Cosa vuol dire essere coraggiosi? Basta leggere gli ultimi vent’anni di vita di due giovani calabresi di Serra San Bruno, uno degli angoli più suggestivi della Calabria, dove la Sila si distende lungo la più lineare una catena delle Serre, prima di esplodere in quel Massiccio dell’Aspromonte carico di tanta cronaca recente. E se coraggiosi vuol dire aver sfidato la più potente holding criminale del Pianeta, allora Pino e Marisa Masciari -coraggiosi- lo sono stati assolutamente.
“Vorrei che provaste a immedesimarvi per un momento in quella che è stata la nostra vita: pensatevi chiusi in un casa che non è vostra, in un luogo che non conoscete, dove non conoscete nessuno e dove vi dovete nascondere perché non potete dire chi siete veramente, neanche al vicino di casa. Pensateci, vorrei che per un attimo vi diceste: io da domani mattina sono in un altro posto, in un posto che per me è come avere il nulla intorno. Io da domani non posso più usare il mio nome. Io da domani non sono più nessuno”. Confesso una certa difficoltà a recensire queste pagine: nessuna ritrosia per la materia, intendiamoci;è che si entra a fondo della vita di persone che pensavano a tutt’altro che a trasformarla in un inferno. Pensavano di continuare a vivere e lavorare onestamente con l’industria del cemento, pensavano di mettere su famiglia come fanno mille altre famiglie normali. Ecco la difficoltà: non sapere mai se scrivere la parola giusta o rischiare di offendere quel sentimento personale così tanto intimamente profanato da queste triste vicenda. E allora è normale essere assaliti da un moto di rabbia quasi da farti perdere quella “terzietà” tipica del recensore. Lo dico subito: il lettore -soprattutto se calabrese, soprattutto se interessato ad entrare ancora più a fondo in quel mondo perverso che è la ‘ndrangheta, soprattutto se ha a cuore le sorti di una Regione e di buona parte dei suoi abitanti che evidentemente non fanno “affari” con le famiglie criminali- non impiegherà più di tanto a leggere queste 271 pagine e ad indignarsi ancora di più. Certo: qui c’è la storia di Pino e Marisa Masciari, ma quanti Pino e Marisa vivono sparsi per la Calabria, per l’Italia. Per il Mondo?
“Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ‘ndrangheta” (add Editore, Torino, 2010) è l’incredibile racconto di come due giovanissimi calabresi, Pino e Marisa Masciari, si siano trovati faccia a faccia con quel cancro che continua ad erodere una fetta non assolutamente minoritaria della società calabrese contemporanea, che forse pare ancora non aver compreso appieno che tipo di nemico si trovi a fronteggiare. Oppure che, pur avendolo capito, continui a vivere come se nulla fosse, abbandonata quasi al suo destino… Ebbene, Pino e Marisa hanno deciso di non vivere abbandonati al proprio destino.
Eccole queste 271 pagine, amare per chi le ha scritte e per chi avrà la pazienza e il coraggio di leggerle: amare, perché narrano di come un imprenditore edile di successo, per anni costretto ad affrontare questo cancro senza essere ascoltato da nessuno, quando un bel giorno trova qualcuno disposto ad aiutarlo, avverte subito che molte cose proprio non quadrano: capisce che quel cancro inizierà a dargli fastidio, inizierà a togliergli il respiro, il lavoro, gli affetti. La vita, insomma.
Siamo abituati a parlare di ‘ndrangheta soprattutto dal punto di vista giudiziario, criminologico, socio-politico: Pino e Marisa Masciari ci danno la possibilità, ora, di farlo da un angolo di visuale del tutto nuovo: narrano in prima persona, raccontano come quel cancro li abbia accerchiati, costretti alla fuga, costretti ad abbandonare i luoghi di una vita per rifugiarsi nel più assoluto anonimato, tra programma di protezione, processi e testimonianze irreali, esilio involontario. Solo il contatto con queste pagine potrà permettere al lettore di capire cosa significhi lottare -spesso da soli, spesso derisi, spesso umiliati- non soltanto contro una potente organizzazione criminale, quanto contro una mentalità, un modo di vivere e di ragionare che nella nostra Calabria (ahimè…) sembra essere la regola quotidiana.
