In basso il mare azzurrino, poi la verde collina che d’improvviso cede il passo a cime di dolomitica memoria che si innalzano fino a sfiorare i 2000 metri, in un susseguirsi asimmetrico di strapiombi ed improvvise gole: ecco come si presenta, da un qualunque punto di osservazione lungo la costa dell’alto Tirreno cosentino, uno degli angoli più selvaggi, affascinanti ed inquietanti dell’intera orografia meridionale, quella catena dei monti dell’Orsomarso ancora oggi poco conosciuta al grande pubblico, se è vero che soltanto nel 1960 l’intera area montuosa ricevette battesimo dal noto naturalista Franco Tassi che arrivò su questi monti “sospesi tra fantasia e realtà, quasi inafferrabili”, subito chiamati cosi per assonanza con uno dei centri più caratteristici dell’area, Orsomarso appunto.
Il paese fa parte del complesso antropizzato che si è andato sviluppando nel corso del secoli proprio intorno al nucleo più occidentale dell’odierno territorio del Parco Nazionale del Pollino: Mormanno, Papasidero, Santa Domenica Talao, Orsomarso, Verbicaro, S. Donato di Ninea, Acquaformosa, Lungro, Saracena e Morano Calabro appaiono, infatti, localizzati come a far da corona ad un territorio aspro e selvaggio, attraversato soltanto da sterrate, mulattiere o sentieri di montagna immerse in un’immensa area boschiva da cui si elevano -diagonalmente rispetto al complesso del Pollino- le cime della Caccia (m. 1777), della Montea (m. 1785), del Montalto (m. 1800), della Mula (m. 1935), del Cozzo del Pellegrino (m. 1987), sino al Caramolo (m. 1827), naturale confine proprio con il gruppo del Pollino.
Queste vette, con tutto l’intricato complesso di anticime e creste aeree, possiedono caratteristiche peculiari tali da differenziarle dal resto delle montagne dell’intera catena appenninica e propongono, al visitatore più esperto, un susseguirsi di cime impervie, gole, canyon, salti d’acqua, torrenti cristallini; una fittissima vegetazione che enumera pini loricati, abeti bianchi, faggi, lecci, pini neri, tassi, ontani, castagni. Per non parlare della ricchissima fauna: capriolo, tasso, lupo appenninico, puzzola, lontra, gatto selvatico, falco pellegrino, coturnice, corvo imperiale, aquila reale. In questo trionfo della natura, l’abitato di Orsomarso appare improvviso all’escursionista che, provenendo dalla ricca piana del fiume Lao, decida di addentrasi in un territorio che lo sorprenderà per la sua maestosità: “Orsomarzo, o Ursomarzo, terra in Calabria Citeriore, in diocesi di Cassano: l’etimologia che danno gli scrittori calabresi a questa terra non so se abbiasi ad abbracciare, cioè da un orso, che intanavasi in un luogo posseduto dalla famiglia Marzo o Marzio. L’emblema che fa di un orso ed una grotta conferma per taluni la detta etimologia. Intanto questa terra è situata in una valle poco illuminata dal sole,, lo montagne che la circondano tutte boscose, di faggi, elci, querce, ormi, abeti, pini (…)”. Questa la presentazione che qualche antico cultore fa del luogo che, anticamente, pare si chiamasse Albistro: nel IX sec. ospitò S. Macario, S. Nola e S. Saba e tale ricchezza spirituale è dimostrata dall’elevato numero di chiese e cappelle che danno l’idea di un forte afflato religioso che in quest’area ha permesso il contatto tra il rito cristiano d’occidente e quello d’oriente. I ruderi della chiesa di S.Maria di Scorpano, la medievale chiesa di S. Giovanni Battista, quella del SS. Salvatore risalente all’XI° secolo, i ruderi del santuario di S.Maria dei Mercuri, quelli del castello Baronale Brancati in località Raiana, i conventi di S. Agostino e S. Francesco, fino alla grotta con la Madonna denominata Piccola Lourdes, rappresentano un articolato sistema che, pur nella sua fragilità strutturale, si è preservato nel tempo: un complesso storico che oggi spetta alle nuove generazioni preservare e valorizzare quale “unicum” in quest’incantevole inseguirsi di Natura e Storia. Ubicato ai piedi del timpone della Simara, Orsomarso presenta il tradizionale impianto a scala: tutto il centro storico è un dedalo di stradine e viuzze che praticamente collegano l’itero abitato, conferendogli un aspetto medievale, caratteristico dell’intera zona del Pollino. Oggi, i neanche duemila abitanti appaiono giustamente gelosi di un centro che non solo ha dato il nome all’intero versante nord-occidentale del Parco del Pollino, ma che -fortunatamente- sta uscendo dal secolare isolamento grazie alle due riserve naturali orientate, quella della valle del fiume Lao e quella del fiume Argentino -veri avamposti del versante occidentale del Pollinosempre più frequentate da turisti di ogni età e non solo dagli esperti escursionisti. In