A tu per tu con...
Quando Enzo D’Elia, patron della “Delia Cultura”, instancabile organizzatore di eventi culturali con le maggiori firme del giornalismo italiano, mi preannunciò che nella rassegna estiva 2006 avremmo avuto in programma Magdi Allam ed il suo ultimo libro, sapevo già che quella non sarebbe stata una presentazione come tutte le altre. E non certo perché l’autore non ha, evidentemente, origini italiane, quanto perché intorno ad “Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano?” (Mondadori 2006), è nato un vero e proprio movimento d’opinione, una curiosità affettuosa, una lunga serie di interrogativi che stanno rendendo la vita personale e professionale di questo brillante giornalista e scrittore egiziano, un caso veramente unico nel panorama editoriale italiano.
Ma c’è di più, molto di più, perché Magdi Allam, come confessa ai suoi lettori e come fa oggi su questa pagina, da tre anni e mezzo vive a stretto contatto con la morte, e non nella sua madre patria egiziana o in un altro paese musulmano, ma esattamente nella Nazione di cui noi siamo, più o meno orgogliosamente, cittadini: l’Italia, dunque. Dott. Allam, lei vive con la morte! “Già, vivere con la morte. Assediato dai nemici che mi vogliono uccidere e dagli “amici” che attendono che venga ucciso. Tutto è già pronto: la condanna a morte è stata decretata ai più alti vertici dell’organizzazione terroristica palestinese Hamas ed è stata ispirata, raccolta, legittimata sul piano coranico e rilanciata dai loro agenti locali affiliati all’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia. E’ stata montata una campagna intimidatoria e denigratoria nei miei confronti promossa dai dirigenti dell’Ucoii e dalla Iadl (Islamic anti-defamation legue), una sorta di tribunale dell’inquisizione islamica che opera come braccio armato dell’Ucoii”. Quando questo minuto ed all’apparenza indifeso giornalista del Corriere della Sera -prestigiosa testata di cui è vice-direttore ad personam- rispondeva alla mia secca domanda durante quella presentazione estiva, davanti ad una platea attenta e straordinariamente incuriosita, credo di non essere stato l’unico ad avvertire un certo disagio: non perché a vegliare su quella serata vi erano non meno di una decina di rappresentanti delle forze dell’ordine, tra agenti della scorta e militari dell’Arma dei Carabinieri, quanto -soprattutto- perché stavo ascoltando direttamente dall’autore di quel libro, una straordinaria esperienza di vita capitatagli proprio in quel Paese che ringraziava ed omaggiava con un vero atto di amore. Non so, sinceramente, quanti italiani avrebbero fatto lo stesso, quanti lo farebbero oggi in questo strano Paese, chirurgicamente spaccato a metà -e non solo per ragioni politiche- nel quale se hai un bel corpo da mostrare -maschile o femminile, fa lo stesso- ed una spiccata capacità a saper vendere le poche qualità personali e culturali, allora il successo arriva di sicuro, tanto siamo tutti figli della televisione. E pensare che questo strano Paese, un giovane Magdi Allam lo scelse quasi come segno del destino: “ti riferisci al mio primo contatto con una vostra struttura scolastica che segnò l’inizio della mia storia personale con l’Italia e gli italiani, precisamente con una parte di Italia trapiantata in Egitto; avevo quattro anni e ricordo come fosse ieri quando mia madre Safeya mi affidò a suor Lavinia che quasi mi nascose sotto la sua gonna perché non assistessi alla sua partenza. Quello fu il mio primo “vagito italiano”, potenziato dal fatto che nella mia nuova scolaresca italiana tutti i bambini erano italiani mentre io ero l’unico di padre e madre egiziani; io, figlio di poveri contadini della campagna del Basso Egitto, accudito da una madre dal cuore d’oro, con una fede nella vita incrollabile ed una forza di volontà inesauribile, immensamente fiero di potermi esibire in mezzo a coetanei ben più fortunati ed avvantaggiati per il semplice fatto di essere italiani”. Ricordo perfettamente l’espressione mista di tristezza ed orgoglio che sorreggeva le parole con cui Allam ricordava questa sua primissima esperienza di vita, questo suo primo incontro con l’atmosfera scolastica del nostro Paese, che sarebbe poi proseguita in tutti i successivi anni delle elementari, delle medie, del liceo de Il Cairo, frequentato presso i Salesiani del Don Bosco, dove il nostro si era imbattuto, per la prima volta, in quella miriade di cultura