A tu per tu con...
Cittadella del Capo, estate 1995. All’ombra di una delle numerose torri di guardia di cui è disseminata la chilometrica costa calabrese, all’interno di uno dei più esclusivi luoghi di villeggiatura, un distinto signore dal marcato accento veneto sta spiegando il senso di una serie di incontri che, con cadenza settimanale, si sarebbero tenuti in quell’affascinante luogo: “abbiamo proposto di settimana in settimana, lontano dalle aree metropolitane, una forma nuova del dialogo delle civiltà mediterranee, precisamente nei luoghi segnati dalla loro frattura storica: l’attenzione delle diplomazie, specie dell’area mediorientale, la partecipazione di esponenti religiosi, il crescente concorso di folla ed una significativa osservazione dei media, regionali e nazionali, hanno segnalato l’interesse della società, nelle sue varie componenti, a tale dibattito, quantunque si svolga nel pieno della stagione stiva…”.
A quel primo incontro, alla fine di luglio, non giunsi per caso: avevo letto sulla stampa locale -allora molto meno ramificata e differenziata rispetto ad oggi- di una interessante iniziativa, i “Venerdì Mediterranei”, basata su un ciclo di incontri multiculturali tra intellettuali delle due rive del Mediterraneo; ero tesista in Diritto Internazionale su “La crisi del Golfo” ed incontrare a pochi chilometri da casa alcuni noti docenti di quella materia rappresentava un’occasione che non mi sarei lasciato sfuggire. Mohamed Kerrou, Khaled Fuad Allam, Alberto Quattrucci, Giampaolo Calchi Novati e Giancarlo Zizola -quest’ultimo ideatore del ciclo- avrebbero relazionato su egemonia e partenariato, islam, cristianesimo e modernità, dialogo religioso, Mediterraneo e politica internazionale. Quel distinto signore dall’evidente accento veneto rispondeva, dunque, al nome di Giancarlo Zizola: come molti suoi conterranei (cito, come sempre, Giuseppe Berto nativo di Mogliano Veneto, cittadino di Capo Vaticano…) aveva scelto la Calabria come buen retiro estivo: vi veniva da un venticinquennio e proprio qui, in riva al Tirreno cosentino aveva -ed avrebbe- partorito alcuni dei suoi saggi più celebri. Non sapevo molto di lui: il nome vagamente mi ricordava un giornalista esperto in temi religiosi, ma evidentemente ignoravo di aver appena fatto la conoscenza di uno dei più autorevoli vaticanisti che aveva seguito i pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI, il Concilio Vaticano II e tutta la politica della Santa Sede dell’ultimo trentennio (nel 1995). Da quell’estate ci siamo sentiti e visti infinite volte ed appena lo scorso anno, durante la presentazione estiva del mio “Tracce di Calabria” -scritto sotto gli auspici di questo quotidiano- Zizola tenne un breve ma magistrale intervento innanzi ad una folta platea che solo qualche mese prima lo aveva più volte visto intervenire in televisione al tempo della morte di Giovanni Paolo II e dell’elezione di Benedetto XVI. Ora inauguro con lui questa rubrica… Giancarlo, partiamo dalla fine, dal tuo romanzo. “Il mio ultimo scritto è intitolato “La sera dei girasoli” e vuole indicare la fecondità di questo momento dell’ultima età dell’uomo e della donna, quando tutto sembra al tramonto ed invece, come per i girasoli -che durante la notte quando si richiudono e secernono nuove ricchezze per poi esplodere in quell’incantevole colore giallo che ha ispirato i quadri di Gauguin e di Modigliani- è capace di offrire ancora nuove occasioni di vita, di riflessione, di ricerca. Questo romanzo riepiloga la mia intera esperienza di vita -di ricerca e di credente: dopo una vita intera dedicata alla ricerca storica, alla ricerca della verità dei fatti -come storico, giornalista, vaticanista- ho pensato che, in realtà, la storia che dovevo ancora raccontare era quella da cercare, immaginaria, che diventa poi la sintesi del mio senso di vita. Ecco perché l’ho ambientata in maniera dislocata: proprio come la verità che non sta tutta da una parte, così il mio romanzo ha diverse ambientazioni, il Veneto, Roma, la Calabria, il mondo intero. Come me, veneto, dislocato in questa terra di Calabria -la mia seconda patria- quella che mi ha adottato e conquistato trentacinque anni orsono: oggi, il senso della verità è ricercare la verità, non averla in tasca”. Immagino, allora, che il romanzo sia molto utopico… “Effettivamente la storia è ambientata in un paese