Non è passato neanche un anno e quella che i colleghi giornalisti definiscono orami “la pagina delle intercettazioni” è cresciuta a dismisura, tanto da essere la più letta dei quotidiani: sembra che agli italiani non interessino più la politica, la cultura, lo sport: interessa solo leggere (e commentare) estratti di migliaia di pagine di intercettazioni telefoniche.
Il problema, sia chiaro, non è legato alla validità delle intercettazioni come mezzi di ricerca della prova, previste dagli artt. 266-271 del nostro Codice di Procedura Penale: il problema è ben altro ed investe uno dei cardini della nostra democrazia classica ed occidentale, ovvero tutelare la dignità e la libertà morale anche di persone indagate che “non sono considerate colpevoli sino alla condanna definitiva”.
“Il Grande Fratello di Gorge Orwell a confronto era un cartone animato”, ha tuonato Paolo Guzzanti all’interno della sua rubrica nell’ultimo numero di “Panorama”: centinaia di persone -molte delle quali non entreranno neanche minimamente all’interno dell’eventuale processo penale- sono state letteralmente sbattute in prima pagina, ascoltate nelle loro comunicazioni telefoniche, additate come gli untori di ogni malattia trasmissibile. Insomma, basta essere stati intercettati -anche per una innocente telefonata, che nulla avrà a che fare con l’indagine penalmente rilevante- per subire l’onta mediatica! “E’ da un anno” -evidenzia ancora Guzzanti- “che la Magistratura consente che vadano al macello tutti, a ondate: banchieri e calciatori, politici e consorti, affaristi e principi senza princìpi, amanti e abbandonati, talvolta soltanto miseri cialtroni da gita aziendale. Il fatto è che ciò che succede in Italia non succede nella stessa misura in nessuna altro Paese”. La verità, drammatica ed allarmante, per un Paese che dovrebbe essere civile, è che nella nostra Italia dilaga un virus ancor più letale, originato da quella pruriginosa voglia di sapere ad ogni costo tutto di tutti, meglio ancora se si tratta di politici e banchieri, calciatori e vallette, principi e soubrette di periferia improvvisamente balzate agli onori della cronaca solo perché… Nel 1890, a Boston, i giuristi Warren e Brandeis vergarono il primo articolo che sta alla base di tutta questa lunghissima vicenda: The Right to Privacy. Sono passati 116 anni, le democrazie occidentali -quelle vere- tutelano la riservatezza come un valore costituzionalmente garantito, corollario indispensabile per la tutela di quelli che noi giuristi definiamo diritti personalissimi. Anch’io, caro Guzzanti, vorrei sapere “che fine ha fatto la privacy” !
Eco di Basilicata anno V° n. 13- 30 Giugno ‘06
Egidio Lorito Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.