Praia a Mare, ottobre 2007. E’ una splendida giornata di sole, il termometro stenta a scendere sotto i 25-27 gradi e durante il giro di orologio di metà giornata avrà anche sfiorato i fatidici 30 gradi: potenza di questo autunno mediterraneo. Sono al lavoro e quando il sole sta tuffandosi in quel mare che ammiro da sempre come elemento naturale, ecco trillare il telefono: “buona sera, sono Rolly Marchi, cerco Egidio Lorito”. Sorpresa delle sorprese!
Una giornata tipicamente estiva mi stava lasciando e da Milano mi telefona proprio lui, Rolando “Rolly” Marchi, il “Signor Trofeo Topolino”, l’instancabile animatore degli ultimi sessant’anni di vita sulla neve, di quell’impareggiabile mondo sportivo e mondano che è il “circo bianco”; ma anche il cantore delle sue Dolomiti, quelle di Lavis, poco sopra Trento come delle immacolate Tofàne, vanto della superba e ricercata Cortina.
Con Rolly Marchi ho costruito negli ultimi mesi un rapporto splendido: nel 2005, in occasione della pubblicazione del mio “Tracce di Calabria”, l’avevo onorato di una bella citazione, riprendendo un passo -romantico e struggente- del suo “Neve per dimenticare”: uno dei vati del bel mondo dello sci internazionale raccontava la montagna con levità, competenza tecnica e affetti reconditi. Sottoscrivevo appieno, da buon meridionale, le sue parole, perchè anche a diverse latitudini e sotto picchi che non sono spettacolari come le sue Dolomiti, la sensazione di passione per la montagna è la stessa. Non foss’altro che io -le sue Dolomiti- le conosco anche… Lo scorso 19 maggio, lo contatto a Milano: mi concede un’affettuosa intervista che pubblico sul quotidiano “La Provincia Cosentina”: un chiacchierata lunga un secolo, in pratica.Praia a Mare, ottobre 2007. E’ una splendida giornata di sole, il termometro stenta a scendere sotto i 25-27 gradi e durante il giro di orologio di metà giornata avrà anche sfiorato i fatidici 30 gradi: potenza di questo autunno mediterraneo. Sono al lavoro e quando il sole sta tuffandosi in quel mare che ammiro da sempre come elemento naturale, ecco trillare il telefono: “buona sera, sono Rolly Marchi, cerco Egidio Lorito”. Sorpresa delle sorprese! Una giornata tipicamente estiva mi stava lasciando e da Milano mi telefona proprio lui, Rolando “Rolly” Marchi, il “Signor Trofeo Topolino”, l’instancabile animatore degli ultimi sessant’anni di vita sulla neve, di quell’impareggiabile mondo sportivo e mondano che è il “circo bianco”; ma anche il cantore delle sue Dolomiti, quelle di Lavis, poco sopra Trento come delle immacolate Tofàne, vanto della superba e ricercata Cortina. Con Rolly Marchi ho costruito negli ultimi mesi un rapporto splendido: nel 2005, in occasione della pubblicazione del mio “Tracce di Calabria”, l’avevo onorato di una bella citazione, riprendendo un passo -romantico e struggente- del suo “Neve per dimenticare”: uno dei vati del bel mondo dello sci internazionale raccontava la montagna con levità, competenza tecnica e affetti reconditi. Sottoscrivevo appieno, da buon meridionale, le sue parole, perchè anche a diverse latitudini e sotto picchi che non sono spettacolari come le sue Dolomiti, la sensazione di passione per la montagna è la stessa. Non foss’altro che io -le sue Dolomiti- le conosco anche… Lo scorso 19 maggio, lo contatto a Milano: mi concede un’affettuosa intervista che pubblico sul quotidiano “La Provincia Cosentina”: un chiacchierata lunga un secolo, in pratica. Mi affascina il suo esordio: “ah, la Calabria, voi avete al Sila, il Pollino…”. Glielo confesso subito di nutrire la stessa passione