effetti proprio il “selvaggio Orsomarso” -come viene definito dalla pubblicistica specializzata l’intero gruppo montuoso- ancor oggi appassiona gli amanti della montagna, non solo per le sue peculiarità, ma addirittura per l’attribuzione effettiva del nome: “Orsomarso è un nome attribuito dall’esterno ed imposto dalla pubblicistica nazionale quando, a partire dagli anni ‘70, i naturalisti si accorsero dell’esistenza e dell’importanza di questo gruppo, e dovettero identificarlo con un unico toponimo: corretto è, quindi, il suggerimento di Francesco Bevilacqua, che propone di chiamare questa zona, bianca sulla carta stradale del TCI, Gruppo del Pellegrino, dal nome della sua massima elevazione”, come ricorda Emanuele Pisarra -guida ufficiale del Parco, tra i massimi esperti locali di montagna- sulle pagine de “La Rivista del Trekking”. Il fatto che ancor oggi si discuta sullo stesso nome dell’area, è la prova inconfutabile che queste montagne, sconosciute per secoli, abbiano ricevuto una diretta protezione proprio dal fatto di essere rimaste così a lungo escluse da qualunque penetrazione umana, eccezion fatta per le genti locali che, comunque -come ricordano molti orsomarsesi- a causa dell’ambiente estremamente selvaggio, rinunciavano spesso a spingersi oltre i sentieri conosciuti. “Montagne, queste poco conosciute, dunque: finanche dai grandi viaggiatori dell’Ottocento, che preferiscono, da un lato la costa e dall’altro, i massicci più famosi della Calabria: la Sila e l’Aspromonte. (…) Eppure nel 1800, non sono mancati quanti, con lettere, appunti, testimonianze letterarie, si occuparono di questo imponente massiccio. E’ il caso di ricordare l’ufficiale francese Duret de Travel che ha parlato di Orsomarso come di un villaggio situato in una posizione orribile ed allo stesso tempo straordinaria, completamente circondato da alte montagne che si elevano a picco come muraglie che sembra di essere nel fondo di un pozzo(…)”, come sottolinea il giornalista Rai Gregorio Corigliano sulle pagine di “Bella Italia”, parlando del gruppo dell’Orsomarso come di un “gigante nascosto”. Proprio descrivendo questi monti, molti autori sono soliti ricorrere al concetto di wilderness “termine anglosassone letteralmente intraducibile, che identifica più un concetto che un semplice spazio fisico (…), che geograficamente identifica ambienti non intaccati dalla presenza di segni e rumori dell’attività umana (…)”, come fa Giorgio Braschi, insostituibile punto di riferimento in fatto di escursionismo, parlando di selvaggiosità; e come non riferire tale status fisico a quest’area, nella quale “le acque verde smeraldo del Lao scorrono impetuose in uno stretto e spettacolare canyon che costituisce oggi uno dei più ambiti percorsi italiani di torrentismo, canoa a rafting”, come ricorda Francesco Bevilacqua, campione dell’ambientalismo calabrese, sulla pagine della patinata “Oasis”, sempre attenta alle problematiche delle nostre montagne. Dopo millenni di dimenticatoio, l’Orsomarso -o il Gruppo del Pellegrino- sta vivendo un fenomenale momento di gloria, sostenuto anche da centinaia di escursionisti che in ogni stagione dell’anno, tra pareti e canoe, si riversano nell’area, per rimanere ammaliati dalla Montea, “la montagna incantata, definita dagli escursionisti esperti come la più alpina di tutte le montagne del mezzogiorno italiano per la sua inconfondibile bellezza, per la sua aspra natura e per il suo fascino selvaggio (…) ”, come sottolinea Andrea Perciato, tra spettacolari foto, ancora su “Trekking”, rivista-simbolo dell’escursionismo italiano. L’unica speranza, in questo mare di illustri citazioni, è che Orsomarso e le sue montagne possano imporsi all’attenzione di un serio cambio di rotta all’interno di quell’ intricato sistema locale che è la tutela e lo sviluppo della nostra Montagna, rimasta immobile per decenni, mentre tutt’attorno incurie di ogni sorta e pressappochismo amministrativo, hanno rallentato il naturale processo di sviluppo eco-compatibile: non è il caso di processare i presunti responsabili di tutto ciò, ma la funzione di una rivista come Apollinea si coglie proprio nel segnalare carenze ed arretratezze di un settore, come quella della Montagna, nel quale il nostro ritardo è spesso imbarazzante. Comuni, Comunità Montane ed enti vari dovrebbero finalmente spogliarsi dell’innaturale habitus del quale sono rivestiti -quello di rappresentare, cioè, soltanto il potere politico nella sua accezione più degradante- per farsi protagonisti di una stagione diversa, fatta di progetti di tutela e programmi di sviluppo. Tanto, le Montagne di Orsomarso non scappano mica!
Egidio Lorito, 18-03-03