A tu per tu con...
Anno scolastico 1980/81: ero impegnato ad affrontare la prima classe della Scuola Media. Il volume di geografia si apriva con un’introduzione che invitava noi giovanissimi a studiare l’Italia partendo dalla sua prospettiva aerea: “eravamo sulla verticale di una delle estreme punte meridionali dell’Italia, il Capo Vaticano, in Calabria. Osservando il panorama sotto di noi, mi ricordai di una stampa antica, vista in un libro consultato prima del viaggio; l’artista che l’aveva disegnata mostrava quello stesso luogo che ora sorvolavamo come se lo avesse visto dall’alto, con le sue rocce a piombo e il mare tutt’attorno. Stampa antica e scena da filmare: in quel momento non facevamo altro che realizzare una vecchia aspirazione dell’uomo.
Vedere nel suo insieme, dal cielo, il mondo in cui viviamo, un mondo che siamo costretti a conoscere sempre dallo stesso angolo, quello terrestre e invece vorremmo conoscere nel suo insieme geografico e umano. Le antiche stampe, che erano delle vedute a “volo d’uccello”, esaudivano solo in parte questo sogno: è la ripresa aerea con l’elicottero che ha reso possibile oggi disegnare la vasta mappa vivente del nostro mondo”. Quel volume, “Uomo Ambiente” (Minerva Italica, 1979) recava, oltre a quella di Antonio Sartori, la prestigiosa firma di Folco Quilici: oggi, poco meno di ventisette anni dopo e all’indomani dell’ultimissima fatica editoriale (Si, Viaggiare, con Corrado Ruggeri, Mondadori, 2006), incontro questo monumento della geografia per immagini, questo viaggiatore tra cielo, terra e mare, autore e regista di mille e più documentari, cortometraggi, riprese dalle zone più sperdute del pianeta Terra. Insomma, come già accaduto per altre branche del sapere umano, ho il pregio di conversare con l’autore di quelle pagine di geografia che tanta passione accesero nella fantasia di noi giovanissimi che nell’anno scolastico 1980-81 ci avvicinavamo ad una nuova fase della formazione culturale. Lo contatto durante le ultime vacanze natalizie, mi indica dove raggiungerlo e parte una lunga conversazione nella quale la nostra Calabria -che è anche la sua Calabria- diviene ben presto protagonista assoluta: “sono un giornalista, scrittore e cineasta che se ne è andato in giro per l’Italia ed il mondo a cercare delle testimonianze naturali e culturali, a saggiare le grandi tradizioni umane e ad osservare come tutto ciò sia cambiato nell’ultimo cinquantennio: anzi, ormai sono sessanta anni che viaggio senza sosta! Mi chiedi quando ho cominciato? Praticamente da bambino, perché con un padre storico e giornalista ed una madre pittrice, non mi è stato difficile immergermi in un’atmosfera in cui la natura era protagonista assoluta: un’atmosfera che trovavo all’interno dell’uscio di casa mia”. Nato a Ferrara nel 1930, Folco Quilici conosce come pochi altri al mondo quella complessa realtà geo-umana che è la Terra: le sue immagini, dedicate al rapporto tra uomo e mare, sono state distribuite in ogni angolo dell’orbe terracqueo ed hanno contribuito a svelare le meraviglie che ancora oggi affascinano i sensi di noi mortali: Sesto Continente (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), Ultimo Paradiso (Orso d’Argento al Festival di Berlino del 1956), Tikoyo e il suo pescecane (Premio Unesco per la Cultura del 1961), Oceano (Premio Speciale al Festival di Taormina del 1971 e Premio David di Donatello 1972), Fratello Mare (Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino di Cartaghena, 1974) e Cacciatori di navi, 1991 (Premio Umbria Fiction, 1992), sono pilastri della divulgazione scientifica ed ambientale, perle di rara bellezza capaci di catturare lo spettatore ed “immergerlo” direttamente sotto quella cristallina componente vitale che è il mare. Nel 1971 la nomination all’Oscar per Toscana, uno dei quattordici episodi del ciclo L’Italia dal cielo, cui parteciparono nomi di assoluto prestigio come Calvino, Sciascia, Silone, Praz, Piovene, Comisso: senza dimenticare, nel campo della cinematografia culturale, numerosissimi programmi televisivi realizzati in Italia ed all’estero, da Tre volti del deserto del 1957 a Di Isola in Isola di un paio d’anni fa. Il Mediterraneo e la cultura europea sono stati il luogo fisico e di pensiero in cui Quilici ha ambientato i film della serie Mediterraneo e L’Uomo europeo: in quell’occasione, un prestigioso storico come Fernand Braudel ed un capo-scuola dell’antropologia come Levi-Strass lo accompagnarono alla ricerca delle radici storico-umane del Vecchio Continente; e come dimenticare le due serie dedicate all’archeologia subacquea che lo hanno visto affiancato all’illustre archeologo Sabatino Moscati, Mare Museo, 1988/1992 e Fenici, sulle rotte di porpora, 1987-1988. Poi la produzione, con