Questa volta non si è limitato a raccogliere le emergenze ambientali di una terra che non smette mai di affascinare e sorprendere. Pollino, Alto Ionio e Sibaritide, Monti dell’Orsomarso, Alto Tirreno e Golfo di Sant’Eufemia, Catena Costiera, Sila, Marchesato e Promontorio di Capo Rizzuto, Serre, Golfo di Squillace e Basso Jonio, Aspromonte, Promontorio del Poro e Costa Viola, sono stati sinteticamente posizionati al solo scopo di dare continuità geografica alla natura calabrese.
Questa volta Francesco Bevilacqua si è spinto oltre ed anche di molto, toccando territori che tradizionalmente appartengono alla filosofia, all’ecologia, all’estetologia: “il titolo dato a questo libro non deve trarre in inganno: esso non è, cioè, un modo per aggettivare la natura calabrese, e rendere evidente la sua specificità, ma fa -piuttosto- riferimento ad una categoria estetica che sembra avere avuto molta parte nell’approccio dei viaggiatori stranieri con il paesaggio calabrese. Il sublime, pur essendo, come concetto, vicino al bello, è qualcosa di molto diverso da quest’ultimo.
Questa volta non si è limitato a raccogliere le emergenze ambientali di una terra che non smette mai di affascinare e sorprendere. Pollino, Alto Ionio e Sibaritide, Monti dell’Orsomarso, Alto Tirreno e Golfo di Sant’Eufemia, Catena Costiera, Sila, Marchesato e Promontorio di Capo Rizzuto, Serre, Golfo di Squillace e Basso Jonio, Aspromonte, Promontorio del Poro e Costa Viola, sono stati sinteticamente posizionati al solo scopo di dare continuità geografica alla natura calabrese. Questa volta Francesco Bevilacqua si è spinto oltre ed anche di molto, toccando territori che tradizionalmente appartengono alla filosofia, all’ecologia, all’estetologia: “il titolo dato a questo libro non deve trarre in inganno: esso non è, cioè, un modo per aggettivare la natura calabrese, e rendere evidente la sua specificità, ma fa -piuttosto- riferimento ad una categoria estetica che sembra avere avuto molta parte nell’approccio dei viaggiatori stranieri con il paesaggio calabrese. Il sublime, pur essendo, come concetto, vicino al bello, è qualcosa di molto diverso da quest’ultimo. Il significato letterale del termine è <<elevato, eccelso, molto alto>>. Nel linguaggio comune lo si usa come se si trattasse di un superlativo della parola <>. Ma per capire fino in fondo il suo vero significato bisogna fare un lungo passo indietro (…)”. E qui, Platone ed Aristotele, Edmund Burke, Kant e Schopenauer vengono citati come dotti precedenti di una tradizione classica che accompagna questa riscoperta di un concetto che Bevilacqua attaglia perfettamente alla Natura di Calabria, perché -dice- “formatosi e sedimentatosi nei secoli, il concetto del sublime informa gran parte della letteratura di viaggio in Calabria ed in particolare l’approccio dei protagonisti del Grand Tour con la natura della regione. In quasi tutti i reportage di viaggio sono presenti, infatti, descrizioni di paesaggi naturali dai toni ammirati, talvolta persino attoniti e addirittura increduli dinanzi ad una grandiosità, ad una forza, ad una personalità della natura che giunge a turbare e soggiogare la mente dell'osservatore”. Per poi passare all’analisi ecologica della natura calabrese, rifacendosi direttamente all’idea che “se un paesaggio sublime induce nell’ osservatore un sentimento, da un lato, di soggezione e finitezza rispetto alla potenza ed alla grandiosità della natura e, dall’ altro, di unità, di partecipazione al creato, ciò non può che portare ad una visione olistica del creato, che intende quest’ ultimo come un tutt’ uno, superiore alla semplice somma delle sue componenti”. Insomma, Bevilacqua -toccata con mano dopo una trentina d’anni la bellezza della natura calabrese- tenta ora una fine interpretazione filosofica, condotta sul terreno della concezione olistica della vita e della natura, ripresentando quella corrente del pensiero ecologico nota agli addetti ai lavori con il nome di “ecologia del profondo”, “deep ecology”, che ebbe nel filosofo norvegese Arne Naess uno dei padri fondatori e che nel saggio “Ecology, Community and Lifestyle -era il 1989- esponeva le linee-guida di un movimento che coniugava premesse religiose, riflessioni filosoficorazionali e prassi condotta sul campo. Bevilacqua parla anche di “turismo meridiano”, e qui la citazione al sociologo pugliese Franco Cassano ed al suo “pensiero meridiano” è d’obbligo! Ma -soprattutto- dopo la prefazione di Mauro Minervino -che non si è certo risparmiato nel denunciare “severo e preoccupato” alcune terribili emergenze che assillano la natura ed il paesaggio calabrese contemporaneo- Bevilacqua sembra lanciare un grido di dolore (oltre che un monito a chi avrebbe dovuto proteggere il nostro delicato ecosistema) in presa diretta da luoghi che appena qualche decennio addietro rappresentavano un inno alla bellezza ed al sublime, ed oggi -in alcuni casi- languono nello sconforto più desolante. “Tra la prima metà del ‘700 e gli inizi