A tu per tu con...
“Rilevava John Cage che "se cerchiamo di essere in sintonia con la vita, dovremmo nelle cose cercare la totalità e non la parzialità: se nel mondo si ricerca soltanto la parte invece del tutto, ci si espone al rischio di coltivare simpatie e antipatie; se si presta attenzione, per esempio, soltanto alla periodicità, in musica, si finisce per apprezzare il jazz o il rock e per escludere quegli altri suoni che esistono attorno a noi";la musica è oltre i generi che pur ne hanno caratterizzato la complessa vicenda storica.
Aveva ragione Cage: essa è oltre la legge della parzialità, perché ricorda l’origine da cui ogni distinzione, e dunque parzializzazione, sono insieme rese possibili e destituite. La musica è infatti il linguaggio dell’innocenza”. Massimo Donà è Ordinario di Filosofia Teoretica alla Facoltà di Filosofia dell’Università “Vita-Salute” San Raffaele di Milano: per Supernova, pochi mesi fa, ha pubblicato “Dell’arte in una certa direzione. Appunti su Guido Sartorelli”, mentre per Bompiani ha già pubblicato “Filosofia della musica” (2006), “Serenità. Una passione che libera” (2005), “Magia e Filosofia” (2004), “Sulla negazione” (2004), “Filosofia del vino” (2003);per l’editore Città Nuova, il recente “La libertà oltre il male. Discussione con Pietro Coda ed Emanuele Severino” (2006), “Aporie platoniche. Saggio sul “Parmenide” (2003), “L’uno, i molti. Rosmini-Hegel, un dialogo filosofico” (2001);per La Città del Sole, il saggio “Aporia del fondamento” (2000);insieme a Massimo Cacciari, per la Raffaello Cortina, ha dato alle stampe “Arte, tragedia, tecnica” (2000), mentre risale al 1992 “Sull’assoluto. Per una reinterpretazione dell’idealismo hegeliano”, uscito per i tipi dell’Einaudi;nel 1987, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, aveva esordito con “Le forme del fare” sotto l’editore Liguori. Filosofo ma non solo: è un musicista che ha già inciso quattro compact disc. Raggiungo a Venezia questo brillante filosofo, allievo di Emanuele Severino e Massimo Cacciari dei quali, dopo la permanenza a nella città lagunare, ha seguito le tracce a Milano, presso la “Vita e Salute” del San Raffaele, istituzione scientifica voluta da Don Luigi Verzè: l’ho conosciuto, insieme al collega Andrea Tagliapietra, presentando Luciano De Crescenzo e Piergiorgio Odifreddi (amici e prossimi ospiti di questa rassegna) discutendo di pressappochismo e menti straordinarie (i titoli delle pubblicazione di questi ultimi due) e discutendo di tecnica con il suo Maestro durante un’indimenticabile serata di fine luglio, innanzi ad una platea numerosissima, attenta -con moltissimi giovani- accorsi ad ascoltare -sono parole di Massimo Cacciari- “uno dei giganti della filosofia del ‘900”, Severino, appunto. Convegni e seminari lo hanno visto a lungo protagonista nel corso degli anni ’80 in diverse città italiane: alla fine di quel decennio lo ritroviamo collaboratore di Cacciari presso la Cattedra di Estetica e coordinatore dei seminari veneziani dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici;parallelamente si muove verso la ricerca artistica che lo porta a collaborare con la rivista di architettura “Anione-Zeto” della quale dirige la rubrica “Theorein”, oltre a fondare -sempre con l’attuale sindaco di Venezia ed il collega Romano Gasparotti- la rivista Paradosso. Dal mio incontro estivo è nata una bella amicizia, una frequentazione culturale che prevede, anzi pretende, il “tu”, non foss’altro che per il titolo di questa nuova conversazione. Quando nasci come filosofo? “Nel 1981, dopo aver discusso la mia tesi di laurea con Severino, a Venezia: da quella tesi è nato sia il mio primissimo libro, dal titolo “Il bello… o di un accadimento. Investire nell’opera d’arte” che la mia intensa collaborazione con il filosofo bresciano, sino all’incontro con Massimo Cacciari che mi ha cooptato sempre a Venezia dove insegnava Estetica all’Istituto Universitario di Arti Visive: quel primo percorso ha avuto come primo esito una pubblicazione datata 1987, Le forme del fare, (Liguori);insieme a noi c’era anche Romano Gasparotti, con cui avrei curato tutta l’opera di Andrea Emo, uno dei più autorevoli studiosi di filosofia -anzi filosofo- del Novecento, che avrebbe accompagnato la mia attività di ricerca praticamente sino ad oggi. Fu proprio Cacciari ad avvicinarmi a questo filosofo, visto che era venuto in possesso -dalla vedova di Emo- dei suoi quaderni: un vero tesoro tra le mani, una miniera di straordinarie intuizioni. Emo era un nobile che amava rifugiarsi nel suo studio a scrivere ed elaborare uno dei più colti fondamenti del pensiero