A tu per tu con...

“Grande studioso di Giordano Bruno, Ordine invita a un affascinante dialogo tra ricerca estetica e riflessione filosofica”. Le Mond è un rigoroso e sobrio quotidiano francese, uno dei giornali europei di riferimento, con 400.000 copie vendute al giorno. In questo modo, l’autorevole “media cartaceo” parigino ha accolto l’ultima pubblicazione di Nuccio Ordine, quarantottenne professore Ordinario di Letteratura Italiana all’Università della Calabria: “Contro il Vangelo armato. Giordano Bruno, Ronsard e la religione” (Raffaello Cortina Editore, 2007) reca la presentazione di Giulio Giorello e la prefazione di Jean Cérard. Era stato proprio Giorello, Filosofo della Scienza alla Statale di Milano, ad anticiparmi l’uscita di questa ricca pubblicazione, lo scorso gennaio, durante una puntata che lo aveva visto ospite di questa rubrica.

Conoscevo Ordine solo di nome: lo contatto ed il giovane studioso mi ospita nella sua antica dimora di Diamante; il tempo non è dei migliori, ma il fascino dei vicoli del centro alto-tirrenico, con tanto di murales appena fuori l’uscio di casa, è immutato, con quella prospettiva che rimanda direttamente al piccolo porticciolo. Intervisto un intellettuale calabrese molto apprezzato nella comunità scientifica internazionale… “La mia prima tappa è stata all’Università della Calabria: esperienza significativa, visto che per la prima volta noi calabresi avevamo la possibilità di studiare direttamente nella nostra terra, senza dover emigrare al nord o nelle storiche facoltà meridionali; la nascita di quest’Ateneo ha inciso molto nelle coscienze di noi giovani, considerato che ci veniva offerta l’opportunità di ritrovarci tutti assieme in un campus, esperienza del tutto innovativa in Calabria dove per l’assenza di fabbriche e di altre opportunità di aggregazione, l’Università ha subito rappresentato il centro di questa nuova fase. Il dibattito che ne seguì fu intensissimo, anche a livello politico: all’epoca ero un giovane militante di Lotta Continua ed anche a sinistra quest’opportunità veniva recepita con grande speranza. Insomma il dibattito fu incessante, con l’Università concepita anche come un cambio di mentalità: si viveva tutti assieme e lo stesso ritornare nei centri d’origine significava apportare energie vitali al tessuto socio-culturale delle nostre singole realtà; insomma, l’Università ha giocato un ruolo fondamentale nella nostra Regione”. E così Ti è scoccata la scintilla della ricerca… “Come negarlo! Nel Dipartimento di Filologia ebbi la fortuna di incontrare Giulio Ferroni, Dante Della Terza, Alfonso Berardinelli, Costanzo Di Girolamo, Ivano Paccagnella: un gruppo di agguerriti docenti con nuove idee che mi fecero appassionare allo studio della letteratura, amplificando una passione che già al Liceo, grazie ad un docente come Giorgio Franco -oggi preside- mi era esplosa: fu all’epoca che capii che il rapporto tra la letteratura e la vita non era solo di ordine culturale. Devo confidarti che la mia iscrizione a Cosenza fu dettata non solo dall’idea di laurearmi in Lettere, quanto anche di perseguire il sogno di “fare”, un giorno, il giornalista! All’epoca ero un giovanissimo corrispondente de “Il Giornale di Calabria”, con un rapporto strettissimo con l’allora direttore Piero Ardenti: un uomo di straordinaria cultura, un padre ed un maestro che teneva a che io continuassi su quella strada. Cosenza, in quella scelta, fu strategica, proprio in prospettiva giornalistica. Ma, come spesso capita nella vita, l’incontro con i docenti dell’Unical mi fece capire che la mia via non era quella del giornalismo quanto quella della ricerca accademica: sapevo, nonostante scrivessi su un quotidiano aperto e pronto al dialogo anche con l’allora sinistra parlamentare, che la stampa e l’editoria sono in genere soggetti a rivolgimenti di proprietà e non sarebbe stato difficile trovarmi nella condizione di non poter più scrivere liberamente. Sull’altro versante, la passione per la ricerca scientifica e la letteratura aumentavano sempre più e contro il parere dei miei docenti -che allora guadagnavano la metà di quanto percepivo io come giornalista!