cinematografica tricolore che portava il nome di Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Dino Risi, Federico Fellini, o del mondo della canzone italiana della metà degli anni ’60, fatto di Celentano e Mina, Rita Pavone e Gianni Morandi, Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti, Sergio Endrigo ed i Nomadi, L’Equipe 84 e Fausto Leali, Gino Paoli ed Ornella Vanoni, Lucio Battisti e tanti altri. L’Italia, caro Magdi, ti appariva come una sorta di terra promessa…: “ era la vigilia del Natale del 1972 ed il divorzio dall’Egitto, graduale ma inesorabile, avvenne dentro di me prima ancora che salissi a bordo di quell’ aereo dell’Alitalia che mi avrebbe condotto a Roma: ti lascio immaginare l’emozione con cui da dietro l’oblò scrutai per la prima volta la gente e gli edifici dell’aeroporto Leonardo da Vinci: tremavo tutto per la gioia e, non appena fuori dall’aereo, tremavo ancor più per il freddo perché non avevo mai assaggiato temperature così rigide, vicino allo zero. Comunque, i miei primi passi a Roma rappresentavano l’apoteosi del sogno di una vita, perché avevo la sensazione di essere sbarcato in un mondo perfetto, dove tutto era lindo, ordinato, bello, profumato, umano, sensato, efficiente. Mi sentivo perfettamente bene, straordinariamente felice. Avevo vinto: avevo vinto la battaglia personale per conquistarmi l’emancipazione e la libertà. Ero riuscito a raggiungere la Terra promessa!” C’è un aspetto da mettere a fuoco nella singolare parabola esistenziale di Allam: questo giovane egiziano giunge a Roma all’inizio degli anni ’70 e definisce l’Italia come una sorta di Paradiso terrestre, dove tutto gli appare roseo se non dorato: un immigrato, d’accordo, ma -come lui stesso si definisce- comunque un immigrato-privilegiato perché conosceva la nostra lingua ed aveva una borsa di studio cui appoggiarsi per tutte le necessità iniziali. Si dirà che proveniva da un Paese africano, forse non il più povero, ma sempre dell’altra sponda del Mediterraneo, quella meno fortunata. D’accordo: ma Magdi Allam mette piedi sul suolo italico agli inizi di un plumbeo e cupo decennio, fatto di terrorismo ed inquietudine, di crisi economiche e politiche, di contestazioni e scontri di piazza: eppure, per quel ventenne da futuro incerto, l’Italia era la “Terra Promessa”! Bella soddisfazione, non c’è che dire, se vista con gli occhi di oggi. Una personalità forte e volitiva come la tua, poteva starsene tranquillo nel ruolo di immigrato-privilegiato… “Il percorso tranquillo dello studente avvantaggiato dalla borsa di studio non mi si confaceva e così decisi di impegnarmi in altre esperienze professionali e di vita, supportate da un desiderio di fuga fuori del recinto predefinito: abbandonai la casa dello studente per alloggiare in una pensioncina insieme ad un gruppo di ex allievi salesiani; mi dedicai a fare il cameriere ed il portiere d’albergo non per arrotondare ma per arrivare esattamente alla fine del mese, quando mi mancavano praticamente le lire per mangiare. Ma nel 1975 ci fu una vera svolta, perché viste le mie conoscenze della lingua araba, entrai in contatto con Lamberto Antonelli, caporedattore della Teleagenzia Montecitorio che mi offrì di tradurre le notizie che leggevo sulla stampa araba o che ascoltavo sulle radio mediorientali: così iniziai la mia carriera giornalistica, proseguita con il quotidiano “L’Ora” di Palermo, “Il Manifesto” e, fino alla fine degli anni ’80, su una lunga serie di quotidiani che videro comparire la mia sconosciuta firma, quali “Il Secolo XIX” di Genova, il “Gazzettino” di Venezia, “Il Mattino “di Napoli, la “Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari, “La Sicilia” di Catania, “L’unione Sarda” di Cagliari”. Poi ci fu il grande salto, alla fine del 1979, grazie alla collaborazione con “La Repubblica”: “ ricordo quel periodo con tristezza, perchè oggettivamente non me la passavo bene: firmavo su “La Repubblica”, su un gruppo di quotidiani regionali e provinciali, mi ero anche sposato con una ragazza italiana che mi aveva dato una bambina, ma rischiavo di non poter rimanere in Italia perché non avevo un contratto di lavoro fisso ed era pressochè impossibile ottenerlo per una lunga serie di motivi anche legati alla mia professione; fu a quel punto che una persona semplicemente splendida come Giorgio Signorini, di fronte alla mia pressante -e motivata!