L’analisi delle ampie problematiche legate all’informazione porta inevitabilmente ad una sfida che, nata nel presente, è ormai inesorabilmente proiettata verso un futuro che molti vedono già realtà. L’oggi e il domani sembrano aver perso i rispettivi caratteri cronologici e sfidano l’uomo alla conquista di nuovi spazi di conoscenza, perchè informazione e comunicazione servono anche a conquistare questi nuovi spazi lasciati spesso nell’anarchia assoluta e che invece occorre limitare, normare, definire.
Viene da sè chiedersi cosa sia, come nasca, chi tuteli l’informazione come servizio e come diritto, partendo dall’incontestabile dato che, quest’ultimo, “ha avuto nel nostro Paese una matrice giurisprudenziale […] che ha anticipato ed orientato la scelta del legislatore […] arrivato sempre con molto ritardo, dopo che la giurisprudenza costituzionale e ordinaria avevano già ripetutamente indicato i valori da rispettare e gli indirizzi da seguire”.
La nostra stessa storia repubblicana, se da un lato sanciva solennemente il diritto di manifestazione del pensiero nell’art. 21 della Carta Costituzionale, dall’altro mostrava limiti e ritardi spesso inspiegabili per una Nazione tra le più importanti nello scenario mondiale. Ecco perché appare inevitabile ripartire da questa norma posta dal costituente tra quelle che rappresentano il c.d. catalogo delle libertà, nel quale “non ha senso” -come è stato finemente osservato- “cercare di stabilire fra le libertà una scala di preferenze”perchè “una libertà è assicurata quando lo sono tutte”.
Risulta del tutto scontato rimarcare che “la norma che tutela la libertà di esprimere il proprio pensiero non è una norma isolata, essa deve essere collegata con il sistema di valori apprestato e garantito dal costituente”in un sistema teleologicamente diretto a garantire contestualmente informatori ed informati.
L’informazione appare, quindi, come una tessera di un mosaico completabile solo se ci rendiamo conto che “senza libertà d’informazione, senza il diritto di informare e di essere informati non vi può essere una vera e propria democrazia, che significa libertà di discutere di temi di rilevanza pubblica”.“Informare” ed “essere informati” appaiono così due momenti inscindibili nella problematica in analisi che permetteranno di intendere la questione: la norma costituzionale contiene “la disciplina costituzionale della <<libertà di informazione>>, all’interno del tradizionale paradigma della libertà di stampa: in altre parole, nella formulazione dell’articolo è non poco presente il retaggio della concezione ottocentesca dell’argomento e, nell’ambito di questa, è risaputo che l’ordinamento italiano ha sostanzialmente aderito al modello francese dell’ art. 11 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 26 agosto 1789, pur non restando indifferente all’impostazione del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti del 15 dicembre 1791”.I due modelli storico-filosofici appena riferiti, quello francese e quello americano, si basavano sulle note differenze tra sistema di civil law e di common law , nel quale far rientrare l’attualissimo tema del diritto alla “privacy”, traducibile alle nostre latitudini con “riservatezza”, che ingloba un dibattito storico risalente al 1890, quando due giuristi di Boston, Warren e Brandeis, coniarono il ben noto inciso “the right to be let alone” inaugurando contemporaneamente la lunga stagione delle decisioni della Suprema Corte. Se è vero che viviamo nell’“età della comunicazione”, viene da sé rapportare “privacy” e “comunicazione”: la prima “copre un’area ben più vasta, che coincide con la molteplice e crescente varietà di interessi, situazioni e utilizzazioni riferibili ai dati sulle persone nella società della comunicazione”.
“Privacy”, allora, come sfera privata, come tutela di quel territorio invalicabile entro cui ogni persona ha diritto di vivere, come “nozione-ombrello, che sottende il riferimento ad una pluralità di interessi ed ambiti di vulnerabilità ben distinti ed individuabili”.
La disciplina sulla tutela dei dati personali, troppo sbrigativamente apostrofata come “legge sulla privacy”, ci ha permesso, almeno, di recuperare il gap con i Paesi di common law, evidentemente in grado -ben prima di noi- di elaborare questa teoria al termine di un “lungo processo di maturazione giuridica che non poteva che attecchire in un contesto culturale e giuridico d’ispirazione liberale … in cui più decisamente si è manifestata l’impronta dell’individualismo lockiano”.
Come non accennare a temi quali il diritto di cronaca e quello di critica, la cui contemporaneità e -spesso- drammaticità, fanno parte della nostra vita quotidiana: valori, interessi, diritti coinvolgono l’uomo come persona, come ente relazionale: “è usuale osservazione che l’informazione, sorta come attività di comunicazione di notizie e di opinioni, si sia talmente estesa da invadere territori riservati alle vicende strettamente personali dell’uomo, cosicché è diventato essenziale proteggere la persona dalle violazioni che con la stampa, la radio, la televisione possono essere eventualmente effettuate”.
Sul versante opposto si colloca il peso dell’informazione (del diritto all’informazione) nella stessa crescita della persona in termini di vantaggi e benefici, anche se la cronaca quotidiana fa emergere spesso le sole aberrazioni del sistema: “un uso sempre più distorto dell’informazione ha finito con il travolgere il primitivo fine, così che si sono avuti i fenomeni […] delle informazioni falsamente obiettive, […] le deviazioni e gli abusi sono stati innumerevoli;talvolta, la parabola umana di un individuo è stata travolta dalla notizia ad effetto, riportata in prima pagina ed offerta alla morbosa curiosità del pubblico”.
L’infondatezza di una notizia o il caso -sempre più ordinario (!)- in cui “l’informazione di garanzia” -atto procedimentale posto a presidio del diritto di difesa di ogni persona-cittadino- venga ancora equiparata ad una vera e propria condanna agli occhi della collettività, rappresentano alcune forme di aberrante uso distorto dell’informazione. Sia chiaro: abbiamo due valori da bilanciare, due diritti/libertà da tutelare, consci del fatto che prevarrà l’uno o l’altro solo se il bene giuridicamente tutelato sarà effettivamente quello che l’ordinamento reputa più importante da proteggere in quel determinato momento storico.
Il problema è nel limitare l’informazione che “si è trasformata in libertà di stampa, in un potere che si colloca a pari titolo accanto ad altri poteri, ma è altrettanto importante che sorgano all’interno i limiti a tale potere, che
attengono innanzitutto al pluralismo delle fonti d’informazione e che riguardano poi lo scrupoloso rispetto della persona e delle sue prerogative”.
“Informazione” e “persona”, momenti centrali di questa riflessione, che non può non riportare l’allarmante dato che per molto -troppo- tempo si è preferito tutelare l’informazione-libertà di stampa rispetto all’informazione-tutela della persona, considerata quest’ultima (ecco il paradosso!) come semplice fruitrice della notizia, come oggetto di essa e non come soggetto!
E quando l’ago della nostra ideale bilancia si è spinto verso la prima tutela, il danno spesso è stato grave.
Ma siamo sempre in tempo per ricordare -è un monito- che ogni qualvolta un potere costituzionalmente garantito venga a contatto con l’attore principale, cioè il cittadino-persona, occorre agire con senso etico, alla ricerca di quel giusto equilibrio tra i valori in gioco: informazione e persona, appunto.
*Avvocato, giornalista-pubblicista, cultore di Diritto Costituzionale nell’ Università degli Studi di Salerno.
30/09/2005
Nota Bibliografica