- abbandonai quell’esperienza per buttarmi in quella della ricerca che ha significato -per molti anni- un salto nel vuoto, dal punto di vista economico. Oggi, a distanza di un ventennio, credo proprio di aver avuto ragione perché -come spiego sempre ai miei studenti- nella vita ognuno di noi dovrebbe sempre cercare di fare ciò di cui è appassionato e quando poi riesce, quella felicità che viene dal proprio lavoro, non ha evidentemente prezzo. Ecco, non tornerei indietro per nessuna ricchezza…”. E dopo la Laurea? “Fui fortunato, perché istituirono, nel 1983, i concorsi di Dottorato: partecipai ad un terno al lotto, ero giovanissimo, con l’età media era altissima, considerato che si trattava del primo concorso: lo vinsi -erano appena quattro i posti- e fu così che iniziò la mia avventura all’estero; quella di una generazione che, come la mia, non aveva altra scelta che emigrare. Lo feci -destinazione Parigi- con una borsa del Cnr: approdai in città e mi imbattei con la prima traduzione di Giordano Bruno in francese. Alle mie domande, l’editore mi disse che era stato un certo Yves Hersand: insegnava all’Ecole des Etudes e nacque allora il progetto di tradurre tutte le opere del filosofo di Nola: progetto che fu accettato da Les Belles Lettres, presso cui lavoravo come direttore di collana -una delle più prestigiose case editrici per classici del mondo- e all’Università non avevo ancora un posto fisso. Fu allora che capii che la Francia era ben diversa dal nostro Paese: lì, i titoli accademici e le origini baronali contavano praticamente zero, mentre ciò che ti faceva apprezzare erano esclusivamente le ricerche, gli scritti e le pubblicazioni. Da quella prima collana, le traduzioni di Bruno oggi non si contano più: per fortuna, in Italia, quel progetto di ricerca venne sostenuto da un mecenate come Gerardo Marotta, illuminato presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: quello che ha potuto fare Marotta per le giovani generazioni di ricercatori del Mezzogiorno d’Italia rimarrà per sempre nella storia del nostro meridione: non avevamo interlocutori, lo Stato non ci garantiva nessun sostegno per la ricerca, erano anni difficilissimi, soprattutto quando si proveniva da famiglie che non potevano mantenerti per sempre agli studi. Fu dopo l’esperienza francese che vinsi -era il 1990- il concorso per ricercatore e due anni dopo il posto di Professore Associato. Sicurezza economica ed una nuova realtà scientifica mi si aprivano innanzi: continuai ad insegnare come Visiting Professor a Yale, a New Jork, Stanford, Brown, senza dimenticare le lezioni alla Sorbona, all’Ecole des Etudes, all’Istitute Universitee de France; continui rapporti con intellettuali che ho attivato ogni volta servissero per invitare in Calabria autorevoli personalità come George Steiner ed Umberto Eco e tanti grandi studiosi che frequentano la nostra terra”. “(…) Siamo entrati in merito al volume che Nuccio Ordine ha dedicato alla complessa rete di corrispondenze tra il filosofo Bruno e il poeta Ronsard: il titolo di un capitolo della prima versione è diventato titolo dell’intero libro in questa nuova veste: Contro il Vangelo armato e Ordine ci mostra che l’educatore alla Prudenzio è solo l’altra faccia del fanatico religioso che si nasconde dietro la puntigliosa esegesi del testo scritturale. I più svariati propugnatori del Vangelo armato sono accomunati non solo dalla commistione tra fides e religio, ma dalla presunzione di infallibilità e dall’ossessione pedagogica di volere plasmare gli altri a propria immagine e somiglianza. Parafrasando Ronsard, potremmo dire che costoro ci vogliono imporre di sognare i sogni concepiti da quelle che ritengono le loro indiscutibili autorità -si tratti di papisti o di ugonotti in terra di Francia- o di puritans nella remota Britannia. Sono insieme causa e sintomo di un morbo che produce in mondo ammalato, per usare un’ espressione di Bruno (…)”. Giulio Giorello, autorevole filosofo della Scienza alla Statale di Milano e curatore della Collana “Scienza e idee” per la Raffaello Cortina, presenta il testo di Ordine (a proposito, in questi giorni risulta tra i libri più venduti in Calabria!), una summa della passione del filosofo calabrese per Giordano Bruno: agli inizi degli anni Ottanta del Cinquecento, nell’ambasciata francese a Londra, Giordano Bruno e Michel de Castelnau condannano i fanatismi religiosi: il primo da filosofo, il secondo da diplomatico. Ma nello Spaccio de la bestia trionfante del primo e nei Mémoires del secondo, riemergono temi che vent’anni prima erano stati utilizzati dal poeta Ronsard contro papisti e ugonotti nei versi dei Discours des Misères de ce temps: ora, grazie ad un’analisi del dialogo bruniano, corredata da un ricco dossier iconografico, Nuccio Ordine colloca queste opere nel contesto storico, letterario, filosofico della corte dei Valois e mette a fuoco i rischi di qualsiasi fanatismo religioso: miti classici ed emblemi rinascimentali prendono nuova vita in un progetto radicale di riforma a un tempo cosmologica, morale e estetica. E se i testi di Ronsard illuminano l’opera di Bruno, il dialogo del filosofo invita ad una rilettura del poeta fondatore della Plèiade. Insomma, caro Nuccio, Giordano Bruno è una tua vecchia passione! “Un antico amore iniziato con la tesi: mi stavo laureando in letteratura Italiana con Giulio Ferrosi e mi fu proposto di curare una ricerca sul simbolo dell’asino nel Rinascimento. Tra il testo di