Guida storico-naturalistica ed escursionistica al gruppo dei monti Mancuso, Reventino, Tiriolo e Gimigliano

Forse solo ora ci stiamo accorgendo che, in fondo, la Calabria, più che una terra di mare, è una terra di montagne. Pollino, Orsomarso, Catena Costiera, Sila, Serre, Aspromonte: questi i sei principali gruppi montuosi di una regione geografica che non smette mai di stupire, affacciata per 780 chilometri sul mare ma poi magicamente ripiegata su sé stessa in un esteso entroterra di cime dolomitiche, pascoli alpini, paesaggi ora svizzeri ora scandinavi. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per presentarla come una terra esclusivamente appenninica: tutto, fuorché una “regione di mare”. E allora, come per magìa, ecco spuntare il settimo gruppo montuoso della Calabria, forse il meno noto al grande pubblico, ma non per questo il meno affascinante: “questo libro è dedicato a una piccola-grande area montuosa del Sud-Italia. Piccola perché meno vasta e meno nota anche degli altri principali massicci montuosi, anche calabresi, divenuti parchi nazionali.

Grande perché è pur sempre estesa, quasi da costa a costa, comprende 19 comuni, contiene straordinarie bellezze naturali: monti con panorami che spaziano sino alla Sicilia e al Pollino e abbracciano in un sol colpo i due mari, boschi atavici, alberi monumentali, grandi valli, gole e canyon fluviali, cascate, monumenti di roccia, borghi solitari e arroccati, architetture naturali che paiono uscite da una fiaba, contadi dall’aspetto agreste e bucolico, antichi segni dell’uomo (rovine di abbazie, rifugi di contadini e pastori, sentieri e mulattiere, acquari). Vi è perfino una vecchia ferrovia a scartamento ridotto che la attraversa da parte a parte, una delle ultime rimaste funzionanti in Italia (…)”. La terra di Calabria è come Francesco Bevilacqua: non smettono mai di stupire. Ci eravamo ormai fatti l’idea che fossero soltanto sei gli “storici” gruppi montuosi della Calabria ed invece eccolo il settimo, stretto com’è, a sud-ovest, tra le ultime propaggini della Sila Piccola ed a nord-ovest tra i primi contrafforti delle Serre. Siamo al centro della Calabria, a grandi linee tra gli abitati di Lamezia Terme e Catanzaro: qui si innalzano montagne non elevatissime ma che presentano un loro fascino del tutto atipico: il Reventino ed il Mancuso, il Tiriolo ed il Gimigliano vanno dai 1480 a poco più degli ottocento metri, con in mezzo una lunga teoria di “cime” tipicamente appenniniche che fanno il solletico ai mille metri. Una ventina i Comuni che si adagiano ai loro piedi, nel tratto più stretto della Calabria: anzi, dell’intera Italia, con quel corridoio di una trentina di chilometri che separano il Tirreno dallo Jonio, la costa lametina da quella catanzarese. E come non dare ragione a Fulco Pratesi che nella sua prefazione esordisce con un bello “Ogni scarrafone è bello a mamma sua”. “(…) Chiedete però a chi non sia nato e vissuto in quei luoghi, se conosce il Reventino (oppure i monti Mancuso, Tiriolo e Gimigliano). Non credo vi saranno molte risposte positive (…)”. Già: questa volta, Francesco Bevilacqua -si, proprio lui, l’avvocato di professione ed il giornalista, fotografo, naturalista, scrittore, trekker per passione- ha tirato dal cilindro una guida storiconaturalistica ed escursionistica appena pubblicata per i tipi della Rubbettino, che offre il proscenio ad un’area della Calabria che dal punto di visto orografico veramente in pochi conosceranno. Non si parla di pini Loricati o di quelli del Fallistro; di cime che sfondano abbondantemente i duemila metri; di importanti parchi nazionali: insomma di montagne famose al grande pubblico. Qui si parte da una storia del tutto familiare e personale e si arriva ad evidenziare un’emergenza ambientale piccola e sconosciuta, ma non per questo meno intrigante dal punto di vista naturalistico. “Per buona parte dell’infanzia (dal 1957 sino alla fine degli anni ’60) i miei genitori mi portavano a villeggiare, d’estate, a Tomaini, poche, vecchie case abbarbicate, a 800 metri di quota, su un contrafforte del Monte Reventino. A quell’epoca era consuetudine, per le famiglie borghesi che vivevano nelle cittadine calabre, estivare nei centri di media montagna, che costellano, come un rosario, tutto il bordo del rilievo regionale. Prendevamo in fitto, per poche lire, una delle casette del villaggio che sopravanzava ai bisogni della famiglia di un contadino o di un pastore del luogo (si tenga conto che l’emigrazione aveva da tempo falcidiato la popolazione locale), e ci vivevamo per tre interi mesi, liberi, noi bambini, di restare per tutto il giorno all’aria aperta, ruzzare nell’erba e scorazzare nei boschi. I miei ricordi dell’epoca sono avvolti da un’aura di pura magia (…)”. Bevilacqua, questa volta, si fa prendere dai ricordi, non c’è che dire: e così, afferrando a mani basse tutto ciò che sgorga dalla sua primissima infanzia, costruisce una guida storiconaturalistica con 135 itinerari e 570 foto -oltre ad una dettagliatissima cartina dei luoghi- che mai come ora indugia sulla storia, sullo sviluppo e le problematiche di conservazione di una delle zone realmente meno conosciute della Calabria che in quella sua parte significa o Lamezia Terme o Catanzaro, o aeroporto o capoluogo di Regione; o infranti sogni di sviluppo industriale -la cattedrale del deserto targata Sir- o turismo estivo tra Soverato e Copanello. Ma montagna, nel senso cui Bevilacqua ci ha abituato, beh, francamente proprio no! Lo si coglie tutto il senso di questa novità: e non è un caso che il nostro Autore indugi sulla lunga tradizione storica dell’area, dal Paleolitico alle battaglie per l’istituzione del Parco Regionale del Reventino; che ci spieghi con estrema dovizia di particolari, dove mai si trovino queste montagne, in una terra in cui il paragone con Pollino, Sila e Aspromonte sembrerebbe sin troppo imbarazzante; che ci guidi in un’infinità di sentieri, quasi a voler far recuperare a queste montagne una loro autonoma libertà, dopo che per secoli erano state schiacciate -quanto a collocazione e conoscenzatra la Sila Piccola e le Serre, tra Villaggi alpineggianti e la Certosa di Serra San Bruno. Ha veramente ragione Fulco Pratesi: qui sembra di entrare in una terra sconosciuta praticamente a tutti, eppure dall’angolazione giusta e grazie alla visibilità perfetta, lo sguardo può andare dal Pollino all’Etna. Come dire: la Calabria intera tenuta sott’occhio… E allora, bene ha fatto Bevilacqua a citare Ernesto De Martino: “ Alla base della vita culturale del nostro tempo sta l’esigenza di ricordare <>(…). Coloro che non hanno radici, e sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere una villaggio vivente nelle memoria”. Nella memoria di Francesco Bevilacqua, questo villaggio esiste: si chiama Tomaini, alle falde del Reventino…
Apollinea- Anno XII- n. 6- Novembre-Dicembre 2008
Egidio Lorito www.egidioloritocommunications.com

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