Succede con tutte le aree di confine: ma qui succede ancora di più, perché la Storia -da queste parti- ha inesorabilmente legato al filo doppio le nostre terre ed il nostro mare. Lo sostengo da almeno un decennio: il dibattito l’ho condotto dapprima sul piano della ricerca e della pubblicistica, tanto da dedicare alle mie due Regioni l’ultimo “Tracce di Calabria”, che solo il titolo potrebbe ingannare il lettore meno attento;molto più di recente, il tema lo sto trasferendo sul piano più squisitamente antropologico: non me ne vogliano gli addetti ai lavori -tranquilli, non ruberò loro la professione!- ma ci sarà pure un motivo se nella mia vasta schiera di frequentatori, di ragazze e ragazzi con cui condivido ormai molto di questa esistenza, la percentuale dei “lucani” supera di gran molto quella dei “calabresi”.

E non è certo per un fatto di convenienze: le amicizie, quando sono ben fondate, sono destinate a durare solide, non certo il tempo di una festa, di una serata in discoteca, di una gita fuori porta, di un invito in qualche austero luogo per fare da coreografia umana ad una folla di comparse che poco o nulla hanno da regalare se non la propria “assenza”. Personali esperienze di vita incarnano la base di questa rubrica, altrimenti mai l’avrei così intitolata;e non è un caso se un foglio d’informazione lucano mi ospita: forte era -ed è- la necessità di far sentire la voce di un calabro-lucano in piena terra di Lucania, lungo quegli splendidi trenta chilometri di costa marateota, al di là del fiume Noce -alle falde di quel Sirino che ho avuto la fortuna di conoscere dalla più tenera età- o ancora verso il Sinni, tra l’Alpe ed il Pollino, somme montagne di una terra ancora troppo sconosciuta per poter essere apprezzata e valorizzata. “Calabria e Lucania. La memoria dei tempi lunghi” è il titolo di una ricca e prestigiosa pubblicazione datata 1994, curata da Nino Calice ed introdotta da Augusto Placanica, Sebastiano Martelli e Franco Vitelli: c’è la Calabria di Placanica che sperava di veder premiata “la buona Calabria dei buoni calabresi, moderni e svegli nel pensare e progettare, ma custodi dell’antico coraggio nelle idee e nei fatti” e c’è la Lucania di Levi, Sinisgalli, Scotellaro, Trufelli, quest’ultimo instancabile animatore delle stagioni culturali lucane. Potrei dimenticare Guido Piovene che dal lontano Veneto arrivò -tra il 1963 ed il 1965- in queste dimenticate terre e rimanere affascinato da colori, sapori, odori di realtà contadine e marinare, eredi delle più grandi civiltà mediterranee? Il resto è una lunga “questione di feeling”, anzi di outing…
Eco di Basilicata anno V° n. 11 - 1 Giugno ‘06
Egidio Lorito Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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