A quasi vent’anni, l’opera di Giorgio Braschi rivede la luce in una seconda edizione completamente rinnovata . “In questo mio libro, amico lettore, ti accompagnerò nel mondo favoloso e selvaggio dei luoghi naturali del Pollino: il nostro sarà un viaggio attraverso paesaggi reali e irreali al tempo stesso, visti con occhi che non si fermano all’apparenza delle cose…”. Inizia così l’affascinante “Pollino-Viaggio interiore in una realtà irreale”, imponente percorso poetico-fotografico che Giorgio Braschi ripresenta al pubblico a quasi vent’anni dalla prima edizione: pubblicato dalle Edizioni Pugliesi di Martina Franca, l’opera è il giusto completamento della prima edizione datata 1984, anno in cui Braschi proponeva ad un pubblico allora ristretto di ambientalisti ed camminatori d’alta quota, una prima guida fotografica della grande area posta a confine tra Basilicata e Calabria.
Attraverso 100 spettacolari scatti che immortalano il Pollino nel decennio ’73-’83, Braschi si fa carico di guidare il lettore nel suo personalissimo viaggio che “ da Ulisse in poi è il tema dominante della vita dell’uomo e del racconto che l’artista fa della vita per cercare in tutti i modi di testimoniarla tentando di allargarla al di là di quella di un sol uomo per divenire, in questo modo, il viaggio dell’umanità”, come sottolineava Giorgio Saponaro proprio nella presentazione dell’epoca. Giorgio Braschi, “appulo-lucano”, con ascendenze lombarde, dal 1971 è uno dei più profondi conoscitori della “Montagna di Apollo”: guida naturalistica dal 1977 al 2000, ha svolto docenze e consulenze in campo ambientale, pubblicando -tra l’altro- nel 1986 quel “Sui sentieri del Pollino” che Giuseppe Selvaggi -presentandolo- definì “un libro poetico, e perciò un libro vivente”. Vive a San Severino Lucano, nel cuore della sua montagna, dove svolge “l’attività di libero sognatore e contemplatore di nuvole”, come ama definire la sua passione. In realtà il viaggio interiore nella fantastica realtà del Pollino, è incominciato molto tempo fa: “in uno di quegli strani giorni che sembrano uguali a tutti gli altri, ma che invece certamente segnano il destino degli uomini, un giovane assetato di natura s’incontrò finalmente con la montagna dei suoi sogni: immedesimarsene fino a troncare di netto con tutta la vita, il lavoro e le abitudini precedenti, non rappresentò che la spontanea, immediata conseguenza di quell’incontro. E fu l’inizio di un lungo viaggio, che ancora oggi continua…”, come ricordava anche Franco Tassi, coordinatore del Comitato Parchi Nazionali. Caro Giorgio, oggi come vent’anni addietro, l’amore per la montagna calabro-lucana è più forte che mai! “Quel testo rivede oggi la luce in una seconda edizione completamente rinnovata sotto l’aspetto grafico: non ho modificato l’impostazione generale del lavoro del 1984, sia per motivi affettivi, sia per mantenerne inalterata l’originalità, confortato in questa scelta anche dall’insistenza di amici e lettori, comunque lettori-amici. Le didascalie -troppo scarne- sono state rimpolpate, ricordando le sensazioni al momento dello scatto delle relative foto; ho poi arricchito il volume con immagini rielaborate graficamente da quelle originali e sparpagliando tra le pagine qualche foglia e filo d’erba. L’intenzione è stata quella di non tradire spirito, contenuti ed impostazione originali della prima edizione. Nella lettura occorre ricordare che oggi il Parco Nazionale del Pollino è una realtà comprendente un’altra molto più vasta: l’area in cui si svolge il nostro viaggio è infatti quella storica del massiccio del Pollino in senso stretto”. Nell’edizione del 1984 avevi affermato che “sul Pollino, come altrove, la gente sta attraversando il difficile periodo di transizione da una società agricolo-pastorale arcaica ad una società moderna con tutti gli aspetti positivi e negativi che questo comporta”: ed oggi ? “Oggi molte cose