Da almeno un trentennio il problema ambientale viene giustamente considerato da un’angolazione sovranazionale costruita su una fitta serie di norme prodotte da organismi internazionali che, a livello comunitario (europeo e latino-americano) e mondiale (varie organizzazioni internazionali, oltre le Nazioni Unite), garantiscono una costante produzione giuridica in tema di tutela dell’ambiente: il problema ambientale e la crisi ecologica si collocano nell’internazionalizzazione, intesa come “globalizzazione” del problema ambientale. E non possiamo condividere come “nel nostro tempo il concetto di diritto alla vita e di difesa dell’ambiente si rinnova e completa perché al fondamentale patrimonio dell’umanità si deve assicurare una protezione che possa essere estesa oltre i confini nazionali ed avere efficacia al di là dei limiti temprali previsti per l’ordinaria amministrazione dei beni: ciò allo scopo di conservare tali risorse anche per le generazioni future”.

(1 Furono proprio questi i principi ispiratori della “Earth Charter”, la ben nota “Carta della Terra”, documento proposto dalla giuria del Premio Internazionale per l’Ambiente San Francesco “Cantico delle Creature” e da alcuni esperti di fama mondiale come Maurice Strong, che considerarono “la protezione dell’ambiente essenziale per il benessere umano e per il godimento dei diritti fondamentali, ed in quanto tale richiede l’esercizio dei corrispondenti doveri fondamentali”. (2 L’indirizzo giuridico è stato tracciato, visto che “i parametri disciplinari o di interconnessione sono moltissimi”.(3 C’è anche chi, in proposito, ha tentato una connessione tra il diritto dell’ambiente ed i diritti umani (4, anche partendo dalla previsione presente in molte costituzione europee del XX° secolo. Sono stati proprio gli anni ’90 del secolo appena terminato ad imprimere questa svolta sopranazionale al diritto di cui stiamo parlando, attraverso il terzo principio della già citata Carta della Terra, nel quale si legge a chiare lettere che “ poichè gli Stati possiedono il diritto sovrano di sviluppare le loro risorse, essi sono anche responsabili sia della conservazione dell’ambiente e della qualità della vita dei propri cittadini, bene universale, sia nell’evitare danni all’ambiente di altri Stati”. Risale al 1972 -anno del celebre Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP)- la creazione di un organismo che, dalla Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano, contribuì a considerare l’ambiente come “patrimonio comune dell’umanità”. Da quel momento, le stesse relazioni internazionali sarebbero state concepite anche dal punto di vista della protezione ambientale, se è vero che, com’è stato finemente osservato, “rispetto alle problematiche indicate dal Nuovo Ordine Economico Internazionale, il più significativo sviluppo realizzatosi nell’ambito della comunità internazionale è costituito dall’individuazione dei rapporti esistenti tra sviluppo ed ambiente”.(5 Ed a vent’anni esatti dall’incontro di Stoccolma, nel 1992 ben 182 stati, rappresentati al più alto livello (capi di Stato e di Governo) si diedero appuntamento a Rio de Janero per continuare sulla strada dell’internazionalizzazione della tutela ambientale: il “Summit della Terra ha rappresentato “un momento d’incontro fra le due prospettive, ritenute contrastanti ed incompatibili, dello sviluppo e della protezione, giungendo alla definizione dello “sviluppo durevole” inteso come sviluppo che soddisfi le necessità del presente senza compromettere l’attitudine della generazioni future a soddisfare i loro bisogni”.(6 Nord e Sud del mondo si sono ritrovati a discutere di come proteggere il pianeta, insistendo nel riconoscimento del “loro diritto sovrano a sfruttare le proprie risorse conformemente alle proprie politiche in materia di ambiente e di sviluppo”.(7 La Conferenza di Rio ha fatto compiere un significativo passo in avanti per la “creazione di una vera complementarietà tra l’umanità con i suoi bisogni di sviluppo e l’ambiente naturale e la sua salvaguardia”.(8 Né da meno è la tutela ambientale approntata a livello comunitario europeo: nel 1971, la protezione dell’ambiente rientrò tra gli obiettivi della nuova Europa, mentre nel 1986 l’Atto Unico Europeo inserì un titolo tutto dedicato all’ “ambiente”; il successivo Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, sottoscritto il 7 febbraio del 1992 (ratificato dall’Italia con la legge n. 454 del 3 novembre ’92), “integra l’ambiente nella costruzione comune europea, facendo della protezione ambientale la misura ed il limite di una crescita economica “sostenibile” e di uno sviluppo “armonioso” ed “equilibrato” della Comunità Europea”.(9 L’excursus storico arriva sino ai giorni nostri: dal 26 agosto al 4 settembre 2002, Johannesburg ha ospitato l’ultimo vertice-Onu sullo stato di salute del pianeta, durante il quale, tra lotta alle nuove povertà, catastrofi ambientali e risorse umane limitate, si è cercato di attribuire un ruolo propositivo ai paesi in via di sviluppo, rappresentati dal c.d. G 77. Dal vertice sono usciti dati piuttosto allarmanti sulle reali capacità del pianeta Terra di riuscire a “sfamare” tutti i suoi presenti e futuri abitanti: per la verità, già nel 1990 il WorldWatch Institute di Washington concedeva un quarantennio, non per giungere alla “fine del mondo”, ma per dare inizio alla transizione verso una società stabile dal punto di vista ambientale: “se non ci riusciremo entro questo termine, il deterioramento dell’ambiente ed il declino economico si alimenteranno probabilmente l’uno con l’altro, trascinandoci in una spirale di disintegrazione sociale”. (10 Sono state proprio previsioni di questo genere a far guadagnare a Lester Brown, autorevole presidente dell’istituto americano, l’appellativo di “pessimista di professione”, in compagnia di un buon numero di scienziati di ogni parte del globo: “tuttavia, i suoi avvertimenti meritano di essere presi in considerazione, innanzitutto perché concedono un ampio spazio al legame tra degrado ambientale e rigidità economica”. (11 Al di là della scientificità di tali previsioni apocalittiche, su un dato è possibile concordare: la protezione dell’ambiente non può più essere ridotta ad una materia “interna” agli Stati, come se si trattasse di una questione geograficamente a sé stante.
Apollinea Egidio Lorito, 07-02-2003

Bibliografia:
1) G. Cordini, La dimensione giuridica sopranazionale della protezione ambientale, in Rivista di SinTesi, Milano, Franco Angeli 1997, pp. 48 e sgg;
2) Earth Charter (Carta della Terra), in op. ult. Cit.;
3) U. Bettini, prefazione a “B. Commoner, Far pace con pianeta, Garzanti, Milano 1990, pp. 35 e sgg;
4) A. Postiglione, Il diritto dell’ambiente, Novene, Napoli 1982;
5) M. Panebianco, P. Pennetta, Introduzione al diritto delle organizzazioni internazionali, Edisud, Salerno 1993, pp. 325 e sgg;
6) Principio 3 della Dichiarazione di Rio, in Panebianco-Pennetta, op.ult.cit p. 325;
7) Principio 2;
8) Panebianco-Pennetta, op. cit. pag. 326;
9) G.Cordini, op cit. pag. 56;
10) L.Brown in Un po’ di respiro per la terra, di T. Athanasiou, in The Observer, 9 febbraio 1990;
11) T.Athanasiou, in op.ult.cit.

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