Le “edificanti” immagini e tutto il successivo bailamme mediatico che hanno aperto il 2010 in una ben definita e già tristemente area della sempre tormentata Calabria, hanno riportato a galla non solo consolidate tensioni che da tempo covano in un’Italia sempre più multi-etnica, ma -soprattutto- hanno fatto riemergere un vespaio di problematiche tutte tipicamente calabresi.
Aggressioni, caccia all’uomo, vetrine in frantumi, cassonetti incendiati, macchine distrutte -una sorta di “nostrana” Soweto- hanno drammaticamente fotografato una terra che continua ad offrire un’immagine di sé così negativa, quasi che nulla più contassero storia, cultura, tradizioni, paesaggio, popolazione “civile”: è la solita Calabria “metà Paradiso e metà Inferno”.
E quest’ultimo è sembrato proprio materializzarsi in una cittadina della piana di Gioia Tauro, da alcuni decenni al centro di complessi intrecci di quell’anti-Stato che da queste parti reca un nome ben preciso: ‘ndrangheta. La Calabria ha sempre mostrato il suo volto di terra ospitale, di seconda “patria” per un numero praticamente indefinibile di popolazioni che nel corso della storia ne hanno profondamente inciso la sua natura interiore: ne è nato un crogiolo di popoli, tradizioni e civiltà che si sono sedimentate in quel Mediterraneo da sempre crocevia di culture eterodosse. E poi cos’è improvvisamente successo? La Calabria è divenuta intollerante, violenta e razzista? I calabresi sono razzisti? Beh, qualche contemporaneo esemplare da Klu Klux Klan si sarà pure aggirato per le vie di Rosarno, come per le vie di qualunque altro borgo d’Italia, ma in qualunque altra parte d’Italia -sicuramente- non è possibile registrare la pressante presenza di una forza criminale che si è, ormai, messa in netta contrapposizione con lo Stato, tanto che non pochi osservatori la vedono -addirittura- letteralmente sostituire lo Stato stesso, arrivando ad impersonare un vero e proprio “Antistato”. Dicono le ricerche che la ‘ndrangheta disponga di un esercito di seimila affiliati, distribuiti in 131 cosche attive sul territorio: cioè, mediamente, un affiliato ogni 345 calabresi: dicono, ancora, che nel rapporto tra affiliati ai clan e popolazione, la densità criminale in Calabria sia pari al 27%, contro il 12 della Campania, il 10 della Sicilia, il 2 della Puglia. “Un’informativa della Polizia consegnata alla Procura di Palmi e destinata alla Dia, ricostruisce ora per ora le giornate di fuoco a Rosarno. Ne emerge un quadro inatteso e inquietante, che indirizza sulle cosche locali tutta la responsabilità degli scontri per allontanare i migranti e riprendere il controllo del territorio. La ‘ndrangheta ha ispirato, provocato, gestito e condotto la fasi salienti della sommossa di Rosario e depistato l’opinione pubblica e l’informazione”: così la stampa calabrese, qualche giorno dopo, quando si iniziava a fare chiarezza sull’accaduto. A mio modesto avviso, al di là delle tante ricette, dei tanti studi, dei tanti angoli di visuale, non è che rimangano molte strade da perseguire. Un momento: forse una la si potrebbe praticare da subito. Avviare un’imponente controffensiva ai danni della più pericolosa mafia mondiale, partendo proprio dalle imminenti elezioni regionali. Ripuliremmo le liste dei candidati e forse giocheremmo alla pari. Che ne dite, proviamo?
L’Eco di Basilicata, Calabria, Campania - anno X n. 3 - 1 febbraio 2010
Egidio Lorito - www.egidioloritocommunications.com