l’archeologo George Vallet, de I Greci d’Occidente, sino alla ricostruzione storica, in 65 film, de L’Italia del XX secolo, che lo ha visto affiancarsi a storici del calibro di Renzo De Felice, Valerio Castronovo e Pietro Scoppola. Macchina da presa e macchina fotografica: gli strumenti per raccontare il Mondo? “La fortuna del viaggiatore del secolo scorso e di questi primi anni del nuovo -rispetto a quelli dei secoli passati- sta tutta nella possibilità di aver potuto documentare con immagini i luoghi visitati: in passato c’era l’illustrazione, il disegno, ma tutto era alquanto limitato. Se poi uniamo la duttilità di un mezzo di trasporto come l’elicottero, allora cogliamo con pienezza questa singolare capacità: lo sguardo dall’alto è un vecchio sogno dell’uomo-viaggiatore, perché se noi analizziamo le innumerevoli stampe, incisioni, quadri, affreschi dei tempi andati, balza evidente che cercano di rappresentare il globo o singole regioni dalla particolare prospettiva aerea, come se l’uomo avesse sempre cercato di innalzarsi al di sopra dei propri passi e regalare una visione dal cielo ai propri viaggi di scoperta. Erano le vedute “a volo d’uccello” cui abbiamo già fatto cenno, ma la prospettiva aerea massima poteva realizzarsi dalla cima di una montagna: c’era molta immaginazione”. Alla vigilia della scorsa estate, Quilici ha pubblicato “Si, viaggiare. Come, quando, con chi, perché”: con l’apporto di Corrado Ruggeri, caporedattore del “Corriere della Sera” e viaggiatore per passione e per lavoro, ci ha offerto la particolare prospettiva di “due viaggiatori per passione e professione, due che il mondo l’hanno visitato, conosciuto, vissuto: due con cui se si fa il gioco di puntare il dito a caso su un mappamondo, ecco, loro ci sono stati. Ed in effetti, sarebbe bello, perché prima di partire si potrebbe chiedere dove vale la pena andare, quali sono le destinazioni davvero belle anche fuori dai cataloghi delle agenzie, i percorsi per trovare tradizioni ed emozioni reali e non Disney etniche per turisti in serie. Si potrebbe farsi consigliare angoli ancora nascosti in mezzo a luoghi dati per scontati, hotel nei quali le notti sono magiche e le camere con vista, piccoli trucchi per evitare sorprese poco piacevoli. Si potrebbe, infine, restare ad ascoltarli per ore, farsi caricare sulle loro storie di viaggio come su un tappeto volante e partire, almeno e intanto, con la fantasia. Il libro è tutto questo e qualcosa in più: è una miniera di suggerimenti da mettere in valigia per evitare rischi e delusioni, di itinerari da preparare ed immaginare, di riflessioni argute per turisti davvero intelligenti. Ma è anche, come suggerisce il titolo, un invito a mettere da parte pigrizie, paure e preconcetti, liberare i propri desideri di evasione e scoperta e, senza più indugi, viaggiare”. A questo punto, Quilici, non posso non chiederLe come sia cambiato il modo di intendere il “viaggio” nel costume del nostro Paese! “E’ molto cambiato, eccome: prima era un privilegio che apparteneva ai mercanti, alle persone facoltose o a chi lo intraprendeva per professione, ma la grande massa della popolazione non viaggiava assolutamente. All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando ero ragazzo, la stragrande maggioranza degli italiani non aveva visto il mare: forse ci sono ancora oggi, ma sono degli anomali: ai tempi della mia gioventù, chi abitava al mare non poteva che immaginare le Alpi ed i valligiani non si erano mai bagnati nelle acque patrie, nonostante l’Italia abbia l’invidiabile caratteristica di avere il mare quasi fuori l’uscio di casa…”. Se è cambiato il costume nazionale, il particolare modo di approcciarsi al viaggio, immaginiamo come sia mutato il paesaggio italiano: e Folco Quilici, questo, lo sa bene, lui che da sessant’anni osserva -preferibilmente dall’alto- coste e montagne, rive e fiumi, laghi ed agglomerati urbani: “si possono registrare due cambiamenti, uno purtroppo negativo, bilanciato da un altro che presenta caratteri fortunatamente vantaggiosi: innanzitutto si è avuta una riduzione delle zone pianeggianti nelle quali veniva praticata l’agricoltura a favore di aree industriali, con un indubbio danno all’equilibrio ecologico: la natura ha dovuto subire un impressionante impatto laddove, per secoli, non si intravedevano che animali ed ambiente incontaminato: insomma, è stato compromesso quello che comunemente chiamiamo equilibrio ecologico. Per un altro verso registriamo da almeno un quindicennio a questa parte paralleli vantaggi dovuti alla presa di coscienza da parte della collettività delle problematiche ambientali: da qui, la crescita delle aree protette come parchi nazionali e regionali, riserve orientate, aree marine. Ed anche la natura, da