del secolo appena passato: il lavoro di ricucitura e di stampa degli scritti, prima con la Marsilio, poi con la Raffaello Cortina, ci ha permesso di pubblicare uno dei pensatori più arguti del nostro tempo. Da parte mia, insegnavo nei Licei e poi Estetica all’Accademia delle Belle Arti: dalla seconda metà degli anni ’90, ho frequentato Macerata e poi Venezia, sino alla chiamata -dopo il mio ordinariato in Filosofia Teoretica- al San Raffaele di Milano, dove sempre Cacciari, intanto, era divenuto Preside della nuova Facoltà di Filosofia”. Insomma, nella vita di questo simpatico veneziano, come vedremo amante della musica, sono apparsi due maestri come Severino e Cacciari ed un nobile dotto come Emo, senza dimenticare il napoletano Vincenzo Vitiello: “bella immagine…un bresciano, un veneziano ed un napoletano che mi hanno folgorato sulla strada della filosofia: in effetti devo a loro tutta la mia ricerca filosofica, le mie riflessioni, la mia vita a contatto con la Filosofia e la cosa sorprendente è che proprio uno studioso meridionale come Vitello ha poi contribuito a sistemare e sintetizzare il rapporto con gli altri due, visto che ha fatto da tramite tra l’attenzione al testo e la fantasia di Cacciari ed il poderoso rigore scientifico di Severino. Insomma, nel mio pensiero filosofico, le basi corrono nel lombardo-veneto con il vertice ben saldo a Napoli…E come dimenticare Carlo Sini e Roberto Esposito che si sono prodigati in consigli che ho recepito come una spugna”. Caro Massimo, da questa prima parte della nostra conversazione, emerge un autore effettivamente attratto dalle proprie ricerche, dall’oggetto delle sue speculazioni che ora ci restituisce in una precisa catalogazione sistematica: “direi che sono due i filoni centrali della mia riflessione: da un lato quella strettamente teoretica, speculativa, ontologica, insomma della ricerca dei fondamenti dei principi della riflessione filosofica, che poi arriva anche a spaziare verso la teologia -nel cui ambito dirigo anche molte delle mie ricerche- e la metafisica: ricordo una mia pubblicazione del 1992, sotto Einaudi, ovvero “Sull’assoluto. Per una reinterpretazione dell’idealismo hegeliano”, nella quale ho posizionato le basi della mia riflessione. L’altro versante corre verso l’estetica e non è un caso che io sia anche un musicista che guarda alla musica come ad una delle forme più esaltanti della manifestazione artistica: qui si situano anche le mie performance musicali sfociate in ben quattro cd, nei quali ho dato sfogo alla mia passione per la tromba”. C’è anche un Donà musicista, allora? “Ho il mio quintetto jazz, per cui è evidente che l’arte in senso assoluto, la musica in senso relativo, hanno sempre esercitato su di me una forte attrazione: ecco la ricerca che porto avanti nel campo estetico. Ed è a questo linguaggio originario, quello della musica -appunto- che guardo nel tentativo di seguirne i variegati e affascinanti percorsi, cercando innanzitutto di cogliere le diverse vocazioni cui essa è di volta in volta riuscita a dar voce, rimanendo pur sempre fedele al valore di verità di quel suono anteriore alla musica in senso proprio, cui anche un artista come John Coltrane -secondo la testimonianza della moglie, la pianista Alice, che proprio qualche giorno fa si è spenta a Los Angeles all’età di 69 anni- mirava in ogni sua sperimentazione musicale. Come dimenticare che da sempre gli umani hanno cantato la propria condizione, consapevoli di doversi responsabilizzare in primis di fronte al mistero di un linguaggio, come quello musicale, assolutamente unico in quanto inspiegabilmente immune rispetto al potere spesso devastante del giudizio logico, ovvero della sua irredimibile parzialità. Né posso dimenticare l’attrazione per uno straordinario genio come Magritte, sul quale ho pubblicato di recente uno scritto: grandi riflessioni, grandi passioni che hanno animato artisti ed intellettuali durante le loro elaborazioni artistiche. La musica e la pittura rappresentano momenti di spettacolare esternazione artistica…” Ecco Donà musicista, dunque: dopo il giovanissimo esordio con Giorgio Gaslini ed Enrico Rava, può contare sul suo primo gruppo, i Jazz Forms, di cui è leader con Maurizio Caldura: è partito a sviluppare il suo linguaggio trasformando l’idioma pop dei primi anni attraverso una lettura ben più articolata nella quale rientrano elementi del rock e di molte altre esperienze etniche maturate nel tempo con altri gruppi. Tutto ciò lo ha portato ad esibirsi anche dal vivo con un sestetto in cui ad accompagnarlo erano una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni ed