C’è un errore di fondo che caratterizza la conoscenza del nostro Sud ed in particolare della realtà calabro-lucana: quello di considerare queste regioni, tipicamente mediterranee, esclusivamente come realtà di mare, di spiagge assolate, di temperature perennemente estive;quasi l’appendice europea delle coste del continente africano. Insomma il vecchio stereotipo che vuole il Mezzogiorno d’Italia solo mare e spiagge. Ma non è così. La lunga dorsale appenninica regala, al contrario, un territorio per buona parte montuoso e collinare, con aspetti non molto distanti dalle più note realtà alpine: insomma, la montagna ed il suo complesso sistema è scesa fino a noi per impreziosire ancor di più un paesaggio per molti versi unico, grazie a quell’incomparabile mix mare-monti, che fa del nostro territorio quasi un unicum nel più ampio e già affascinante paesaggio italiano.

Pur essendo nato in riva la mare ed aver abitato in due realtà marine per eccellenza, mi considero un buon conoscitore della montagna, non foss’altro per il fatto di frequentarla praticamente da sempre, di conoscere alcuni dei più autorevoli esperti della materia e di scrivere di montagna. Già la scrittura: esattamente come per il mare, anche la montagna non può essere semplicemente scritta, descritta e fotografata, perché poi non si potrà mai capire quell’intimo messaggio che essa reca, naturalmente pronta a dispiegarsi alla conoscenza collettiva, pubblica. La montagna, però, a differenza del mare, almeno nell’accezione collettiva, riesce a mantenere serbato qualche segreto in più: sarà per la minore accessibilità, per il fatto di dover comunque avvicinarsi ad essa dovendo per forza di cose allontanarsi dalla quotidianità;sarà perché essa mantiene ancora -e speriamo per molto- quell’alone di mistero capace di preservarla. Per non parlare di tutto quell’apparato faunistico-floreale che essa contiene: chi ha mai provato a sostare, anche per qualche minuto, sotto la romantica chioma di un Pino Loricato del Pollino o ai piedi di uno di quegli alti e snelli pini silani -I Giganti del Fallistro, ad esempio- al cui cospetto noi esseri umani sembriamo regredire al ruolo di nani. O perdersi nel silenzio assordante di un bosco, ammirare gli scintillanti colori che incendiano la stagione autunnale, lasciarsi incantare dal fiabesco paesaggio di una foresta innevata, farsi accarezzare dal vento su una cima. Francesco Bevilacqua, della cui amicizia mi onoro, dopo aver percorso a piedi 25.000 chilometri sulle montagne calabresi, mi confida di aver trovato il suo luogo dell’anima: dove la montagna è bellezza assoluta, accanto ad abeti, lupi, elfi e folletti. C’è da credergli!

Eco di Basilicata anno V° n. 19
Egidio Lorito

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