- richiesta d’aiuto, non ci pensò due volte: estrasse da un cassetto della scrivania un foglio di carta intestata e scrisse a macchina:<>. Lo fece d’istinto, senza consultare nessuno e senza chiedere l’autorizzazione a nessuno. Con quell’attestato potei rinnovare il permesso di soggiorno. Devo a lui se oggi sono quello che sono: a “La Repubblica sono stato assunto nel 1990 e vi sarei rimasto sino al 2003”. Iniziava il “riscatto professionale” di Magdi Allam, che era riuscito ad affrancarsi sul piano personale: ora si trattava di restare incollato alla sedia per otto ore al giorno dopo che il Medio Oriente, la sua terra, era stata setacciata in lungo e largo a fianco di prestigiosi inviati come Bernardo Valli, Fabrizio Del Noce, Ettore Mo, Giuseppe Lugato, Pio Mastrobuoni, Lorenzo Cremonesi, Paolo Di Giannantonio, Isidoro Manzella alias Igor Man. Furono gli anni della grande ascesa di questo all’apparenza timido egiziano, dotato invece -e lo posso testimoniare di persona- di un’impressionante vitalità, forza d’animo, praticamente inesauribile, anche a dar seguito alla lunga serie di titoli: “Islam, Italia. Chi sono e cosa pensano i musulmani che vivono tra noi”, con Roberto Gritti (Guerini e Associati, 2001); “Bin Laden in Italia. Viaggio nell’islam radicale” (Mondadori 2002), “Diario dell’Islam. Cronache di una nuova guerra” (Mondadori 2002), “Jihad in Italia. Viaggio nell’Islam radicale” (Mondadori 2002), “Saddam. Storia segreta di un dittatore” (Mondadori 2003), “Kamikaze made in Europe. Riuscirà l’Occidente a sconfiggere i terroristi islamici” (Mondadori 2004), “Vincere la paura. La mia vita contro il terrorismo islamico e l’incoscienza dell’Occidente” (Mondadori 2005). Hai affermato che l’offerta del “Corriere della Sera non si poteva rifiutare: “serberò per sempre un sentimento di amicizia e di gratitudine per Ezio Mauro, direttore responsabile de “La Repubblica”, quotidiano nel quale avevo lavorato complessivamente per ventiquattro anni: il 15 giugno del 2003 lessi sul “Corriere del Sera” il primo editoriale del nuovo direttore, Stefano Folli: il pomeriggio lo chiamai per congratularmi con lui e mi confidò che stava per chiamarmi perchè doveva parlarmi. Capii che c’era qualcosa sotto, ed infatti quando lo incontrai, la prima firma di Via Solferino non tergiversò più di tanto: mi voleva al “Corriere” perché continuassi a scrivere ciò che scrivevo su “La Repubblica”. Visto che ero già editorialista, il miglioramento normativo che io posi come condizione, significava che sarei dovuto diventare vicedirettore, ma questa figura contiene delle mansioni esecutive interne alla redazione che a me, oltre al fatto di non averle mai svolte, non interessavano: si arrivò così alla formulazione del vicedirettore “ad personam”, che significa l’attribuzione della qualifica e della retribuzione del vicedirettore, mantenendo la mansione di inviato speciale e di editorialista. Una proposta che non potevo rifiutare!” L’aspetto che più colpisce di Magdi Allam è un concentrato di affabilità, cortesia, gentilezza e disponibilità quasi disarmanti: in una parola un’educazione da manuale. Basti pensare che quando lo scorso 5 ottobre lo contattai sul suo cellulare per quest’intervista, mi chiese di richiamarlo una decina di minuti dopo: ebbene, non passò che qualche minuto che fu lui stesso a richiamarmi. Molti dovrebbero imparare da lui! E capisco pure se a Pordenone, il 25 settembre dello scorso anno, una lettrice -durante la presentazione dello scritto pubblicato quell’anno- gli si avvicinò per confidargli di essere orgogliosa di lui per era “il migliore degli italiani” . Già, “un italiano” che anche per il coraggio mostrato nel difendere questo Paese che lo ha accolto giovane, da qualche anno vive praticamente blindato: “il 14 aprile del 2003, mentre mi accingevo da Kuwait City a partecipare ad una puntata di “Porta a Porta”, con Bruno Vespa che si trovava nell’emirato, ricevetti una telefonata da un alto dirigente del Sisde che mi informava che fonti arabe altamente attendibili gli avevano comunicato il forte risentimento di Hamas per le mie posizioni di condanna del terrorismo suicida palestinese e l’intenzione di uccidermi se avessi continuato nella critica; mi fu consigliato di rientrare immediatamente in Italia dove sarei stato protetto più facilmente e da allora -praticamente- è iniziata la mia vita . Questa è la lezione di Magdi Allam…
La Provincia Cosentina “A tu per tu con…” n. 3 -29/10/2006
Egidio Lorito, 27/10/2006