immaginario, che non esiste sulla carta geografica, che non ha coordinate, ma che -alla fine- reca con sé tutti i connotati dell’ambientazione calabrese: ho volutamente scelto la Calabria, non solo perché questa terra ha avuto una parte significativa nella mia vita, ha giocato un ruolo primario nella mia attività pubblicistica, ma anche perché è la patria dell’utopia, proprio perchè questa penisola tra mari e monti al centro del Mediterraneo ha avuto a che fare con tutta la cultura europea. Ancor oggi, questa terra -che credo di conoscere abbastanza- ha una faccia nascosta -un lato oscuro- simbolo romanzesco di quella che è la situazione della ricerca della verità in questo mondo globale: ecco, la Calabria sembra una patria nascosta”. Sono passati undici anni dal mio incontro con Giancarlo Zizola, ma una cosa non sembra proprio essere mutata: l’amore per questa terra che, oggi come allora, continua ad affascinare questo scrittore, questo storico, questo vaticanista del quale gli studi e le ricerche sui temi dell’ecumenismo, del rapporto tra Cristianesimo ed Islam, della storia contemporanea, valgono come dottrina consolidata, tanto sono connotati da quel valore di autorevolezza e di rigore scientifico. Come le sue pubblicazioni: tra saggi e articoli -per non parlare degli interventi radiofonici e televisivi- Zizola vanta una sterminata pubblicistica che ne fa uno dei più autorevoli rappresentanti sia del contemporaneo universo massmediologico che del suo specifico settore di specializzazione, ovvero i temi vaticani. Ricordo, soltanto per rimanere ad alcuni titoli, “Il Conclave. Storia e segreti” (Newton&Compton, 2005), “Benedetto XVI, Un successore al crocevia” (Sperling&Kupfer, 2005), “La spada spezzata. Chiesa, guerra e scontro di civiltà nel ‘900” (Ancora, 2005), “I Papi del XX e XXI secolo. Da Leone XIII a Benedetto XVI (Newton&Compton, 2005) “L’altro Wojtyla. Riforma, restaurazione del millennio” (Sperling&Kupfer, 2003), “L’ultimo trono. Papa Woityla e il futuro della Chiesa” (Il Sole24Ore, 2001), “L’utopia di Papa Giovanni” (Cittadella, 1998), “Geopolitica Medieterranea. Il Mare Nostrum dall’egemonia al dialogo” (Rubbettino, 1997), “Il microfono di Dio. Pio XII, Padre Lombardi e i cattolici italiani (Mondadori, 1990), “La restaurazione di Papa Wojtyla” (Laterza, 1985). Giancarlo, sei uno dei più autorevoli vaticanisti contemporanei… “stento a parlare di me stesso, ma visto che la domanda mi è stata posta, ti rispondo volentieri. Mi sono occupato della storia del Cristianesimo sin dalla giovane età, schierandomi subito dalla parte di coloro che anche al vertice erano convinti che non si potesse fare confusione tra lo spirituale ed il politico; questa scelta ha orientato tutto il mio successivo sviluppo intellettuale -una fortuna che io chiamo Grazia- in quanto attraverso la chiamata a Roma da parte di Papa Giovanni XXIII a seguire il Concilio Ecumenico Vaticano II, ho avuto la possibilità di maturare la mia personale esperienza professionale a stretto contatto con i grandi problemi della Storia di quei primi anni ‘60: sin dall’inizio, ho potuto così orientare la mia attività giornalistica verso l’orizzonte del mondo intero, nel quale il Vaticano -una sorta di sacro Cremino- si collocava come una fortezza di prima grandezza. I miei numerosi viaggi da Roma verso quel mondo in piena evoluzione mi diedero la possibilità di toccare con mano un ambiente che ho poi parallelamente approfondito dal punto di vista storico: vennero le biografie dei grandi da me incontrati, come lo stesso Giovanni XXIII”. A proposito di Mediterraneo, come vedi oggi la situazione? “Quel riuscito ciclo di colloqui in riva al Tirreno cosentino ha anticipato molte delle discussioni sui problemi con cui siamo oggi chiamati a confrontarci: in particolare la capacità della vecchia Europa di esprimere il meglio della sua storia, della sua cultura, del suo pensiero, soprattutto in riferimento al dialogo con altri mondi culturali. Appare quanto mai necessario chiudere l’epoca degli scontri di civiltà, della lotta all’ultimo sangue tra il bene ed il male, dell’età del Cielo usato in terra come arrotino delle spade e vernice pseudo religiosa sui campi di battaglia. Ecco, undici anni fa, a Cittadella del Capo, cantammo questa “canzone”: che era forse troppo dura per i nostri concittadini, una forma di passaggio troppo rapido se è