Einaudi, Torino 2009, pp. 302, € 19,00
"Oggi, mercoledì 28 maggio, un nucleo della Brigata 28 marzo ha eliminato il terrorista di Stato Walter Tobagi, Presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Onore ai compagni caduti per il comunismo. Individuare e colpire i tecnici della controguerriglia psicologica. Niente resterà impunito. Unificare il movimento rivoluzionario costruendo il Partito Comunista Combattente. Per il comunismo. Brigata XXVIII Marzo". “Brutale. Per avvicinare quella mattina piovosa di tarda primavera scelgo di prendere il toro per le corna e mi ritrovo sei cartelle dattiloscritte del volantino con cui una semisconosciuta formazione terroristica rivendica l’omicidio di mio padre”.
Quando le uccisero il padre, Benedetta aveva tre anni. Troppo pochi per ricordarlo. Quando le strapparono uno degli affetti più profondi di un’esistenza, quella bambina sapeva appena parlare ma non sapeva ancora scrivere: l’immaginario di una vita, a quell’età, è sintonizzato su frequenze lontane mille miglia da complotti reazionari, disegni eversivi, gruppi terroristici, azioni di brigatisti, sangue, corpi inanimati. Inanimati come quello riverso sull’asfalto di una via milanese, la mattina del 28 maggio 1980. Sono passati 29 anni e mezzo e quella bambina di tre anni è diventata una donna che non solo ha imparato a “parlare” ma anche a “scrivere” e “benedettamene” bene! E così, benedetta Tobagi ci consegna un concentrato di storia dell’Italia contemporanea, fatto di affetti e drammi personali, di interrogativi e verità nascoste, di misteri come tanti che ancora rimangono tali in questo nostro strano Paese. Ne è passato di tempo da quel 28 maggio 1980: Walter Tobagi era un giovane giornalista di origini umbre, inviato speciale ed articolista del “Corriere della Sera”, dal 1978 presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti e consigliere della Federazione Nazionale della Stampa; il rigore scientifico del suo approccio professionale e l’attaccamento alla professione non avevano tardato a farsi notare e sicuramente a dar fastidio, se pensiamo al momento storico che proprio il nostro Paese stava vivendo, fatto di una lunga stagione di odio e violenza che aveva lasciato a terra decine di vite, portando lutti e disperazione. Stava recandosi nel garage a pochi metri dalla sua abitazione, quando un commando di terroristi della Brigata XXVIII Marzo, affiliato alle Brigate Rosse -che cercava di accedere al livello più alto della lotta terroristica- lo attendeva in Via Salaino. Semisconosciuto il gruppo di fuoco, che prendeva il nome dalla data in cui a Genova -il 28 marzo del 1980, appunto- quattro appartenenti alle Brigate Rosse erano rimasti vittime di un’incursione guidata da una squadra speciale diretta dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: Marco Barbone (21 anni), Paolo Morandini (20 anni), Mario Marano (29 anni), Francesco Giordano (27 anni), Daniele Laus (22 anni) e Manfredi De Stefano (23 anni) erano i componenti del gruppo di fuoco, giovanissimi e spietati, come solo in quegli anni, alla loro età, era possibile essere; un commando esperto e senza scrupoli che non diede scampo a quel giornalista trentatreenne di origini umbre che ad otto anni aveva seguìto con la famiglia il padre Ulderico, ferroviere, a Bresso, periferia della grande metropoli lombarda. Sinceramente non so come sia possibile metabolizzare un evento del genere, forse -e rischio di cadere in una scontata analisi- la sua giovane età all’epoca dei fatti l’avrà aiutata anche in questa ri-costruzione personale. Forse. Intanto Benedetta Tobagi ha ri-costruito la figura pubblica e la vita privata di suo padre Walter, quasi svelando completamente la mole di libri, articoli, pagine di diario, appunti, lettere sentimentali. Un mondo sospeso tra giornalismo e politica, storia e fede che queste pagine hanno contribuito a rendere finalmente accessibile a tutti. “Ci sono cose difficili da capire. Pensieri che la mente di una bambina non può contenere. Per esempio: papà è morto. I bambini non sanno la morte. Non è solo morto, di malattia o per un tragico incidente: è stato assassinato. Come te lo spieghi? Come lo spieghi? Ho un ricordo nitido di me stessa nel cortile della scuola materna mentre cerco di chiarire agli altri bambini, curiosi, quello che è successo. Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. Non mi credono, sono smarrita, sconcertata. Allora insisto: <> e mimo con le dita la forma dell’arma. La mia mano piccolissima, senza saperlo, ripete il famigerato segno della P38, l’arma-simbolo degli <>: il gesto rabbioso dei giovani dell’Autonomia Operaia, l’area dell’antagonismo più estremo, nelle assemblee del 1977, l’anno in cui sono nata”.
Quel che accadde è scolpito a caratteri cubitali nella storia violenta e sanguinaria della nostra Patria e leggere queste intense pagine contribuisce a raggiungere un doppio risultato: da un lato, a ricostruire con maggior dovizia di particolari -personali e familiari- uno degli episodi nodali della Storia d’Italia contemporanea; e dall’altro ad introdurre il lettore in una dimensione che pone, gli uni di fronte agli altri, i buoni ed i cattivi, il male ed il bene, la gioia ed il dolore, il riso ed il pianto. Le vittime ed i carnefici…
“Non ho ricordi di mio padre da vivo: è morto troppo presto. In compenso sono cresciuta assediata dall’immagine pubblica di Walter Tobagi (…) Il mare d’inverno è il mio rifugio. Ci vado da sola. Quando sono stanca, confusa, l’acqua e la luce mi calmano sempre. Guardando l’orizzonte, prima o dopo, penso sempre a papà. Mi sembra che sia più vicino (…). Gli parlo. A volte parlo sul serio, seppure a bassa voce, per paura di essere presa per pazza E’ un rito dolce e liberatorio. Quando vado a trovare papà al cimitero mi piace portargli una rosa, una sola, ma molto bella, in una delle infinite tonalità del rosa. La lascio lì accanto, come una carezza”.