viscerale per neve e montagne, sci e foreste immacolate che trasferisco corposamente nella mia attività pubblicistica. E lo confesso oggi anche ai miei nuovi lettori di questa rivista che ho l’onore di ricever da alcuni anni: questo amore viscerale, questa passione ancestrale è segno di un legame nato praticamente quando ero ancora “altrove”. Mia madre, da buona marinara, l’addebita -il termine è quello più elegante- a mio padre che in montagna è nato, alle falde di quel Monte Alpi di Latronico, nel potentino, che già altrove ho descritto come l’“Eiger” dell’Appennino, per via di quell’imponente e vertiginosa bastionata dolomitico-calcarea, di circa mille metri, che precipita a picco dal versante nord-occidentale e che ricorda in maniera impressionante una ben più nota e celebrata parete: questa sorella maggiore -l’Eiger, appunto- definita la “montagna assassina”, si trova nell’Oberland bernese, in Svizzera, e nel 1975 ospitò le spettacolari riprese di “Assassinio sull’Eiger” con Clint Eastwood e George Kennedy. Rassicuro che la somiglianza è impressionante! Cosa voleva mai il buon “Rolly”? Un articolo sulla montagna e la neve in Calabria, da far uscire sul numero natalizio della rivista, che negli anni mi ha permesso di leggere gioielli giornalistici firmati da Giorgio Bocca, Jas Gawronski, Mario Rigoni Stern, Isabella Bossi Fedrigotti, Gaudenzio Capelli, Bepi Degregorio, Indro Montanelli, Piero Ostellino, Cinzia Maltese, Gian Paolo Ormezzano, Serge Lang. Già: “La Buona Neve”, il numero natalizio! Caro Rolly, ti confido ora che quel giorno di ottobre ero appena tornato dal mare, distante un centinaio di metri da casa mia… Ebbene, cari lettori, nonostante questa vicinanza domiciliare, nonostante sia nato nella splendida Maratea, nonostante i primi dieci anni della mia vita li abbia trascorsi in riva allo Stretto di Messina -in quella Reggio Calabria da cui si gode di un impareggiabile panorama sull’Etna fumante ed innevato; nonostante, insomma, l’elemento marino sia parte integrante della mia persona, la montagna esercita, su di me, un fascino forse maggiore. Sarà una naturale reazione al fatto che il mare -comunque- è lì, appena fuori l’uscio di casa? E’probabile, ma in tutto ciò hanno giocato un ruolo fondamentale sia quella passione paterna di cui parlavo poco sopra che le stesse vicende familiari che, per ragioni di domicilio, hanno indirettamente segnato il mio rapporto con montagne e neve. Ritorno, così, agli anni reggini, quando l’Aspromonte accoglieva i miei primi contatti con l’ambiente montano e -soprattutto- con quella strana sostanza bianca che avrei imparato a chiamare “neve”: i primissimi anni ’70, che solo la mia memoria ferrata ed un copioso archivio fotografico mi riportano alla mente, sono stati -dunque- il momento del contatto con quel dolce e scivoloso elemento. Ricordo ancora con quanta eccitazione ammiravo gli esemplari -rigorosamente in legno- di slittini che facevano bella mostra di sé nei reparti sportivi di Standa ed Upim: una magica attrazione che sarei riuscito a sperimentare durante quelle prime giornate trascorse su quella montagna sconosciuta, dal nome non certo rassicurante, che sarebbe passata drammaticamente alla storia del nostro Paese per una lunga serie di sequestri, vittime nella maggior parte dei casi giovani ragazzi settentrionali, strappati all’affetto delle famiglie e costretti a vivere come animali per lunghi mesi tra quelle gole inaccessibili. La vicenda di Cesare Casella e di sua “madre coraggio” Angela, è la sintesi di questo capitolo vergognoso, fortunatamente debellato.