una tastiera. Ecco nascere il Massimo Donà Sextet che si è esibito con musicisti che sarebbero poi diventati protagonisti della scena musicale italiana per non parlare -addirittura- di alcune jam sessions che lo hanno visto impegnato assieme ad alcuni padri storici del jazz come Dizzy Gillespie, Marion Brown, Dexter Gordon e Kenny Drew. Dal 2001, Donà ha ripreso a suonare professionalmente con il nuovo Massimo Donà Quintet con il quale si è esibito in Italia ed all’estero incidendo ben quattro cd, “New Rapsody in blue” (Caligola Records 2002), “For miles and miles” (Caligola Records 2003);“Spritz” (Caligola Records 2004) e “Cose dell’altro mondo” (Caligola Records 2006). Come se non bastassero le sue incursioni nel mondo dell’arte sonora, nel 2003 Donà ha pubblicato un testo che, per l’argomento affrontato e le successive dissertazioni, ben gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “filosofo del vino”: in quell’anno esce infatti, per la Bompiani, “Filosofia del vino”. Massimo, hai dissertato sul vino, il nettare degli dei! “ebbene si: sono sempre più convinto che sia quanto mai necessario mettere la filosofia alla prova con le questioni del vivere quotidiano, con le tante sfaccettature della vita di ogni giorno;la filosofia non parla di un mondo fantastico, di aspetti del tutto distinti e distanti dalla vita di ogni uomo -o meglio, anche di questi aspetti, ma solo in una componente marginale- ecco perché ho avuto l’occasione di affrontare un tema che è sempre stato vicino alla speculazione filosofica, quello dell’ebbrezza: in ciò ho ripreso quella straordinaria intuizione di Giulio Giorello, insigne Filosofo della Scienza a Milano (prossimo ospite di questa rubrica: n.d.a.) che tra i mille interessi filosofici, con il suo agile modo di muoversi tra i saperi della contemporaneità umana, ha senz’altro contagiato anche molta della mia analisi contemporanea;ebbene, Giorello mi ha accompagnato -in questo viaggio tra enoteche, sapori ed odori del vino- anche nel ragionamento che fosse venuto il momento di iniziare ad indagare sull’intimo legame che si crea tra gli uomini ed il vino, per cogliere il perché di questo rapporto che risale alla notte dei tempi. Alla casa editrice Bompiani il progetto piacque, ed ecco la pubblicazione del saggio che ancora vende in libreria, facendomi così conoscere ad un pubblico di non addetti ai lavori, cioè di filosofi, se è vero che successivamente sono stato più volte invitato a seminari e convegni sulla produzione vinicola italiana e ad inaugurazioni di vendemmie! Ho analizzato la vita quotidiana di molti produttori di vino e delle rispettive case vinicole, in tutte le fasi della produzione che, non lo dimentichiamo, rappresenta una voce non trascurabile dello stesso prodotto interno lordo italiano;mi sono, in pratica, calato nelle vesti sia del produttore che del consumatore del prodotto finale e mi sono reso conto che, per quanto riguarda il vino, vi sono aree del nostro Paese -quelle classiche, che conosciamo come i sentieri del vino- nelle quali la produzione vitivinicola non è solo una vice economica, quanto un vero e proprio stile di vita che si tramanda di generazione in generazione. Ecco, ho utilizzato la metafora del vino, che segna le stagioni dell’uomo, per indagare sull’incedere del tempo, sulla vita che passa, sulle occupazioni degli uomini: un po’ come si faceva nell’antica Grecia, dove le faccende umane mai erano separate dall’analisi filosofica. Ne è venuto fuori un processo storico che parte dal passato e vede, ancor oggi, l’uomo protagonista assieme ad una sostanza -il vino, appunto- con cui il legame è ben più profondo di quello che possa immaginarsi, perché contribuisce a creare quello stato di serenità cui aspiriamo”. Nel 2005 Donà pubblica “Serenità. Una passione che libera” (Bompiani) in cui analizza un altro passo fondamentale: “mi sono chiesto più volte se le persone, la gente della strada, quelli che incontro ogni giorno tra Milano e Venezia, sapessero effettivamente cosa fosse la serenità e come la si potesse conquistare: tutti evochiamo -anzi, invochiamo- questa passione, soprattutto quando il nostro stato non è dei migliori: e non occorre essere dei filosofi per approcciarsi a questo tema. Noi non siamo mai soli al mondo e non facciamo difficoltà a verificare la costante ricerca di serenità collettiva, comunitaria, in una parola politica e non solo individuale. Le incursioni di questo libro sono state numerose, dalla politica, alla storia, alla sociologia. Che dire: buona ricerca della serenità a tutti!”
La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 27/01/2007