Machiavelli e quello di Cornelio Agrippa di Nettesheim -De incertitudine et vanitate scientiarum- c’era anche Lo Spaccio della bestia trionfante e La Cabala del cavallo pegaseo: due dialoghi bruniani in cui l’asino assume un valore centrale. Iniziai a studiarlo, sempre in crescendo, perché la sua complessità e la sua modernità affascinavano sempre di più: dal 1982 ho avuto in mano le sue opere, spesso danneggiate dal mito, perché molti ne parlano ma pochi lo hanno effettivamente letto ed ancor meno studiato. Si cita il mito del rogo, si cita il grande mago ed il precursore della scienza, il fautore delle sette segrete, il liberatore di qualsiasi forma di religione: insomma, tutto e il contrario di tutto. Ora, la mia ricerca filologica su Bruno segna una tappa fondamentale: ho scelto dei temi e li ho sviluppati per dimostrare come nonostante la sua complessità, il filosofo di Nola è proteso verso la modernità. Ho pubblicato questa ricerca con la coscienza di trattare un tema di grande interesse, quello della religione, della lotta che Bruno e Ronsard portarono contro i fondamentalismi religiosi. Il loro punto di vista è chiaro: Ronsard, una delle personalità di maggior spicco della poesia europea, pubblica un pamphlet militante con cui colpisce da un lato i papisti, i cattolici radicali, e dall’altra parte gli ugonotti, i protestanti radicali: e Ronsard capisce che nei fanatismi si annida la distruzione della società civile e dello Stato, perché la lotta, in nome della religione, tra i riformati ed i cattolici, aveva portato la Francia sull’orlo di una crisi terribile. Bruno arriva a Parigi un ventennio dopo, con le Guerre di religione ormai esplose e sulla stessa lunghezza d’onda cerca di far capire che la funzione della religione non è quella di uccidere, di dare la morte, ma quella di unire, cementare, dare la pace. Per Bruno, la parola “religio” affonda la sua etimologia nel termine “religare”, cioè unire, tenere cementati: e capisce che la maniera migliore per eliminare i fanatismi religiosi è proprio quella di eliminare il terreno di coltura dei fanatismi stessi, ovvero la presunzione di possedere la verità assoluta. La rivoluzione cosmologica di Bruno, allora, sradica l’idea di verità assoluta: rivalutando Copernico lo supera, perché è vero che quest’ultimo aveva spostato il sistema da quello geocentrico e quello eliocentrico, ma è altrettanto vero che il suo rimaneva pur sempre un cosmo finito. Bruno, invece, una volta che la terra non è più al centro, suggerisce di immaginare il nostro sistema come uno dei tanti sistemi possibili all’interno di un universo infinito. E dov’è il centro nell’universo infinito? Non ci può essere centro nell’infinito, almeno nell’accezione assoluta: vi può essere un centro relativo e questo è l’individuo che osserva l’universo! Nella visione bruniana, l’oggetto più piccolo come l’astro più grande sono entrambi al centro dell’universo, come la formichina ed il sole che hanno pari dignità: la vita batte in entrambi e quando la formica guarda l’universo è come se fosse il centro dell’universo! Questa scoperta bruniana fa si che tutto si relativizzi: è benché oggi vi siano attacchi sferrati al relativismo, in maniera scomposta, tutto ciò dà un ritratto non vero. Essere relativista non significa negare i valori: significa negare i valori assoluti. Il fanatismo nasce quando sono convinto che la mia è la verità assoluta che, per il bene dell’umanità, devo imporre anche con la forza, con la violenza: e purtroppo, oggi, il fanatismo non è solo di tipo fisico, ma anche di tipo politico”. Nuccio, se ho capito bene, sembra ritornare la distinzione bruniana tra fede e filosofia! “La fede richiede il dogma, la filosofia richiede il dubbio: se io accetto alcune cose per fede, la scienza non può essere dominio della fede. Bruno dice che i teologi -i pastori di popoli- devono proporre modelli morali di comportamento, ma quando andiamo a leggere la natura, i suoi segreti non possono essere svelati dalla Bibbia, ma solo e soltanto dalla ricerca scientifica. Ecco perché Galileo affermò che i libri sacri ci insegnano come si va in Cielo, non come va il cielo: quest’ultimo va studiato in natura. Se noi cerchiamo risposte, nei libri sacri, su come è fatta la natura, corriamo il rischio di incorrere negli stessi errori dell’Inquisizione quando bruciò vivo Giordano Bruno. Ecco la confusione ancora oggi imperante, ecco lo scontro ancora vivo tra scienza e fede!”. Tra indagini speculative, multiculturalismo, antichi e nuovi interrogativi, tolleranza, verità relative ed assolute, Nuccio Ordine ripropone temi di riflessione vecchi quanto la Storia, ma sempre carichi di nuovi stimoli. Senza pregiudizi.
La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 17-03-2007

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