del ‘900, la Calabria fu meta di viaggiatori provenienti da varie parti d’Europa e dal resto d’Italia. Non tanti, in verità, quanti ne registrò, nel medesimo periodo, il “Bel Paese” nel suo insieme, visto che ancora all’inizio del secolo scorso, la regione risultava ben lontana dalla civiltà ed era servita da pessime vie di comunicazione: fatti, questi, che scoraggiavano chiunque non fosse dotato di vero e proprio spirito d’avventura”. Ed anche la costruzione del testo -poco più di 160 pagine che catturano il lettore per l’inconfondibile stile che l’autore ha saputo costruirsi nel corso delle sue 11 pubblicazioni e centinaia di articoli apparsi su “Airone”, “Bell’Italia”, “Natura Oggi”, “Alp”, “Oasis”, “Panorama”, “Rivista del CAI”, “Rivista del Trekking”, “Ulisse”, “Calabria”, “Paese Sera”, oltre che grazie a testi scritti per la Rai ed altre testate radiotelevisive- sembra essere stata studiata per prendere il lettore per mano, fornirgli le nozioni di base e poi catapultarlo nel vivo della natura calabrese, dal Pollino allo Stretto: i singoli capitoli in cui Bevilacqua divide la natura calabrese, corredati da 48 foto a colori -un estratto dell’imponente documentazione fotografica acquisita nel suo lungo peregrinare- affascinano il lettore perché a parlare sono, in prima persona, proprio quei tanti autori che dal ‘700 misero piede in questa terra e ne rimasero semplicemente affascinati. E così, giusto per sintetizzare, Richard Keppel Craven, Astolphe de Custine, Norman Douglas, Duret de Travel, George Gissing, Edward Lear, Francois Lenormant, Guido Piovene, Henry Swinburne, dicono la loro sulle praterie alpine e sulle abetaie della Sila, sugli orridi valloni dell’Orsomarso o su quegli strani tronchi argentei del Pollino, sulla lunga Catena Costiera come su Capo Colonna ed il suo mare ellenico, sulla verde foresta delle Serre come sul bianco promontorio di Capo Vaticano, per chiudere su quella montagna misteriosa che conosciamo con il nome di Aspromonte. Insomma, un rincorrersi di perle che Bevilacqua cerca di legare al filo della Calabria: “non temo di essere smentito quando affermo che il gradiente estetico della natura calabrese è davvero molto alto, anche se confrontato alla pur rinomata bellezza del paesaggio naturale italiano nel suo insieme. Vi sono riconoscimenti significativi in questo senso anche tra gli autori presi in esame in questo volume. Ecco cosa scrisse, ad esempio, nel 1821 il letterato inglese Richard Keppel Craven: <<provavo un gran dispiacere a dover lasciare la Calabria: le sue bellezze avevano esercitato una specie di magica ascendenza su di me e sentivo che sarebbe stata eterna;avevo anche la sensazione che qualsiasi cosa avessi visto in futuro non avrebbe suscitato in me sensazioni altrettanto piacevoli ed indelebili. Di questo non ho dubbi. Anzi, ho la presunzione di affermare che in nessun’altra parte d’Europa la natura ha tracciato in modo così magnifico le linee che il genio e l’opera umana devono seguire e gli sforzi dell’arte migliorare>>”. E su questa linea, potremmo continuare a leggere senza sosta pagine e pagine di chi, viaggiatore o descrittore, si trovava innanzi agli occhi quella valle silana o quel promontorio jonico o tirrenico, quel picco dolomitico dell’Orsomarso o quello strano albero scheletrico relitto sul Pollino, quei fondali della Costa Viola, o quelle specie arboree dell’Isola di Dino: e così, in un gioco senza fine. Dicevo delle singole presentazioni che l’autore ha anticipato agli interventi dei viaggiatori: sono servite per dare, di questa terra di Calabria, quelle nozioni basilari utili per comprendere il senso del sublime che si coglie da queste parti: ecco perché la Calabria è un vero “confine di due mondi”, ecco il perché dei “tanti paesaggi” e dell’ “ardua tipizzazione”, ecco la “sacra magia” ed il “fascino tenebroso”, il “delizioso incanto”, la “bellezza pittoresca” o la “grandiosa maestà”. E, soprattutto, l’ “ecologia del sublime”: “un simile sentimento non può che convincerci ad abbandonare quell’illusione antropocentrica che tanto male ha fatto e continua a fare alla biodiversità ed agli equilibri ecologici del pianeta: ma se la matrice del sublime è sostanzialmente unica nelle descrizioni dei paesaggi naturali della Calabria, gli specifici approcci di ciascun descrittore sono scanditi da diverse percezioni e di linguaggio”. E gli esempi abbondano, in eccesso… Questa è la Calabria sublime di Francesco Bevilacqua, avvocato di professione, giornalista, fotografo naturalista, scrittore, camminatore ed alpinista per passione. C’è da crederci! Francesco Bevilacqua (a cura di), Calabria sublime. I paesaggi naturali della Calabria attraverso gli occhi di viaggiatori e descrittori, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 2005, € 8,00. *** Apollinea. Anno X - n. 4 luglio-agosto 2006 Egidio Lorito, 12-07-2006 *** NB per Francesco: aggiungi tu qualche fotografia dell’archivio di Bevilacqua, che sicuramente avrai. A presto, Egidio