponibilità, alla sua tranquilla predisposizione al dialogo, capace di mettere a proprio agio l’interlocutore. Ora Elkann compie un passo ulteriore, ancora più forte, diretto questa volta non verso un’ideale interlocutore ma proprio verso sé stesso, versa una parte insostituibile della propria vita, della propria esistenza: con una commovente e coraggiosa scrittura che svela quanto di più personale uno scrittore -una persona…- possa fare, ci restituisce un diario personale, anzi personalissimo, visto che protagonisti sono lo stesso giornalista e scrittore di origini ebraiche e nazionalità franco-americane e sua madre Carla Ovazza. E qui, Elkann, mantenendo la penna dritta nel raccontare l’esperienza dolorosa della morte della madre, riesce nell’intento di coinvolgere il lettore in un viaggio così personale, così privato, così familiare quasi da sorprenderlo, anzi catturarlo senza lasciargli possibilità di fuga, tanto intimo e raccolto è il diario appena dato alle stampe. Questo superbo racconto quotidiano nel quale è concentrato un intero ciclo di vita e morte, lascia senza fiato, sospeso tra il 13 aprile 2000 -“Sto andando a Torino. Da dieci giorni mia madre è ricoverata all’Ospedale S. Giovanni, alle Molinette, da tre giorni è nel reparto di rianimazione. E’ sospesa tra la vita e la morte, con la mente lontana da noi”- ed il 26 giugno 2000 -“(…) C’erano molte persone di ogni genere: parenti amici, conoscenti, guardie, ex governanti, persone che hanno lavorato con mia madre e per mia madre (…) Tutti erano commossi e sereni nel parlare di quella donna piccola e tanto amata (…)”.
Una donna amata, Carla Ovazza, classe 1922, discendente da una famiglia di banchieri di Torino, per cinque anni consuocera di Gianni Agnelli -Elkann è stato, infatti, il primo marito di Margherita Agnelli, dalla cui unione sono nati John, Lapo e Ginevra, cui il libro è dedicato- e per trentacinque interminabili giorni -nell’autunno del 1976, a 53 anni- vittima di un drammatico sequestro di persona organizzato da una banda torinese in stretto contatto con la cosca della ‘ndrangheta Racca-Facchineri, all’epoca specialista in materia. Non fu difficile, per “l’Avvocato”, capire che la banda criminale puntava dritta dritta ai suoi soldi: cinque miliardi, 500 milioni…. Poi la liberazione e l’arresto della combriccola. Di quello sconvolgente episodio -un tempo interminabile, trascorso in una cascina nelle vicinanze del capoluogo piemontese, con la vittima rimasta incappucciata, con cera nelle orecchie e minacce di mutilazioni, tanto per rimanere al passo con i tempi- Carla Ovazza avrebbe scritto nel suo “5 ciliegie rosse. Una notte lunga trentacinque giorni” pubblicato nel 1978.
Quella donna, piccola e tanto amata ora rivive nelle pagine di questo diario che dovrebbe rimanere, come tale, privato, ma che finisce per trasformarsi in un dovuto atto pubblico di dichiarazione d’amore, non soltanto perchè pubblico ne è l’autore, quanto perché Elkann ha avuto la forza di rendere “pubblici” i sentimenti e gli affetti in esso riposti: sentimenti coltivati per 50 anni. E non deve essere stato facile ricordare, giorno dopo giorno, la lunga agonia, il tempo che non sembrava passare, la costante richiesta di notizie ai medici, il conforto di amici e parenti, la vita professionale che impone ritmi ed impegni sempre con il pensiero fisso a quel letto d’ospedale: “24 aprile 2000, Torino. Ieri la mamma è stata di nuovo operata d’urgenza. Ha avuto un’altra emorragia al fegato. Sembrava stesse meglio, invece ora è di nuovo gravissima. Sono arrivato sabato da Montemarcello, dove ho registrato la trasmissione con Montanelli, che quel giorno compiva novantun anni. Mi telefonano molte persone. Passo da momenti di sconforto e solitudine a momenti di rabbia e sgomento. A volte vorrei che la mamma morisse, che finisse questa terribile agonia, ma mi rendo conto che non si può fare nulla. La mia testa è vuota, non riesco a concentrarmi su niente. Ormai sono oltre venti giorni che è così. Jaki purtroppo è lontano. Lapo e Ginevra sono affettuosi e molto presenti. Ma la verità è che la persona che mi commuove di più è Guido, con il suo dolore, il suo equilibrio e la sua speranza. La speranza che la mamma si risvegli, torni tra noi e ci parli. La speranza che non se ne vada, senza dire più una parola, senza più dare segni di vita. Sono a Moncalieri, da solo. La casa è vuota”. Questa drammatica esperienza è servita all’autore del diario anche per una riflessione sul tema della vita e della morte, delle cure terapeutiche e del loro possibile accanimento: “(…) io preferisco non sapere. Detesto sentir parlare di mia madre come di un’automobile, o di un frigorifero, e farmi spiegare nel dettaglio, con tanto di fotografie ed ecografie, lo stato delle sue arterie, del suo fegato, dei suoi polmoni. Trovo che tutto ciò sia macabro, oltre che una mancanza di rispetto per la sua persona. L’eccesso di cure e di terapie che ho visto praticare su di lei mi ha spinto a una conclusione: credo che il desiderio dell’uomo moderno sia di allontanarsi sempre di più da Dio per poterlo sostituire. Insomma, si tratta di un parricidio collettivo. La scienza forse migliorerà le cose, forse alla fine riuscirà a far risuscitare la mamma, ma dov’è finito il mistero? Dove la poesia? Dove la spiritualità? Dove l’anima? Dove Dio? Cos’è un essere umano trattato come un oggetto (…). Purtroppo, in tutta la malattia della mamma, non sono più riuscito a trovare Dio. Non tanto perché sono arrabbiato con lui e gli imputo la colpa di tanta sofferenza, ma perché i medici hanno cominciato ad occuparsi di lei come se fosse una bambola di pezza (…)”. Corredato da alcuni scatti tratti dalla vita familiare, le pagine di Elkann ci restituiscono uno scrittore-giornalista di successo, abituato da sempre a calcare il palcoscenico del jet-set internazionale, interrogarsi ora sui grandi temi della vita, della religione, della famiglia, di quegli affetti e di quei valori che non possono non misurare la cifra umana di ognuno di noi: “(…) mia madre ci ha lasciato in eredità il senso della famiglia e la responsabilità verso chi è più debole, verso chi ha più bisogno. Credo che quello che ci rimarrà sempre vicino sono il suo spirito, il suo coraggio e la sua forza morale, la sua estrema generosità, la sua semplicità, la sua fedeltà assoluta a certi legami e a certi valori. Penso di aver imparato molto da lei, anche se in certe cose sono diverso e di sicuro non alla sua altezza. Non così attento agli altri, alle sofferenze degli altri, non così umile (…)”. Una bella lezione, anche per noi lettori!