Quando le uccisero il padre, Benedetta aveva tre anni. Troppo pochi per ricordarlo. Quando le strapparono uno degli affetti più profondi di un’esistenza, quella bambina sapeva appena parlare ma non sapeva ancora scrivere: l’immaginario di una vita a quell’età è sintonizzato su frequenze lontane mille miglia da complotti reazionari, disegni eversivi, gruppi terroristici, azioni di brigatisti, sangue, corpi inanimati.
Sono passati 29 anni e mezzo e quella bambina di tre anni oggi è una donna (a me piace definirla ragazza, forse per un mio personale vezzo per la gioventù senza età) che non solo ha imparato a “parlare” ed ha assunto un ruolo pubblico come consigliere alla Provincia di Milano, ma sembra che abbia imparato anche a “scrivere”. E “benedettamene” bene!
Sapevo da tempo dell’uscita del suo “Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” (Einaudi, 2009) e non ho perso tempo: ho contattato la cordiale Simonetta Gasbarro dell’ufficio stampa della storica casa editrice torinese ed ora mi ritrovo tra le mani un concentrato di storia dell’Italia contemporanea, di affetti e drammi personali, di interrogativi e dubbi, di misteri come tanti che ancora rimangono tali in questo nostro strano Paese che si chiama Italia. Ne è passato di tempo da quel 28 maggio 1980: Walter Tobagi era un giovane giornalista di origini umbre, inviato speciale ed articolista del “Corriere della Sera”, dal 1978 presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti e consigliere della Federazione Nazionale della Stampa: il rigore scientifico del suo approccio professionale e l’attaccamento alla professione non avevano tardato a farsi notare. Stava recandosi nel garage a pochi metri dalla sua abitazione, quando un commando di terroristi della Brigata XXVIII Marzo, affiliato alle Brigate Rosse -che cercava di accedere al livello più alto della lotta terroristica- lo attendeva in Via Salaino. Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano erano i componenti del gruppo di fuoco, giovanissimi e per di più figli della Milano bene. Avevano poco più di venti anni e la freddezza di un commando esperto e senza scrupoli che non diede scampo a quel giornalista trentatreenne che ad otto anni aveva seguito con la famiglia il padre Ulderico, ferroviere, a Bresso, periferia della grande metropoli lombarda. Quel che accadde è scolpito a caratteri cubitali nella storia violenta e sanguinaria della nostra Patria. Il 2 novembre leggo Benedetta sul “Corriere della Sera”: “no ho ricordi di mio padre da vivo: è morto troppo presto. In compenso sono cresciuta assediata dall’immagine pubblica di Walter Tobagi (…) Il mare d’inverno è il mio rifugio. Ci vado da sola. Quando sono stanca, confusa, l’acqua e la luce mi calmano sempre. Guardando l’orizzonte, prima o dopo, penso sempre a papà. Mi sembra che sia più vicino (…). Gli parlo. A volte parlo sul serio, seppure a bassa voce, per paura di essere presa per pazza E’ un rito dolce e liberatorio. Quando vado a trovare papà al cimitero mi piace portargli una rosa, una sola, ma molto bella, in una delle infinite tonalità del rosa. La lascio lì accanto, come una carezza”. Grazie, Benedetta e a presto!
L’Eco di Basilicata, Calabria, Campania - anno IX n. 20 – 15 novembre 2009
Egidio Lorito - www.egidioloritocommunications.com