Ritorno nel giro di pochi giorni ad uno dei temi a me più cari: saranno l’imminente appuntamento elettorale e le continue sollecitazione che provengono dal personale impegno associativo ed accademico, ma reputo il tema della partecipazione politica come preliminare ad ogni tipo di ragionamento in materia. Cosa sia, chi partecipa e perché, come si partecipa, sono interrogativi da sempre al centro del dibattito scientifico che impegnano la scienza politica sin dalla sua affermazione tra le discipline di settore.
Questa rubrica è l’ideale rampa di lancio per sane provocazioni alle quali, spero, qualche “politico” locale vorrà concedere parte del suo prezioso tempo, non dico per rispondermi ma, almeno, per dare un cenno di presenza. Lo sappiamo tutti: la politica viene considerata -soprattutto oggi- un terreno poco stabile, anzi quasi del tutto inaffidabile, sulla cui superficie si annidano appetiti ed interessi tali da riuscire a mantenere ai margini la stragrande maggioranza della popolazione attiva, quella che dovrebbe -e potrebbe- far sentire positivamente la propria voce partecipata. Se poi a tutto ciò sommiamo una fisiologica assenza di forte senso civico che sembra albergare nelle nostre comunità locali -il richiamo a Putnam ed al suo “La tradizione civica nelle regioni italiane 1993, mi appare scontato- il risultato è presto ottenuto. Da noi, più che in altre realtà, vivono ancora -ma forse è più giusto dire, sopravvivono- dei potentati politici familiari ovvero più o meno estesi nuclei politici che partendo proprio da “sé stessi” sono riusciti negli anni ad allargare il potere politico sin dentro i gangli più intimi della vita amministrativo-politica, riuscendo a controllare quasi tutto il controllabile ed a rappresentare l’unica forma di potere cui rivolgersi per ogni tipo di esigenza. E così assistiamo, in barba ad ogni forma di partecipazione allargata, al rafforzamento di questi clan locali che altro scopo non hanno se non quello di lottare, elezione dopo elezione, esclusivamente per sopravvivere a sé stessi. Ricordo sempre il Commiato scritto da Luigi Lombardi Vallauri, mio Maestro di Filosofia del Diritto: “se il Diritto e la Politica “grandi” fossero troppo lontani per noi, passassero sopra la nostra testa o li sentissimo come un territorio di corruzione, di appetiti, di ambizioni, di amicizie utilitaristiche, di solennità false, di frasi truccate, di forze immense o cieche, di strutture opprimenti e inerti, insomma come un territorio ostile o ripugnante o estraneo, non è necessario scoraggiarci. (…). Per fortuna lo strumento del voto, elezione dopo elezione, è ancora valido…
Eco di Basilicata anno VI° n. 10 - 15 maggio 2007-
Egidio Lorito Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.