Oggi, sciisticamente parlando, l’Aspromonte -tutelato da un Parco Nazionale di grande rilievo ambientale- rappresenta la realtà più a sud dell’intera penisola italica, con strutture moderne, numerosi impianti di risalita che collegano una decina di chilometri di piste che regalano, semplicemente, la sensazione di sciare guardando il mare. Quello del Mito, che tanto aveva incantato un’infinita generazione di poeti, da Ibico a Giovanni Pascoli, passando per una nutrita schiera di pensatori-viaggiatori romantici. Altre inquietudini… Tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta, il mio scenario paesaggistico cambia sensibilmente: “approdo” -mai termine è più reale- a Praia a Mare e la montagna inizia a prendere le sembianze della Sila, la Hyle degli antichi greci, la Silva dei romani. Sarebbe impossibile ricordare quanti, dalla notte dei tempi, hanno cantato le bellezze di quest’altipiano, ma Tito Livio, Strabone, Virgilio, Plinio, Diodoro Siculo, Dionigi D’Alicarnasso, fino a Gabriele Barrio, Richard Keppel Craven, Astolphe De Custine, Duret de Tavel, Norman Douglas, Francois Lenormant, Henry Swinburne, John Arthur Strutt, Edgard Lear, Guido Piovene, Giuseppe Isnardi, meritano, almeno, il dovuto ricordo. “Dolomiti a parte, la Sila assomiglia davvero al Cadore: e lasciatelo dire ad un veneto che alla conca ampezzana ha legato i ricordi più meravigliosi della sua giovinezza”. Quando, qualche anno fa, lessi su una rivista promozionale regionale il commento dello scrittore e giornalista Gastone Geron, ebbi realmente la consapevolezza della bellezza dell’altipiano silano, della sua lampante non “calabresità”, intendendo per essa quell’errato luogo comune che vorrebbe questa regione una landa desolata, tra due mari in fondo all’Italia. Certo, la Calabria è soprattutto mare, ma non solo. E questo non solo lo si coglie appieno proprio nella sua parte più centrale, in quell’altipiano che deve aver così tanto incantato Guido Piovene -un altro illustre veneto- da spingerlo ad affermare che “la Sila è un paradosso paesaggistico che ci riporta a certe composizioni surreali che ottengono il loro fascino accostando tra loro oggetti eterogenei e disambientati. Sembra di essere caduti in un angolo della Scandinavia, con i pini silani più alti e snelli degli abeti”. Eccoli questi pini laricii: 20, 30 metri verso il cielo, per non parlare di quelli che si trovano, per magia, nella riserva del Fallistro: cinquantasei esemplari che tra un diametro di quasi due metri ed un’altrezza di oltre quaranta, incantano i visitatori per quell’aria da giganti buoni. Siamo nella Conca di Magàra, dove entrare in una dimensione da favola non è certo difficile, perché quando il vento sibila tra questi tronchi alti e rettilinei, quando le chiome oppongono resistenza agli agenti atmosferici, lì -ai loro piedi- sembra sentirsi protetti da una natura che ha assunto sembianze al limite del poetico. Cime dolci e rassicuranti -i 1928 metri di Botte Donato sono la sommità dell’ altipiano- un’altezza media di 1300 metri rivestita di foreste a perdita d’occhio; laghi creati come sbarramenti artificiali all’inizio del ‘900 e fiumi che l’attraversano in ogni direzione; una varietà impressionante di flora e fauna; villaggi, contrade e centri rurali disseminati in lungo ed in largo a testimonianza dell’antico legame tra l’uomo e l’ambiente. E poi, tutti quei toponimi affascinanti e misteriosi che parlano di briganti, fate, fattucchiere, lupi ed apparizioni fantastiche che mi rimandano immediatamente agli “elfi” di Dino Buzzati o ai “monachicchi” di Carlo Levi. Ma la Sila è, fortunatamente, anche un luogo dove praticare il nostro sport preferito, anche perché qui, di “buona neve”, c’è ne è davvero tanta. Nessun paragone con le capitali alpine, sia chiaro: ma località come Camigliatello Silano, Lorica, Villaggio Palumbo e Villaggio Mancuso, da tempo hanno assunto il ruolo trainante di un settore strategico nell’economia regionale che ha ancora molto da dire. C’è un’impiantistica nuova e tecnologicamente avanzata -l’ovovia ed il recente impianto di innevamento artificiale proprio a Camigliatello- che non potrà non contribuire ad aumentare l’offerta di servizi che una clientela sempre più esigente avverte ormai come irrinunciabile. Così come i tanti rifugi in quota, i sentieri e gli itinerari che permettono di accedere a panorami mozzafiato: come i due mari -il Tirreno e lo Jonio- che è possibile ammirare contemporaneamente nelle giornate serene, con l’ulteriore sorpresa del cono vulcanico dell’Etna che sembra galleggiare nel vuoto; con l’imponente catena del Pollino che chiude a nord-ovest la regione. Senza dimenticare lo sci da fondo: il Sentiero delle Vette, che collega tutte le cime più elevate dell’altipiano o la recente struttura -omologata dalla Federazione- di Piano di Carlomagno, permettono di addentrarsi all’interno di scenari da fiaba, dove il bianco regna sovrano. Una bellezza commovente, irreale a queste latitudini, capace di ripresentarsi -stagione dopo stagione- sempre pronta ad emozionare, stupire, incantare. Questo e molto altro ancora è capace di regalare la Calabria, “cuore verde” del Mediterraneo; questo e molto altro ancora è la Sila, antico “cuore bianco” della Calabria!
La Buona Neve- Gennaio 2008 Egidio Lorito