sono cambiate e purtroppo, dal punto di vista ambientale, i cambiamenti in meglio risultano irrisori rispetto a quelli in peggio: negli ultimi anni il nostro massiccio ha subìto colpi pesanti: il prezioso valore wilderness di molte sue aree è andato irrimediabilmente perduto, mentre nelle poche restanti dove ancora esiste, sta continuando tutt’ora a degradarsi: ma non sono certo le pagine del mio libro il luogo per dissertare sui cambiamenti avvenuti, perché questo libro è nato come un sogno e tale deve restare…”. Un opera, questa di Braschi, dove fotografia e poesia si incontrano in un vorticoso gioco capace di incantare i sensi, di sorprendere il lettore per gli scenari poco mediterranei, di rapirlo in un’atmosfera da sogno in cui -comunque- lo scatto fotografico altro non è che la voce narrante: “ (…) vagheremo senza meta alla luce arcana di albe e tramonti, tra foreste pulsanti di vita e vette accarezzate dal vento, scoprendo in silenzio e con riverente rispetto le dimensioni sconosciute e fiabesche che puoi percepire quando l’io si armonizza con la realtà circostante (…)” . Poesia e fotografia, dunque: non possiamo separare queste due componenti in quanto sono l’una il completamento dell’altra e non è un caso se l’autore, ad ogni immagine, faccia seguire un commento: è lo stato d’animo dell’io narrante, che si manifesta nell’attimo esatto dello scatto, ne ricorda il luogo, la data, i particolari climatici, lo stato d’animo: “ (…) dimensioni magiche e indistinte in cui avverti il mistero della vita e delle cose, dimensioni ormai dimenticate ma essenziali alla nascita del nuovo rapporto Uomo-Natura oggi più che mai necessario alla continuità della Vita sul nostro pianeta: quel rapporto di mutua simbiosi basato sull’accorto e affettuoso utilizzo -mai più sfruttamento- di una Natura intesa come Madre e Sorella, bisognosa di premurose attenzioni(…)”. Braschi ci tiene a non separare le due componenti, questo è chiaro. Ma come non rimanere affascinati da questi cento scatti d’autore: “cento immagini che ho scelto tra le migliori scattate negli anni dal 1973 al 1983: colori inconsueti e particolari effetti di luci ed ombre, caratteristici del Pollino, sono stati ripresi nelle prime e nelle ultime ore del giorno, quasi mai nelle ore centrali della giornata, caratterizzate da una luce piatta. Ho effettuato la maggior parte delle riprese nei mesi più freddi, quando l’aria è tersa anche con condizioni di tempo perturbato: ma essenziali per queste immagini sono state soprattutto passione, attenzione e tanta pazienza. Per realizzare buone fotografie occorre conoscere il più possibile i soggetti, capirne l’essenza, penetrarne l’intima struttura; fotografando qualcosa senza queste premesse si otterranno soltanto immagini tecniche, forse ottime dal punto di vista documentativo, ma banali sul piano della significatività: sentire il soggetto è la cosa più importante nel fotografare”. Per Braschi fotografare è soprattutto entrare nel mondo della poesia: e come non rimanere incantati dallo scatto finale -14 dicembre 1980- che ritrae l’autore con il suo compagno di viaggio sulla vetta del Dolcedorme -la più alta dell’intero Appennino meridionale- appena sopra il mare di nubi prossimo ad inghiottire il sole al tramonto: “tra il cielo e la terra siamo scossi dal gelido respiro del vento che sussurra la sua musica senza tempo. Inebriati d’immenso sulla vetta più alta, contempliamo silenti la fine del giorno, circondati da flutti di nuvole d’oro. Intorno avvertiamo arcane presenze mentre pigro sprofonda il sole nel quieto ribollire delle nubi e spazia il nostro sguardo verso soffusi orizzonti senza fine…. Purtroppo, amico mio, siamo agli ultimi istanti del nostro viaggio irreale”. Giorgio Braschi, Pollino.Viaggio interiore in una realtà irreale, Edizioni Pugliesi, Martina Franca (Ta) 2002, € 48,00
Egidio Lorito da “La Provincia Cosentina” del 05/04/2003