E’ il cancro della società meridionale. Il provincialismo, appunto, che tutto omogeneizza e rende adattabile esclusivamente agli angusti limiti geografici del proprio “locus”. Me ne sto accorgendo in modo certo e forte in questi ultimi anni, passati -per motivi professionali- a stretto contatto con la vita pubblica. Sei un avvocato? Nei nostri borghi sarai costretto a portare rispetto ed ossequio per quei rappresentanti il cui nome fa parte di diritto dell’elenco dei “mammasantissimi”. Rispetto? Forse più timore reverenziale… Sei un giornalista? Se vuoi continuare a scrivere su un qualunque giornale di provincia non potrai che non adeguarti alla linea editoriale fatta di ossequio nei confronti dei potenti di turno: qui il diritto di rettifica si è trasformato in “rettifica del diritto”: cioè hanno mutato la libertà di manifestazione del pensiero…
Sei un medico? Dovrai abituarti ad anni di oscuro lavoro sotto il barone di turno: e così via. Sarò franco: non stravedo per un collega come Marco Travaglio, ma almeno gli riconosco -oltre ad un’estrema preparazione tecnica- il coraggio di dire le cose come stanno, anche se poi è il suo personalissimo pensiero, anche se va sempre contro il suo acerrimo nemico -l’uomo di Arcore- anche se le sue invettive vanno sempre nella stessa direzione. Lo invidio, sicuramente, perché ha portato alla ribalta -credo sia il titolo anche di un suo recente libro- il problema della scomparsa dei fatti dal lavoro del giornalista. Molte volte -francamente- non sappiamo più cosa scrivere, perché la stessa società in cui viviamo arriverà a privarci di fare ciò. Ed allora ci ritroviamo con una classe forense che, soprattutto nei nostri circondari, finirà per avvitarsi attorno ai soliti nomi, quelli che detengono il massimo carico di lavoro, con poche briciole per il resto di giovani e preparatissimi legali; con medici che saranno sempre più relegati al compito di tappabuchi di “baroni” senza feudo; e con colleghi giornalisti che dovranno accontentarsi delle poche e scarne “notizie di paese”, perché i fatti sono scomparsi! L’ho provato sulla mia pelle giusto un anno fa: dal 1999 collaboravo ad un letto quotidiano provinciale cosentino sul quale avevo svolto la mia pratica giornalistica, inventato una pagina culturale ed un appuntamento settimanale a carattere nazionale, tramite cui ero riuscito a far arrivare le pagine di questo media cartaceo sulle scrivanie di molti intellettuali italiani. Ebbene: mi resi conto, al cambio editoriale e direttoriale, che quel respiro culturale nazionale iniziava a dare fastidio. Servivano soprattutto le “notizie di paese”, quelle al limite del pettegolezzo. Ho detto addio a quel provincialismo in nome della libertà…
Eco di Basilicata. Anno VII n. 11- 2008 - 01-06-2008
Egidio Lorito www.egidioloritocommunications.com