Più che parlare di un autore, si tratta di entrare in un personaggio, in un tessuto umano e sociale, in una terra che trabocca di contraddizioni. Nino D’Angelo chi? Il cantautore, l’attore, il regista? Esatto. Ma ora c’è di più, perché è diventato “improvvisamente intellettuale”… Ne è passato di tempo da quando Gaetano D’Angelo inizia a respirare l’aria napoletana di San Pietro a Patierno, “ ‘o quartiere d’‘e scarpari”: “un vico stretto che non sboccava da nessuna strada.
Le poche macchine che passavano erano solo quelle delle persone che ci abitavano, invece molti erano <>, pezzi di legno su quattro ruote d’acciaio che si usavano per trasportare scatoloni pieni di scarpe da lasciare al fresatore che stava in mezzo alla piazza”.
Più che recensire un libro, si tratta di ripercorrere a ritroso la vita di un bambino, di un ragazzo, di un uomo che dalla periferia nordorientale di Napoli, provato da quella stessa vita, ha iniziato una stupefacente carriera artistica che oggi lo ha condotto ad essere uno dei più acclamati e poliedrici artisti nazionali. C’è un intero ciclo vitale in “Core pazzo” (Baldini, Castoldi, Dalai Editore, Milano, 2010): pagine autobiografiche in cui l’artista napoletano dà fondo a tutti i ricordi che servono poi semplicemente ad illuminare la via del lettore, forse più dei suoi occhi azzurro-verdi, forse più di quel suo caschetto biondo scintillante, forse più delle sue celebri canzoni, dei suoi film, delle rappresentazioni teatrali. Lui, Nino, ha dovuto attendere anni prima che un intellettuale di razza come Goffredo Fofi lo “sdoganasse” per farlo realmente comprendere nella sua essenza più profonda: “è un vero artista snobbato dai soliti piccolo borghesi. Ha rotto la barriera razzista di una certa parte della cultura italiana che è sempre stata contro la cultura marginale del Sud”. “Da quel momento non ho capito più niente. Prima di tutto cominciavano a chiamarmi in tutte le trasmissioni di cultura e su tutte le cose che succedevano in Italia volevano il mio parere (…) Ogni giorno che incontravo un mio parente mi chiedeva come erano fatti gli intellettuali, se ce n’era qualcuno pure a Casoria, se parlavano solo italiano o anche in napoletano, di che squadra erano tifosi, come si vestivano (…)”. Uno che arriva a colpire Miles Davis -“L’altra notte ho sentito cantare un italiano che mi ha scioccato, Nino D’Angelo: potrei suonare io le cose che lui ha cantato”- non poteva rimanere nell’ombra, neanche se questa continua a portare le contraddizioni di una terra divisa tra Paradiso ed Inferno. Soprattutto quando si è costretti a tirare avanti tra sconosciute compagnie di filodrammatici e la vendita di gelati alla Stazione: poi, passa lì per caso Alberto Lupo, ne intuisce il talento e la vita -anche questa volta- cambia direzione: e la destinazione è un casa discografica per il primo vero provino. Poi Napoli e il Napoli (e Maradona, ovviamente), il teatro e la televisione, il gelo dei critici ed il calore del pubblico, la televisione e Sanremo, il cinema e Sofia Loren. In mezzo -anzi, al proprio fianco- l’affetto dei suoi estimatori a dargli quella carica emotiva, a spingerlo sempre più in alto, senza mai dimenticare chi sei, da dove vieni, dove vai. L’affetto ed il calore di quel suo pubblico si arricchisce, ora, anche di nuovi lettori che gli fanno battere il cuore. Poco importa: Nino è sempre “Core pazzo”.
L’Eco di Basilicata, Calabria, Campania
anno X n. 15- 01 agosto 2010 Egidio Lorito