par sua, si difende: forse pochi sanno che il verde, nel nostro Paese -sotto forma di zone boscate- è cresciuto del 10% negli ultimi cinquant’anni. Nuove regole e nuova coscienza civica sembrano far sentire benefici effetti!” Mentre Quilici, dall’altra parte del telefono, racconta il suo intimo rapporto con la natura ed il paesaggio, ancora mi scorrono sotto gli occhi cifre e dati della sua impressionante attività pubblicistica: dal 1971 al 1989 ha diretto e curato, per Rai 3, la rubrica Geo, per ricevere, poi, innumerevoli premi internazionali per il suo impegno in favore della televisione culturale. Dal 1954, parallelamente all’attività cinematografica, ha pubblicato numerose opere di saggistica, tra cui Sesto Continente (1965), Il mio Mediterraneo (1992), La mia Africa (1992); per la narrativa, Cacciatori di navi (1985), Cielo verde (1997), Naufraghi (1998), Alta profondità (1999). Imponente pubblicistica seguita da meritati premi: nel 1955 il Premio Marzotto di Letteratura per “Sesto Continente”, Il Premio Malta nel 1981 per “Mediterraneo”, Il Premio Fregene nel 1985 per “Cacciatori di navi”, il Premio Estense nel 1993 per “Africa”, il Premio Scanno per “Mar Rosso”; nel 1997, il Premio Internazionale Cultura del Mare, nel 2000 il Premio Tridente d’Oro alla Carriera dall’Academia delle Arti della Scienza Subacquea, nel 2002 il Premio Neos dall’Associazione Giornalisti di Viaggio. E poi gli articoli per la stampa nazionale ed internazionale: dal 1954 per Life, Epoca, Panorama, Europeo, La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Giornale. Ed anche qui, premi e riconoscimenti: Medaglia d’Oro per meriti culturali conferita dal Presidente Sandro Pertini, “Penna d’oro” nel 1994 per i servizi dall’America Latina, “Premio Campidoglio alla carriera per il giornalismo culturale” nel 1997. Insomma, il mondo visto e conosciuto grazie alle sue immagini, ai suoi reportages, alle sue riprese. “(…) L’elicottero, che ci porterà da un punto all’altro di Basilicata e Calabria, si posa accanto a poi, sul Pollino; ci evita la discesa a piedi, forse più faticosa della salita dopo un giorno intero passato ad inerpicarci tra rocce e tronchi per registrare nella memoria e nelle nostre fotografie immagini di questo ambiente di una così singolare atmosfera (…)”. Gli ricordo queste poche righe che fanno bella mostra di sé in quel corposo “Calabria e Lucania, riserva verde nel Mediterraneo (Scheiwiller, Milano, 1992) e Folco Quilici sembra quasi cambiare il tono della voce: “purtroppo è un po’ di tempo che non scendo nella tua Regione: la vedo molto dal mare durante le mie veleggiate lungo il Tirreno meridionale e soffro sempre per la “jattura” di questa terra: non è colpa soltanto dei calabresi, sia chiaro, ma anche di chi trasformava l’Italia nell’ Ottocento e mi riferisco principalmente a quella rete di costruzioni di strade e ferrovie lungo costa. La costa jonica, a mio avviso, si presenta come un unicum in Europa: non ci sono fiumi e grandi città che la inquinano e con le sue spiagge, il verde che arriva sino in spiaggia, con le montagne alle spalle ed un mare ancora pulito come lo Jonio -il tratto più pulito dell’intero Mediterraneo!- poteva diventare un paradiso terrestre. Ebbene, questa costa appare compromessa da un proliferare di costruzioni in gran parte abusive, contro le quali nessuno fa nulla ed il turista che scende dal Nord pensando di trovare il Paradiso, si imbatte -invece- in un paradiso perduto. Questa è la realtà che più mi fa male della Calabria!”. Intanto Lei si appresta a partire per la Cina…“Sto realizzando le riprese per un film ambientato sul viaggio intrapreso in questo Paese, alla fine del ‘500, da Matteo Ricci, un missionario gesuita, ambasciatore dell’Europa: all’epoca poco o nulla si sapeva della Cina, anzi si riteneva che le cronache scritte da Marco Polo fossero inventate e Ricci, per ben undici anni, scrisse, inviò le sue relazioni squarciando il velo di assoluta ignoranza che gravava su quel Paese; basti pensare che proprio quel viaggiatore del ‘500 inventò il primo calendario cinese, facendo capire a quel popolo di non essere solo al mondo, arrivando addirittura a disegnare ed incidere su legno, per conto dell’Imperatore, la prima carta geografica del Mondo: Matteo Ricci è considerato il padre della Cina moderna”. Ma ancora risuonano nella mente quelle parole, quelle immagini, quei voli sulla Calabria: “lo Stretto era l’ultima tappa del nostro viaggio, la tappa più a Sud. Il colore non più brillante del mare ci ricordava il cambio prossimo di stagione, la fine del nostro lavoro. Risalendo verso Nord, il rosso bruciato dei boschi dell’Aspromonte già annunciava l’autunno”.
La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 03-03-2007