“(…) Sono nato a Catanzaro nel 1959 ma quando avevo tre anni la mia famiglia si è trasferita a Serra san Bruno. Mio padre ha portato il cemento armato a Serra, prima nessuno lo conosceva, ma lui faceva i lavori come andavano fatti e da lui ho imparato (…). Mio padre era una persona buona ed era un gran lavoratore (…) Si chiamava Francesco, ma tutti lo conoscevano come Ciccio. Con l’impresa che aveva fondato, la <<Masciari Francesco>>, si occupava di costruzioni civili in tutta la zona delle Serre vibonesi, il comprensorio montano che si incastra tra l’Aspromonte e la Sila, di cui Serra San Bruno è la località maggiore (…)” .
Gli anni spensierati della fanciullezza, l’impegno diretto di Pino alla guida dell’attività familiare: è a quel punto che il giovane protagonista inizia ad imbattersi nel lato oscuro della sua città, della sua Provincia, della sua Regione: “(…) Il calabrese vive nella rassegnazione per la mancanza dello Stato, per la mancanza di servizi, progetti, di prospettive, ma la sua rassegnazione nasce dalla convenienza e dalla collusione con quell’anti-Stato che è la ‘ndrangheta. In quella splendida e dannata regione vince ancora una mentalità per la quale è meglio avere dei vantaggi per sé stessi piuttosto che impegnarsi per i vantaggi della collettività. Non è vero che i calabresi sono tutti privi di valori o malavitosi, è vero invece che per una colpa che è anche la loro si sono abituati a vivere abbandonati a loro stessi, poveri, perché la gente di Calabria nasce povera, quindi dipendente da chi ha di più, fossero le famiglie della malavita o i politici o qualsiasi altro potere che si instaura sul territorio (…)”.
Pino e Marisa hanno avuto il coraggio di fare nomi e cognomi -cognomi che in quella Calabria pesano…- di portare testimonianze precise, di guardare in faccia i propri aguzzini, di non arrendersi, di non lasciarsi inghiottire. Una storia terribile di esilio ed isolamento che ora sembra aver trovato l’esito più dolce, lontano dalla penisola calabrese: “Non torneremo più a vivere in Calabria, quella regione non ci ha voluto e ci ha abbandonato. Ci sono sì amici e persone che ci vogliono bene, ma la maggior parte delle amministrazioni calabresi non hanno mai dato realmente la mano ai Masciari. Ci fa male doverlo dire, ci fa male aver dovuto rinunciare alle nostre radici, ma in tutti questi anni non abbiamo mai sentito davvero i calabresi dalla nostra parte (…)”. È questo il vero punctum dolens, la parte più triste e tragica dell’intera vicenda: quella che non dovrebbe avere molta difficoltà a colpire il cuore dei tanti calabresi onesti che ancora sono la maggioranza tra coloro che abitano nella splendida penisola calabrese. Proprio a questo punto dovrebbe partire la rivolta, la ribellione: un moto perpetuo uniforme, dal Pollino all’Aspromonte…
La loro vita è cambiata tanto, almeno quanto le 271 pagine che la narrano: ci appaiono moderni migranti perpetui, in fuga da tutto ciò che poteva ricollegarli a nomi, luoghi, fatti, persone. Hanno corso come pazzi, ora iniziano a respirare quanto basta per raccogliere le idee ed i ricordi della loro incredibile avventura. Incredibile se pensata con la mentalità di chi vive lontano dalla Calabria, da quella Calabria. Sin troppo reale per chi vive nel cuore di questa terra che qualcuno vorrebbe ancora ignorare.
Pino Masciari, Marisa Masciari, Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la‘ndrangheta
Add Editore, Torino 2010, pp. 271, € 15,00