“E’ bello morire per ciò in cui si crede;chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Cosa dire: affascinante e profondo l’incipit di questo libro di Giuseppe Ayala, Magistrato siciliano che ha fatto parte per tutta la durata del Pool Antimafia di Palermo sino a rappresentare l’accusa durante quei quasi due anni di maxi processo.
Dal 1992 al 2006 ha ricoperto incarichi parlamentari come deputato e senatore nel corso di quattro legislature sino ad essere Sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2000. Già, la Giustizia… Quando ho avuto l’onore di introdurlo al pubblico -sinceramente, tanta gente- di Piazza Italia, a Praia a Mare, nell’ambito della rassegna “Praia, a mare con…”, devo confessare di aver provato un doppio sentimento interiore. Uno, tutto di euforia e gioia -come giornalista ed animatore di eventi culturali- per il fatto di essere riuscito a far approdare nella mia cittadina una personalità di così alto valore morale e spessore culturale;l’altro -invece- piuttosto caratterizzato da un non velato disagio, soprattutto nel momento in cui il “nostro” ricordava il come ed il perché del suo ingresso in Magistratura: “(…) Avevo ventotto anni e una gran voglia di schierarmi. La parte giusta mi sembrò quella della Sicilia che combatteva la mafia, non l’altra che la tollerava. Alle quattro di un mattino, in perfetta solitudine, decisi che il mio mestiere sarebbe stato un altro, quello del magistrato. Non persi tempo e vinsi il primo concorso utile”. Già, un altro mestiere, rispetto a quello appena iniziato di avvocato, per di più in uno dei più importanti studi penalistici di Palermo. Un moto dell’animo, un sentimento di rivolta -dunque- ha fatto si che la toga indossata da Giuseppe Ayala fosse sempre nera, ma collocata dall’altra parte della “barricata”. Sinceramente, ancora non mi sono confrontato con episodi -alias, processi- capaci di provocare un moto impetuoso così forte: non so, sinceramente che tipo di reazione potrei avere: certo, come dimenticare il diritto di tutti alla difesa riconosciuto dalla nostra Costituzione repubblicana. Ma come dimenticare -soprattutto in Calabria- la barbarie cui è giunta una frangia deviata della società, composta da mafiosi allo stato puro e colletti bianchi altrettanto deviati (politici, avvocati, magistrati…). Si vedrà…
Cosa porta un Magistrato di carriera, con un curriculum alto e prestigioso come quello di Peppino Ayala, dopo ben 18 anni passati sotto-scorta a scrivere un libro drammatico e toccante come il suo, ce lo spiega lo stesso autore: premetto che dal suo moderatore ha preteso il “Tu” colloquiale, dimostrando ancora una volta un atteggiamento gentile, anglosassone, per nulla montato ad arte. “Qualcuno ha scritto che, dopo più di quindici anni da quel tremendo 1992, <>. Spero abbia avuto ragione. Mi è venuta così la voglia di scrivere, per me innanzitutto ma anche per chi mi leggerà (i venticinque di manzoniana memoria?), la storia di una grande amicizia nata per caso e vissuta tra successi e drammi. Che si ostina a non morire e che continua a farmi piangere, ma anche ridere. Con loro due, ancora”.
Una storia, quella di schierarsi dalla parte giusta, nata quasi trent’anni fa in una Pretura di provincia -Mussomeli, nella sua Caltanissetta- e proseguita in una Sicilia che di lì a poco avrebbe visto cadere, sotto i colpi della mafia, magistrati, carabinieri, poliziotti, politici onesti: uomini dello Stato che lo Stato aveva lasciato troppo soli. Li cito, in rigoroso ordine alfabetico, così come feci la sera del 25 agosto scorso, un omaggio sottolineato da un lungo applauso, per chi ha pagato con la propria vita il semplice fatto di essersi schierato “dalla parte giusta”: Emanuele Basile, Antonino Cassarà, Rocco Chinnici, Gian Giacomo Ciaccio Montalto, Gaetano Costa, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Boris Giuliano, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Giuseppe Montana, Francesca Morvillo, Emanuela Setti Carraro, Cesare Terranova. Più i tanti uomini della scorta, padri di famiglia strappati a suon di pallottole, di kalashnikov, di tritolo ai propri affetti più cari.
Già, ancora il maledetto tritolo: “L’appuntamento era fissato per il primo pomeriggio di venerdì 22 maggio 1992 all’aeroporto di Ciampino. Falcone, come spesso accadeva, mi avrebbe dato un passaggio per Palermo sul volo di Stato. In mattinata mi telefonò per avvertirmi di un cambiamento di programma. Francesca non si sarebbe liberata dal lavoro in tempo. Il decollo era spostato di ventiquattr’ore.<