vero che le cose non sono cambiate in meglio, considerato che in questi ultimi anni abbiamo assistito a numerose guerre in cui lo scontro di civiltà sembra non essere proprio tramontato”. E l’Europa? “Vive l’urgenza del dialogo, oltre che un’età cupa, nella quale l’uomo tecnologico, l’uomo del mondo globale, ha la testa nell’età delle caverne: da un lato, la vecchia Europa deve abbandonare questa terribile divergenza tra l’infantilismo spirituale -malgrado il Cristianesimo- e capacità effettive di avanzamento nel campo della scienza e della tecnica, e dall’altro lasciare per sempre la pretesa, tutta occidentale, di detenere la verità universale, come se il mondo ruotasse tutto in questa parte del pianeta. E questo potrà accadere solo con il recupero di un completo universo di valori, nel quale l’uomo torni a rappresentare la componente portante di ogni discorso”. Oggi sei anche un docente universitario: “l’insegnamento universitario presso la Cattedra di Etica della Comunicazione e dell’Informazione nella la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova, rappresenta la sintesi di questo mio lungo itinerario culturale: ai miei allievi cerco di trasmettere soprattutto il messaggio che vuole la verità non valere niente se non si tratta di verità comunicativa, di relazione militante, vissuta. La verità si costruisce nella relazione, nel dialogo, nel confronto costante con l’altro. Anzi, ti dico che la verità consiste nell’attenderla, non nel possederla. Sono questi gli aspetti che cerco di far emergere durante le mie lezioni, perché il senso dell’etica lo si acquisisce non soltanto studiando norme e codici deontologici, quanto -soprattutto- rapportandosi con il prossimo, partendo proprio dal collega di banco all’università per arrivare a quella persona che si pone esattamente all’opposto dal mio punto di vista. ” Sei ormai un calabrese acquisito…: “questa universale perdita di valori, fa sentire la propria influenza anche in terre lontane da quelle in cui si gioca il futuro del mondo. Anche pezzi della Calabria si trasformano in una sorta di luogo di perdizione, luogo dell’ illusione: si cerca di modernizzare il quotidiano a prescindere da qualsiasi riferimento con la verità, con la spiritualità delle cose e degli esseri umani; ecco, anche la Calabria è vittima di una sorta di strategia della menzogna, di disprezzo della verità, il tutto finalizzato alla conquista del potere economico e partitico. Anche per questa terra occorre un’iniezione di dialogo e mi piace sempre riferire quella splendida lezione di vita -pratica e teorica- che ho appreso dai miei amici vignaioli veneti: partendo dall’errato presupposto che si debbano combattere in nome della verità e dei sacri principi, mondi e realtà religiose diverse dal nostro, ricordo sempre l’esperienza dei miei contadini corregionali, dei quali ammiro la premura gelosa della salvezza delle loro vigne che producono un prosecco considerato una specie di religione pratica ed un prodigio della scienza. Ebbene, cosa fanno questi contadini per combattere il loro terrorismo biologico, quello che attacca le loro vigne privandoli della loro ricchezza, ovvero la filossera? Per sconfiggere questa sorta di Bin Laden delle vigne, i contadini veneti non fanno ricorso a mezzi forti, a fosfori democratici come fanno gli americani in Iraq, non ricorrono alle torture: la loro arma letale è una sola, la politica degli innesti, grazie cui la filossera viene debellata. Fuor di metafora, moltiplicando le amicizie, il dialogo, i confronti, gli scambi con altri modi e mondi, è possibile preservare la vita, si sconfigge la catastrofe e si salva la verità. Ecco, in Calabria dovremmo aumentare la politica degli innesti…” Bella metafora, ma la realtà calabrese appare più complessa! “Diversa, ma dovremmo ricordare che le identità forti -come quella calabrese- non hanno bisogno di erigere mura e barricate, di usare il potere politico per difendersi. Veneto e Calabria sono regioni di confine ed in un momento in cui questi limiti saltano, dovremmo mostrare la naturale vocazione di manifestare la nostra radicata identità: questa è la nostra forza, non ci occorrono difese di plastica, irreali” Da questo vaticanista veneto innamorato della Calabria, una bella lezione di speranza!
La Provincia Cosentina “A tu per tu con…” Numero I° - domenica 15/10/2006
Egidio Lorito, 13/10/2006