Ci sono pezzi che mai uno vorrebbe scrivere: o almeno che vorrebbe posticipare nel tempo il più possibile. E queste righe fanno parte della prima categoria: le scrivo con estrema commozione, con disagio personale ed umano, ma il mio ricordo non poteva mancare. Il 14 settembre scorso, Vittorino D’Alessandro aveva tenuto la relazione durante la presentazione del mio “Tracce di Calabria”, organizzata dalla Biblioteca Comunale di Lagonegro, nell’ambito dei “giovedì culturali”, egregiamente coordinati da Giuseppe Grezzi.
Quella sua prolusione, affettuosa e sentita, traboccava di dotte citazioni, di richiami classicheggianti, di continui collegamenti tra Lucania e Calabria, terre sin troppo vicine per noi che sul loro confine geografico viviamo. Me l’aspettavo -detto sinceramente- un tipo di accoglienza come quella riservatami: e non tanto per le Sue qualità culturali, umane, professionali: non solo, almeno. Me l’aspettavo -soprattutto- per gli antichissimi legami che univano la sua famiglia alla parte paterna della mia -quella lucana- per tutta una lunga serie di vicissitudini accadute praticamente durante tutto il ‘900. Sarebbe troppo lungo e troppo personale ripercorrere questo forte legame: ma quando avevo posto in calendario la presentazione di quel mio scritto, il nome di Vittorino D’Alessandro già campeggiava tra i moderatori e così è stato. Avevo saputo immediatamente delle sue non buone condizioni di salute e temevo che ciò mi avrebbe privato di quell’autorevole oratore che, invece, era riuscito a mantenere fede a quell’impegno, paterno, oltre che culturale. Tre mesi esatti dopo, orario compreso -strano davvero il destino!- mi sono ritrovato a partecipare alle sue esequie: alla gioia del precedente appuntamento di fine estate si era sostituita, ora, un’amarezza fin troppo viva, una partecipazione doppiamente sincera. A quella commozione settembrina se ne era sostituita una più profonda, che mal si conciliava con lo scintillio delle luci natalizie appena fuori la Chiesa Madre. Sinceramente ricorderò per sempre la prima, con il mio relatore dare forza al Suo inconfondibile timbro vocale che lodava quelle pagine “utili per una conoscenza più precisa e profonda della nostra terra, delle radici della nostra civiltà e della nostra cultura, dei problemi atavici di una realtà che ci appartiene e che non sempre conosciamo”. Di quell’incontro culturale conservo un’affettuosa relazione, una serie di immagini impresse su carta fotografica e la commozione -tutta gioiosa- di aver avuto, al mio fianco, un intellettuale che come me amava questo territorio…
Eco di Basilicata anno V° n. 23
Egidio Lorito